Quando il gioco spontaneo invade gli spazi pubblici questi ne escono trasformati e chi li frequenta ha la possibilità di vederli improvvisamente con occhi diversi. Per questo qualsiasi processo di riqualificazione di un territorio andrebbe pensato anche attraverso il gioco e coinvolgendo bambini e bambine. Ma cosa distingue i luoghi del gioco? Secondo Elena Andreoni, urbanista, “sono luoghi dello stare, in cui i bambini corrono, si muovono, si arrampicano e gli adulti siedono, leggono, guardano… Non è la città da attraversare velocemente… è la città in cui sostare. E così i luoghi divengono luoghi più frequentati e conseguentemente più sicuri e vivibili, aumentando la qualità degli spazi di prossimità…”

Questo articolo fa parte dell’inchiesta
Fammi giocare. La città e il gioco
Il tema del gioco nello spazio pubblico è un tema particolarmente interessante e ricco per le sue connessioni con gli aspetti sociali, pedagogici e didattici della vita urbana. Questo contributo è stato elaborato per il numero monografico di Urbanistica Dossier che ha diffuso gli esiti del progetto Mettiamoci in gioco, sviluppato all’interno dei lavori della VI Edizione della Biennale dello Spazio Pubblico 2021, dedicata ai bambini e al loro rapporto con gli spazi pubblici.
La scelta di avere questo focus è nata prima dell’emergenza sanitaria da Covid-19 ma l’attraversare una situazione così drammatica non ha fatto altro che rafforzare la decisione presa, proprio perché i bambini sono stati i soggetti più trascurati e coloro che più hanno sofferto le condizioni di limitazioni imposte a causa della pandemia. Progettare una città migliore per i bambini vuol dire inserire nelle trasformazioni quei soggetti fragili che raramente hanno la possibilità di far ascoltare la propria voce ed esprimere i propri bisogni in un’ottica di progettazione inclusiva e partecipata, trasformandoli in soggetti attivi e cittadini consapevoli.
Mettiamoci in gioco ha riunito attorno a quattro tavoli virtuali ben 29 soggetti – tra istituzioni, enti, musei, professionisti singoli e associati – chiamandoli a confrontarsi sul tema del gioco nelle sue declinazioni indoor, outdoor e virtuali. Di grande rilevanza è stata la collaborazione con la rete ICOM- International Council of Museums e con la rete spagnola di Ludantia, associazione che unisce soggetti e gruppi che operano sui temi dell’educazione, infanzia e architettura. I tavoli sono stati organizzati in modo tale da consentire a ogni relatore di raccontare il proprio approccio e condividere gli obiettivi posti alla base del proprio operato tramite la scelta di alcune parole chiave tra quelle proposte. All’interno di questa pubblicazione le troverete precedute da un hashtag ed evidenziate in rosso, al termine di ogni scheda. Le parole scelte rappresentano gli obiettivi cui si vuole tendere con le azioni e gli interventi messi in campo, da raggiungere con strategie differenti a seconda del soggetto protagonista.
Il primo elemento emerso durante gli incontri preparatori alla Biennale è l’estrema ricchezza di contributi e di modalità con cui i vari soggetti declinano il tema del gioco nello spazio pubblico, modalità e metodi che si sviluppano in modo indipendente rispetto alla sua collocazione in presenza – all’interno o all’esterno – o online. La creatività che si riscontra complessivamente in questo ambito di intervento non è comune ad altri settori di progettazione dello spazio pubblico.
Il secondo elemento rilevante è che il gioco viene analizzato, valutato e programmato dai soggetti adulti, il che è forse – sottolineo forse – inevitabile. Ma anche laddove sono gli adulti a discuterne e in conclusione a progettare gli spazi al gioco dedicati, o l’organizzazione degli stessi, emerge con chiarezza che le soluzioni migliori si hanno quando l’equipe che lavora ha il coraggio di mettersi in secondo piano, per lasciare lo spazio ai veri protagonisti, ai bambini. Gli esempi qui raccolti raccontano proprio questo: il coraggio e le possibilità insite nel gioco.
Le schede sono strutturate tutte nello stesso modo, al fine di rendere più agevole un confronto tra le varie esperienze proposte: a una sintetica descrizione del soggetto che presenta l’esperienza segue la narrazione dell’attività presentata. Seguono poi le indicazioni che ogni soggetto propone per il futuro del lavoro con il gioco nel proprio ambito e infine una raccolta di consigli di letture, siti web o film per approfondire l’approccio avanzato.
