Alla Di Donato di via Bixio, un nome che a Roma evoca l’idea della scuola aperta e culturalmente plurale per antonomasia, si è da tempo abituati a ragionare su tutto senza paura. Accade, dunque, perfino per i due anni scolastici più difficili di cui si abbia memoria. La straordinaria capacità di reagire dell’intera comunità che educa le bambine e i bambini che attraversano il cortile più vivo dell’Esquilino non è certo una sorpresa; così come non lo è l’appassionata determinazione a fare della crisi un’opportunità virtuosa di cambiamento. E tuttavia non può non sorprendere che, proprio nel mezzo della terza ondata del virus, si sia trovata la forza per allargare ancora quello storico cortile, con la pedonalizzazione di via Bixio, simbolicamente (e non) all’intero quartiere. Si tratta di poco più di cento metri, una striscia di cemento chiusa tra muri scrostati e pieni di graffiti – racconta Ofelia, che da qualche mese ha assunto l’onere di presiediere l’Associazione dei genitori – ma noi ci vediamo una piazza scolastica, con piante e orti per le lezioni di scienze, con piccoli angoli dipinti, scolpiti, ricreati durante le ore scolastiche di arte, con una pista per skate e bici nel doposcuola, con banchi lunghi e larghi per poter studiare insieme ma correttamente distanziati. Cento metri a misura di bambina e bambino, un salto in lungo cercato da tempo, perché fuori e dentro l’edificio progettato dall’architetto Antonelli (quello della mole torinese) i sogni e i desideri sono spesso pagine di uno stesso quaderno a quadretti

A scuola siamo entrati nell’ultimo trimestre, ormai. Un altro anno scandito dalla pandemia che imperversa sul pianeta. Già da due anni scolastici siamo chiamati a negoziare tra l’esigenza di rimanere al sicuro, scongiurare i contagi e la diffusione del virus e la necessità di socialità, educazione e crescita sana di bambine e bambini. Una scelta che sembra impossibile, eppure è obbligata, da due anni a questa parte.
A inizio marzo del 2020, la chiusura della scuola ha avuto effetti traumatici su tutta la comunità che vi gira intorno: docenti e personale scolastico, allievi, genitori, educatori ed educatrici del doposcuola, istruttori e istruttrici dei corsi extrascolastici… ha inoltre fatto luce sulle mille differenze tra le famiglie che frequentano la scuola, dal problema del cosiddetto “digital divide” alla più spinosa, perché molto più sfumata, questione della non neutralità dell’ambiente familiare, particolarmente rilevante quando si chiede agli/alle studenti di entrare in un’aula virtuale da casa.
Su questo e altre considerazioni che ne conseguono si è aperto in Italia un dibattito che, al di là delle posizioni di ciascuno, ritengo molto interessante e destinato a portare necessariamente a un arricchimento per tutti.
Quando a marzo 2020 abbiamo chiuso l’Associazione, non ci siamo fermati. O almeno, non per molto. Piuttosto, il cortile della Di Donato ha smesso di essere solo un luogo fisico, localizzato, unico. È diventato una piccola piazza digitale, fatta di tante connessioni, tutte diverse. Innanzitutto il mutuo soccorso: aiuto a richiedere i bonus predisposti dalle istituzioni, aiuto a richiedere i tablet che la scuola ha subito distribuito a chi ne faceva richiesta, aiuto a capire e gestire la piattaforma per la DaD.
Aiuto a fare la spesa, a trovare un medico di base.
Ma abbiamo anche organizzato le lezioni di scacchi online, fatto gli esercizi di kung fu sul terrazzo condominiale.
E poi il calcetto con lo slalom tra le scarpe e le parate sul letto, il teatro, la danza, le letture e l’aiuto nei compiti, grazie a una fondamentale sinergia con i/le docenti che ha permesso anche a bambine e bambini con maggiori difficoltà di non rimanere indietro.

