
Fammi giocare solo per gioco, senza nient’altro, solo per poco.
Senza capire, senza imparare, senza bisogno di socializzare.
Solo un bambino con altri bambini, senza gli adulti sempre vicini.
Senza progetto, senza giudizio, con una fine ma senza l’inizio.
Con una coda ma senza la testa, solo per finta, solo per festa.
Solo per fiamma che brucia per fuoco. Fammi giocare per gioco
(Bruno Tognolini, Diritto al gioco, da Rime raminghe, ed. Salani)
Per gli adulti è uno dei modi con il quale i bambini e le bambine occupano il loro tempo. In realtà il gioco è l’attività permanente dell’infanzia, il modo in cui i bambini sperimentano il mondo. Eppure il gioco libero, soprattutto quello per strada o all’aperto, con la sua complessità e ricchezza, trova sempre meno occasioni per prendere forma. Il perché lo sappiamo: la città non ama la compagnia del gioco se non nella forma del parco-giochi. I cortili sono vuoti da tempo e anche nei piccoli centri il dominio dell’auto è imponente, mentre nelle case comandano playstation e dispositivi elettronici.
L’inchiesta (26 articoli) di Territori Educativi sulla relazione tra città e gioco cerca in questo scenario cupo qualche fiammella in grado di illuminare una relazione dietro la quale si muovono spinte fortissime. Franco La Cecla in Quel che resta del gioco spiega come la mercificazione ha aggredito le città, con il gioco libero preso di mira dalle ordinanze sul decoro, ma anche l’arte del gioco e la capacità di smontare e riassemblare gli oggetti. Rosaria Gasparro ricorda come fino a cinquant’anni fa bambini e bambine avevamo la strada per giocare, per costruire rifugi in luoghi impensabili e, almeno nei paesi e nelle periferie rurali delle metropoli, per arrampicarsi sugli alberi. Poi i bambini sono spariti. Li abbiamo chiusi per “proteggerli” (Un due tre… liberi tutti).
Per queste ragioni oggi dobbiamo imparare a riaccogliere il gioco nella vita di ogni giorno. La centralità dello sguardo sul mondo del bambino e della bambina e il loro movimento libero, secondo Claudio Tosi possono essere il fulcro di un agire educativo che non comincia negli spazi dedicati e non finisce tra le mura di una scuola, ma scorre e spazia per l’intero spazio e tempo sociale (Il movimento libero del bambino). Portare bambini e bambine, ragazzi e ragazze a giocare, a esplorare, a incontrare persone diverse, a vivere ogni giorno gli spazi urbani, aggiungono Paolo Mottana e Giuseppe Campagnoli (La città educante), sarebbe un’occasione straordinaria per ripensare l’apprendimento ma prima di tutto il nostro modo di stare nel mondo.
A questi argomenti è stato dedicato anche un numero molto ricco di Urbanistica Dossier, curato da Elena Andreoni, dal quale emerge, tra l’altro, come il gioco spontaneo, quando invade gli spazi pubblici, li trasforma e chi li frequenta ha la possibilità di vederli improvvisamente con occhi diversi. Per questo qualsiasi processo di riqualificazione di un territorio andrebbe pensato anche attraverso il gioco e coinvolgendo bambini e bambine (Trasformare gli spazi comuni). Per dare importanza alla potenzialità della trasformazione diretta delle città attraverso la pianificazione condivisa e l’autocostruzione, abbiamo bisogno però di uno sforzo creativo e di prendere molto sul serio il punto di vista dei più piccoli, come ricorda Anna Lisa Pecoriello in Quando il gioco non si arresta, segnalando un libro essenziale su questi temi.
Forse, suggerisce Paola Nicolini dell’Università di Macerata, per liberare tempo e spazio da destinare al gioco occorre riconoscere prima di tutto il potere di rottura del verbo giocare, quale potente azione in grado di contrapporsi oggi alla produttività e all’ossessione della velocità (Gioco quindi vivo).
L’inchiesta, inevitabilmente, dedica molte attenzioni al rapporto tra città e scuola. Secondo Gianluca Cantisani, responsabile del progetto nazionale Scuole Aperte Partecipate in rete, la reciprocità indispensabile tra scuola e città non basta. Occorrono luoghi nei quali bambini, ragazzi e adulti possano ogni giorno fare e sperimentare insieme, giocare, incontrarsi, scambiare le proprie speranze, in altre parole ricostruire relazioni sociali (Il gioco, la scuola e la città).