Il gioco è infatti per noi adulti fondamentalmente un approccio, utilizzato proficuamente per raggiungere vari obiettivi; attraverso il gioco ad esempio posso educare, avvicinando i bambini a contenuti anche molto complessi. I bambini giocando riescono a comprendere cos’è un ecosistema, o quali sono i diversi tipi di paesaggio, approfondendo così il tema dell’interdipendenza e dell’effetto delle nostre azioni sul mondo che ci circonda. Giocando li guidiamo a guardarsi attorno per osservare l’ambiente in cui vivono, e riusciamo in tal modo a comunicare loro concetti altrimenti troppo teorici. Il gioco quindi si fa strumento, attraverso il quale educo, conosco, scopro. Ma il gioco può essere utilizzato con grandi risultati anche per promuovere l’inclusione: la condivisione di spazi ed esperienze diventa agevolmente il terreno su cui far crescere l’accettazione di ciò che non conosciamo e che è diverso o lontano da noi. La scelta del gruppo di gioco – delle persone con cui stiamo giocando – e la scoperta di qualcosa che non conosciamo e di cui facciamo esperienza giocando, porta con sé un messaggio profondo di apertura al mondo, di accettazione dell’altro. Questo aiuta a superare stereotipi e convenzioni e pone le basi affinché ogni bambina e bambino acquisiscano la possibilità di costruire un pensiero critico. L’obiettivo inclusione può essere raggiunto tramite la progettazione di spazi gioco condivisi per bambini con diverse abilità, ma anche tramite una visita virtuale a un museo di antropologia ed etnografia che mostri attraverso il gioco realtà molto lontane dalla nostra e le renda più familiari, scardinando alcune ingenue convinzioni che appartengono non solo ai bambini. Come sempre gli obiettivi possono essere raggiunti attraverso strategie diverse, tutte ugualmente valide se strutturate e organizzate in modo adeguato.
Il gioco porta con sé l’accettazione di regole che devono essere condivise tra i vari partecipanti e che, una volta accettate, divengono, per il periodo in cui si gioca, legge. Divengono legge perché il trasgredirle comporta l’automatica esclusione dal gioco, le lamentele degli altri giocatori, l’accusa di scarsa correttezza. E questa costruzione di regole condivise altro non è che allenamento civico, scelta consapevole di porsi dei limiti affinché il gioco proceda senza problemi e la relazione che si crea continui a funzionare.
Il gioco è anche tanto altro, è funzionale a tanto altro come mostrano i numerosi interventi ospitati in questo volume. Ma il gioco per i bambini cos’è? e soprattutto, come architetti e urbanisti che lavorano per e nella città, cosa siamo chiamati a fare? Che relazione c’è con il gioco?
Abbiamo visto come il gioco possa essere approccio e metodologia, in determinati ambiti e con ottimi risultati. Ma il gioco è – e deve essere – per i bambini anche fine a se stesso. Come diceva Caillois e come da ultimo ricordato da Francesco Tonucci nel suo intervento alla Biennale dello Spazio Pubblico 2021, il gioco non deve produrre nulla, si propone come libera scelta, attività di lusso e mai dovuta. Privo di obiettivi se non quello di giocare, rappresenta l’atto in sé che si autolegittima, la presenza nell’hic et nunc di Orazio, il gioco praticato per il piacere e il desiderio di farlo. Questo carattere del gioco, fondamentale per i bambini, non esclude che il gioco possa essere latore di conseguenze, e io ritengo che queste siano particolarmente importanti e rilevanti negli spazi pubblici: quando il gioco spontaneo, il gioco libero invade gli spazi pubblici questi ne escono trasformati. Si tratta di un effetto che potremmo definire collaterale, ma non per questo marginale o secondario. Molte volte non viene previsto né ricercato, ma è indiscutibilmente reale e concreto: nel momento in cui i bambini occupano uno spazio con il gioco questo spazio non resta più lo stesso. La trasformazione può essere temporanea, limitata nel tempo, potremmo probabilmente parlare di architettura effimera o di urbanistica tattica, ossia di quelle trasformazioni spesso reversibili che hanno una durata limitata e che hanno costi limitati, con un coinvolgimento diretto dei cittadini. Ma ritengo vi siano ancora potenzialità maggiori da approfondire.
