Ai bambini e alle bambine va detto chiaramente che c’è una guerra? Come definirla? Come possiamo tentare di spiegare quali sono le cause? Perché dobbiamo assolutamente evitare di paragonare la guerra a una lite tra fratelli o sorelle, oppure a un diverbio tra bambini o bambine? Un intervento di Paola Nicolini, docente di psicologia all’Università di Macerata, che da anni si occupa di informazione a misura di bambini
Appello. Noi insegnanti russi, contro la guerra
Ai bambini e alle bambine va detto chiaramente, perché la parola dell’adulto sia fonte di sicurezza e conoscenza fidata, che c’è una guerra in un paese che si chiama Ucraina ed è per questo che i telegiornali ne parlano e ci giungono notizie di persone che soffrono, di bambini e bambine che hanno paura.
Va detto che la guerra è una bruttissima cosa, che non dovrebbe mai capitare ma che purtroppo accade perché non sempre i grandi si impegnano per fare le cose nei modi che sarebbero giusti e per il bene di tutti.
Va detto chiaramente che è difficile spiegare, anche per noi adulti, le cause che conducono a bombardare una città. Alcune sono per conquistare un pezzo di terra pieno di tante cose che si possono vendere per guadagnare più soldi e più potere, alcune perché si deve dimostrare chi è il più forte, alcune perché non si vogliono rispettare dei patti. Spesso più cause insieme, che comunque non sono in alcun modo sufficienti a giustificare l’uso della violenza contro i propri simili.
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In ogni caso, qualunque sia la spiegazione che si intende dare, evitiamo di paragonare la guerra a una lite tra fratelli o sorelle, oppure a un diverbio tra bambini o bambine. Il tentativo di semplificare conduce a una rappresentazione scorretta, perché le due cose nulla hanno a che vedere tra di loro. Una guerra è un atto razionale, una scelta precisa, sebbene assurda, di dominio, di disprezzo della vita, di volontà di potere tramite un esercizio deliberato di violenza. Una lite o un conflitto sono invece semplicemente uno dei modi di esprimere una relazione, sono una palestra di interazione sociale che conduce a mettersi a confronto, a sentire le proprie ragioni, a misurare le distanze, a sentire le proprie emozioni e autoregolarsi, a modulare l’energia psichica che ne deriva. Le liti spesso si basano su reazioni emotive legittime, che necessitano di esprimersi con un tono più teso e una tensione più alta, ma non sono pericolose.
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I bambini e le bambine non hanno quasi mai intenzioni consapevolmente aggressive. Per sostenere una comprensione profonda del valore della pace, è necessario utilizzare le categorie giuste nel raccontare il senso della guerra, per permettere anche ai più piccoli e le più piccole di farsene un’idea corretta, e di non sentirsi responsabili di cose di cui sono purtroppo solo vittime indifese.
Scrive Gianni Rodari:
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
e orecchie per non sentire.Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra
per esempio, la guerra.
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Nell’Archivio di Comune, altri articoli di Paola Nicolini sono leggibili QUI
Rosária Anele dice
Dormíamos parlare piú di pace. La pace comincia in noi. Dentro di ognuno. Da una canzione brasiliana:
” la pace si è messa nel mio cuore…Ho pensato in me, ho pensato in te, ho pensato in noi…” Zizi Possi.