Tutti coloro che, a diverso titolo, collaborano con l’Associazione con grande slancio si sono messi in gioco e hanno raggiunto ragazzi e ragazze con ogni mezzo. A ripensarci adesso sembra un momento lontanissimo, il primo fatidico lockdown della nostra vita. Eppure in qualche modo non è mai andato via. Perché da quella trasformazione digitale del cortile l’Associazione non è mai tornata uguale a prima.
Quando, a maggio, siamo con cautela usciti di casa, abbiamo scoperto che il cortile e le tanto amate sale nel seminterrato della scuola non ci bastavano più. Bambini, bambine e adulti avevano bisogno di respirare aria, ritrovare il verde, correre, camminare, giocare all’aperto. Ci siamo precipitati al parco di Carlo Felice, al parco di via Statilia. Abbiamo sperimentato sport che per natura erano di gruppo, trasformati per necessità in allenamenti individuali, abbiamo fatto letture all’aperto e, in alcuni casi, organizzato “sessioni di compiti” seduti a terra, su posti segnati con gessetti e nastri colorati e improvvisate aule studio tra un’aiuola e l’altra. Fino all’8 giugno, giornata in cui abbiamo organizzato una “maratona” di attività finalmente tutte in presenza, sfruttando l’intero percorso del parco di via Statilia.
Uno degli aspetti che personalmente amo di più dell’Associazione Genitori della Di Donato è il fatto che riesco sempre a sorprendermi, circondata da persone che non hanno paura di sperimentare, proporre cose nuove e divertirsi mentre lo fanno. Ora ho sperimentato, scoperto e imparato che non solo stare all’aperto è più piacevole, ma permette all’Associazione e a tutti coloro che ne fanno parte, bambini, bambine e adulti, di aprirsi e confrontarsi con il resto del quartiere, per ricevere complimenti, consigli, ma anche critiche. Perché per costruire una vera comunità educante occorre necessariamente aprirsi all’esterno, far entrare in gioco diverse forze con diversi punti di vista.
A ottobre abbiamo riaperto il cortile e le sale dell’Associazione. Quelle vere, fisiche, dentro la scuola. Con grande impegno abbiamo ripensato le attività, ci siamo dati un protocollo per le norme anti-Covid da seguire. Ma siamo rimasti anche fuori, grazie anche alla riapertura dei giardini di Piazza Vittorio, spostando le attività all’aperto quando possibile.
E siccome non si smette mai nemmeno di sognare, ora sogniamo che anche la scuola, con cui abbiamo percorso a braccetto tutti questi anni, condividendo impegno, difficoltà e successi, riesca a “esplodere” come abbiamo fatto noi e porti fuori dalle aule, almeno per qualche ora, le sue lezioni.
Una scuola che così diventerebbe diffusa, aperta veramente alla comunità educante, che di rimando, proprio in quanto comunità, saprebbe proteggere e aiutare la scuola all’aperto, rispettandone l’intimità e autonomia anche in un luogo affollato come Piazza Vittorio.
Da poco abbiamo ottenuto, dopo anni di richieste, l’interdizione al traffico nel tratto di via Bixio davanti alla scuola, in attesa, si spera, che diventi definitivamente pedonale. Un importante passo avanti verso il riconoscimento della definizione di “strada scolastica”, che dovrebbe valere per ogni scuola, in ogni quartiere di ogni città.
A via Bixio si tratta di poco più di cento metri. Una manciata di passi, una striscia di cemento chiusa tra muri scrostati e pieni di graffiti.
Eppure già ci vediamo una piazza scolastica, con piante e orti per le lezioni di scienze della scuola, con piccoli angoli dipinti, scolpiti, ricreati durante le ore scolastiche di arte, con una pista per skate e bici nel doposcuola, con banchi lunghi e larghi per poter studiare insieme, ma correttamente distanziati. Cento metri a misura di bambina e di bambino.
Grazie alla pandemia abbiamo scoperto che il cortile è solo una delle piazze del nostro quartiere, ma il quartiere intero è il nostro cortile.
L’articolo fa parte dell’inchiesta La scuola è il territorio