L’uso degli spazi pubblici per il gioco è innanzitutto la possibilità di vedere quel luogo con occhi diversi, di pensarlo in una nuova luce, con una nuova funzione nella città e per la cittadinanza. E di conseguenza di pensarlo e progettarlo in modo diverso. Cambiare il punto di vista porta con sé conseguenze spesso interessanti. Così il gioco diventa strumento di trasformazione dello spazio pubblico, giacché la creatività e la libertà che sono nel gioco consentono di prefigurare e di immaginare qualcosa di diverso per le nostre città.
Il gioco infatti non è certamente solo aree ludiche, con giochi preconfezionati collocati all’interno di aree con tale destinazione e poi recintate, ma siamo comunque chiamati come architetti e urbanisti a individuare un luogo e uno spazio per il gioco nelle nostre città. Per farlo è necessario farsi contaminare dallo stato d’animo con cui i bambini si avvicinano al gioco. Tutto è possibile, anche scoprire che una duna nasconda un drago, che un muro sia fatto per arrampicarsi o che con un cerchio fatto a terra con un gessetto si acceda a un mondo incantato.
La prima lezione è dunque quella di liberare la nostra mente e imparare dai bambini. E per farlo dobbiamo coinvolgerli, rendendoli attori nelle nostre città e nelle nostre scelte pianificatorie. Quindi il gioco non è solo lo strumento per raggiungere un obiettivo altro, ma anche una pratica valida in sé, per le sue enormi potenzialità trasformative. Nel momento in cui si parla di riqualificare con interventi che abbiano consumo di suolo pari a zero, di recupero delle aree dismesse, abbandonate o sottoutilizzate, è necessario pensare che sia possibile farlo anche attraverso il gioco, condividendo lo spazio con i bambini: si tratta di apprendere a guardare le nostre città da un altro punto di vista. Ovviamente tutto questo deve poi diventare progetto, deve tramutarsi in procedura e non può restare atto episodico o evento dimostrativo.
La vera e grande innovazione è il mettere a sistema i principi sopra descritti, creando reti che lavorino su questi aspetti attualmente poco valorizzati. Il primo elemento su cui lavorare è certamente partecipazione, dei bambini nello specifico e dei cittadini più in generale. Lavorare sulla partecipazione alle trasformazioni della città non vuol dire soltanto seguire i vari regolamenti o indirizzi esistenti in materia, ma adoperarsi affinché chi arriva al tavolo di confronto abbia quegli strumenti di conoscenza che gli permettano di esprimersi in modo consapevole. È pertanto necessario costruire un percorso che sia continuo e non episodico, ed avere la possibilità e la capacità di mettere in discussione realmente e non solo formalmente le scelte.
Il coinvolgimento dei vari soggetti interessati parte prima di un evento – ludico, trasformativo, sociale – e prosegue dopo, creando così un legame di relazione. È certamente diffusa la consapevolezza che quando i cittadini sono parte attiva nella città e sanno di poterne condizionare la trasformazione, diventano anche più consapevoli e responsabili nelle scelte di ogni giorno.
Avere l’opportunità di prendersi cura dei luoghi fa sì che i beni diventino realmente beni comuni. Ci sono vari esempi noti in Italia di questo, ma non ancora sufficienti e soprattutto non ancora diffusi come prassi.
Nel caso della partecipazione dei bambini è poi fondamentale che essa non sia vista dagli adulti decisori come un mero esercizio di stile, come una minima soddisfazione data a chi in realtà non può fornire contributi validi. In realtà infatti l’approccio dei bambini e il lavoro fatto insieme a loro è realmente in grado di arricchire un progetto, fornendo una chiave di lettura su cui lavorare.
Il secondo elemento sul quale lavorare, oltre alla partecipazione, è la necessità di inserire il gioco nella progettazione degli spazi pubblici considerandolo in modo più ampio e strutturato e non limitandolo alla sola scelta dei giochi certificati da inserire all’interno di aree verdi. I tecnici che lavorano nell’amministrazione pubblica e progettano e realizzano aree ludiche sono molto vincolati dalle normative sempre assai stringenti sulla sicurezza e sui lavori pubblici e pertanto dovranno essere coinvolti in un proficuo rapporto di confronto e collaborazione. La necessità di aprire questo dialogo con l’amministrazione pubblica locale è emersa con grande forza durante i tavoli di preparazione alla Biennale. Anche se vi sono delle eccezioni, troppo spesso le associazioni e realtà che lavorano sul territorio sono ancora troppo distanti e si sentono inascoltate dalle Amministrazioni, mentre chi lavora nel pubblico deve poter trovare un percorso di fattibilità all’interno di regole ben precise. Il confronto con i soggetti pubblici, decisori e tecnici è fondamentale anche per proporre, costruire insieme e sviluppare modelli diversi di aree per il gioco, più integrate negli spazi urbani e ibride nella loro identità, meno stereotipate e più aderenti e relazionate al contesto nel quale si inseriscono. È quindi necessario sia ascoltare i bambini e coinvolgerli nei progetti che vengono sviluppati, sia confrontarsi con chi a questi progetti deve dare le gambe per camminare.