Ad arricchire “Fammi giocare” sono anche due importanti video. Nel primo Francesco Tonucci, creatore del progetto internazionale “La Città dei Bambini”, sostiene come una città sarà giocabile quando non avrà più spazi dedicati al gioco dei bambini e delle bambine ma sarà capace di invitarli a giocare ogni giorno nello spazio pubblico (Giocare nello spazio pubblico). Nel secondo, segnalato dal Centro Alberto Manzi e rivolto in particolare agli amministratori locali, si ragiona – attraverso gli interventi di Monica Guerra e Francesca Antonacci dell’Università di Milano/Bicocca – del gioco come fonte di stupore e del diritto a esplorare il mondo come processo di ricerca (Esplorare e giocare il mondo).
La seconda parte dell’inchiesta raccoglie racconti di esperienze promosse in grandi città d’Europa – con un’attenzione a Milano, Roma e Napoli -, ma anche in piccoli centri (Cosenza) e borghi (Soave). Abbiamo cercato territori che in diversi modi si trasformano e giorno dopo giorno cercano di diventare sempre più simili a quelli che sogniamo con strade, piazze, parchi nei quali i bambini possono muoversi e giocare in tranquillità. È un po’ quello che accade da diversi anni con l’iniziativa di fine maggio “Una città a misura delle bambine e dei bambini” promossa dall’Associazione genitori Di Donato di Roma, da cui è nata la pedonalizzazione di via Bixio (Il grande salto in lungo).
A Milano, ad esempio, come racconta Giovanni Del Bene – primo responsabile (nel 2014) dell’Ufficio Scuole Aperte del Comune di Milano – da un paio di anni è stato avviato il progetto “Piazze aperte” (se ne parla in Il gioco in città, mentre in Apriamo una piazza a Milano è possibile scaricare il documento preparato per promuovere l’avviso pubblico “Piazze Aperte per ogni scuola” rivolto a soggetti interessati a collaborare con l’amministrazione comunale alla progettazione, realizzazione e cura di nuove piazze in prossimità delle scuole).
A Roma abbiamo raccolto il punto di vista di Valentina Pescetti – esperta in metodologie ludopedagogiche – dell’associazione Anita (Legittimare l’ozio per evitare il game over) e di due realtà di periferia come il progetto Cresco di Tor Bella Monaca (La nostra mappa del doposcuola) e l’associazione La Strada del quartiere Gordiani/Prenestino (Vorrei una città dove), nei quali esce fuori il punto di vista di tanti bambini e bambine.
Un racconto fotografico della Giornata mondiale del gioco (Comunità giocante) e la presentazione di un altro libro segnalato nell’articolo dal titolo Un castello di periferia consentono di accogliere lo sguardo di un’associazione straordinaria di Napoli come Chi rom e chi no. Da Cosenza arriva invece un ottimo video di Gianluca Palma (Un gioco mondiale senza confini) dedicato a una libreria che ha partecipato a un gioco fantastico, il mondiale di letteratura per l’infanzia.
Luciana Bertinato e Pierluigi Perosini raccontano poi in due articoli (Una casa di tutti e Incontrarsi per gioco) la splendida esperienza della Casa del gioco di Soave, dove tra laboratori creativi e giochi all’aperto è possibile incontrare anche nonne e nonni pronti a insegnare i giochi di una volta. A proposito di giochi che non smettono di divertire, ci piace segnalare di nuovo un articolo che ha già registrato circa 20.000 letture: Giochi a mezza distanza è stato pubblicato nell’aprile 2020, alla fine del lockdown, e propone di inventarsi o riscoprire giochi a mezza distanza (è possibile scrivere le proposte di giochi in brevi schede di facile lettura, nello spazio commenti in coda).
Di città europee che hanno cominciato a raccogliere la sfida del gioco, grazie alla spinta di gruppi di cittadini, per ripensarsi con coraggio si occupa l’ottimo articolo di Anna Becchi (Le città che hanno cambiato rotta): di certo cresce il numero di città in cui le strade vengono chiuse, in primis quelle davanti alle scuole, con cadenza periodica per aprirle al gioco libero. A questo intervento affianchiamo un altro articolo di Claudio Tosi (L’avventura dell’autonomia) pubblicato tempo fa, dove si racconta degli spazi nati in diverse città francesi con i patti territoriali in cui bambini e ragazzi hanno l’occasione di usare attrezzi (seghe, pinze, martelli, cacciaviti, materiali di recupero…), cucinare, accendere un fuoco, giocare, esplorare, progettando secondo bisogni e sogni, con risultati spesso spettacolari.
Ci sembra fondamentale, infine, segnalare un altro libro: Homo homini ludus. Fondamenti di illudetica di Enrico Euli, docente di Metodologie e tecniche del gioco, del lavoro di gruppo e dell’animazione nella Facoltà di Studi umanistici all’Università di Cagliari e formatore sui temi della nonviolenza. In tempi di crisi che si intrecciano, si chiede l’autore, se fossero l’ironia e prima di tutto il gioco alcuni dei moschettoni con i quali cominciare a scalare le pareti del precipizio in cui siamo finiti? (Giocare per restare vivi).
Gli articoli dell’inchiesta
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