Un elemento di grande rilevanza è la diffusione della consapevolezza che il gioco non deve essere necessariamente collocato in una griglia all’interno della quale posizionare prodotti certificati, ma possiede potenzialità molto più ampie ed è anche un modo per riappropriarsi del proprio territorio, conoscerlo e farlo nostro. Attraverso il gioco la città si trasforma anche diventando più familiare; l’uso dello spazio pubblico da parte dei bambini è un uso pervasivo, immediato, attivo, in grado di rendere più sicuri i luoghi della città, in quanto più frequentati e con una modalità meno rapida, più stanziale. I luoghi del gioco sono infatti luoghi dello stare, in cui i bambini corrono, si muovono, si arrampicano e gli adulti siedono, leggono, guardano, supervisionano. Non è la città da attraversare velocemente, con altre destinazioni e obiettivi in mente, è la città in cui sostare. E così i luoghi divengono luoghi più frequentati e conseguentemente più sicuri e vivibili, aumentando la qualità degli spazi di prossimità.
Questa riflessione coinvolge di necessità anche il tema degli standard urbanistici. Quelle quote di verde pubblico e parcheggi e servizi introdotte nel 1968 nelle nostre città con accanto ad ogni abitante insediato un valore numerico che ne racconta l’esigenza di avere un giardino, un parcheggio e una scuola o un centro sociale, sono oggetto da tempo di riflessione e proposte di revisione, soprattutto per cercare di considerare aspetti qualitativi oltre che quantitativi. Credo che l’inadeguatezza della destinazione a “verde pubblico per il giuoco dei bambini” – come spesso è indicato nei piani urbanistici – sia evidente e, pur rendendoci conto del ruolo fondamentale che gli standard del DM 1444 hanno avuto nelle nostre città, sia giunto il momento di aggiornarli recependo questioni come la flessibilità dell’uso degli spazi, gli usi temporanei e anche il concetto che gli spazi per il gioco possono essere inseriti in una piazza, in una strada, in uno spazio verde, con modalità diverse dal recinto e che questo contribuisce a costruire la qualità degli standard necessari per le nostre città. Gli spazi delle scuole, comprendendo in questa definizione sia il sedime dell’edificio scolastico che i cortili e gli spazi attorno alla scuola stessa, appaiono come una grande opportunità su cui lavorare proprio in termini di aggiornamento del concetto di standard urbanistico, di relazione con il territorio e di servizi di prossimità, anche in applicazione delle modifiche introdotte nel settembre 2020 al Codice della Strada in merito alle “Zone Scolastiche”.
I bambini hanno la capacità di accompagnare i genitori e più in generale gli adulti, a scoprire le potenzialità inespresse dei luoghi, grazie al loro sguardo nuovo e alla loro capacità creativa. All’interno dei contributi che seguono vi sono numerosi esempi di questa capacità, esempi a volte anche molto complessi, che hanno richiesto un lavoro costante e continuativo, ma con esiti straordinari in quanto a ricchezza e valore. Come sempre è di fondamentale importanza costruire nuove reti e trasformare le singole esperienze in prassi, affinché la condivisione riesca ad essere elemento generatore di idee e di nuovi spazi, fisici e mentali. Mettiamoci in gioco!
Questo articolo è apparso con il titolo Il gioco come elemento trasformatore degli spazi pubblici nel numero di giugno 2021 di “Urbanistica dossier”, rivista monografica digitale, intitolata Lo spazio pubblico. I bambini. Il gioco (e curata da Elena Andreoni e Michela Rota). Qui è possibile sfogliare, leggere e scaricare gratuitamente l’intero rivista.
Elena Andreoni, urbanista del direttivo INU Lazio, fa parte dell’associazione Biennale dello Spazio Pubblico e dello staff dell’Assessore all’Urbanistica del Comune di Roma