Qualche anno fa, i movimenti antirazzisti statunitensi denunciarono come il maggior numero di deportazioni di migranti negli Usa si sono verificate con la presidenza del primo presidente di origini afroamericane. Più o meno nello stesso periodo diversi governi progressisti latinoamericani si sono dimostrati incapaci di modificare gli indici di disuguaglianza. Nei giorni scorsi un rapporto della Comisión Pastoral de la Tierra mostra come sotto il governo di Lula, per diverse ragioni, si sia verificata la più alta quantità di conflitti rurali in quasi quattro decadi… Scrive Raúl Zibechi: “È evidente che i governi progressisti, come quello di Lula, sono possibili grazie ad alleanze politiche con imprenditori e militari, i due settori più contrari alle riforme strutturali. Si tratta di un’enorme limitazione, ma i governi hanno deciso di negoziare, sempre a ribasso, invece di avere un confronto…”
L’ultimo rapporto della Comisión Pastoral de la Tierra (CPT) in Brasile riguarda un altro anno di conflitti nelle campagne, sottolineando che nel 2023 si sono registrati 2.203 scontri, il numero più alto dal 1985, anno in cui l’istituzione legata alla chiesa cattolica ha iniziato a monitorarli (pdf). Risulta necessario comprendere come sotto il governo di Lula si sia verificata la più alta quantità di conflitti rurali in quasi quattro decadi.
Andréia Silvério, coordinatrice nazionale della CPT, ha detto a Repórter Brasil che gli scontri nelle campagne, già aumentati dal 2016, sono diventati ancora più accesi sotto il governo di Jair Bolsonaro, che “ha fomentato un odio già esistente: l’odio dei latifondisti contro lavoratori senza terra, indigeni e quilombolas”, in riferimento alle comunità nere.
Quanto ai responsabili, in primo piano compaiono le forze militari dello Stato e i governi federali, seguiti dagli imprenditori e dagli invasori illegali di terre. La Comisión Pastoral de la Tierra conclude affermando che la presenza di gruppi paramilitari formati dall’agrobusiness è un fattore che contribuisce alla violenza nelle campagne.
Tuttavia il fatto più significativo è che la violenza è focalizzata verso i cosiddetti “popoli tradizionali”, categoria che include indigeni, quilombolas, pescatori artigianali, abitanti delle rive dei fiumi, seringueiros, donne che raccolgono le castagne e rompono le noci di cocco (“quebradeiras de coco babaçu” in portoghese) e altri 28 popoli e comunità tradizionali. Anche se sembra un’attività marginale, le rompitrici di cocco sono più di un milione di donne che lavorano collettivamente.
Quasi il 63 per cento degli episodi di violenza (1.394 casi) si verificano contro le popolazioni tradizionali del Brasile, fatto che spicca rispetto ai 388 casi di attacco contro i senza terra e i 254 contro i lavoratori rurali. La violenza del sistema si accanisce su quei popoli che difendono i loro territori, che lavorano in forma collettiva e mantengono una relazione di reciprocità con la terra, che portano avanti relazioni sociali comunitarie e non sono capitalisti, non producono merci.
Senza una riforma agraria e senza una delimitazione delle terre indigene, la violenza continuerà a crescere, è una delle principali conclusioni del rapporto citato all’inizio. il problema è che questo terzo governo Lula è lontano dal soddisfare le aspettative che aveva generato a suo tempo, creando il ministero dei Popoli Indigeni, che in realtà sta servendo più a dividere i popoli e a cooptare i dirigenti che a favorire cambiamenti concreti.
Lo stesso Movimento Sin Tierra (MST), vicino al governo di Lula, riconosce che il bilancio destinato all’ottenimento della terra e dei diritti fondamentali nelle campagne, come infrastrutture, fondi per la produzione e per le abitazioni, è stato “per due anni consecutivi il più basso degli ultimi vent’anni”.
Dobbiamo riflettere sui dati offerti dal rapporto della CPT. È evidente che i governi progressisti, come quello di Lula, sono possibili grazie ad alleanze politiche con imprenditori e militari, i due settori più contrari alle riforme strutturali. Si tratta di un’enorme limitazione, ma i governi hanno deciso di negoziare, sempre a ribasso, invece di avere un confronto.
Se le cose continuano in questa direzione, è probabile che questo governo arrivi alla fine senza essere riuscito a spezzare l’immenso potere dei proprietari terrieri e delle imprese. Un fatto ancora più grave è che le forze armate statali e parastatali continuano ad agire in completa impunità, mantenendo relazioni con i guardiani delle terre e con il narcotraffico.
Non voglio incolpare il governo di questa situazione ma credo sia necessaria un’analisi più profonda per comprendere la nuova direzione in cui stiamo andando. Quest’anno l’Acampamento Terra Livre, realizzato a Brasilia tra il 22 e il 26 aprile, ha riunito più di duecento popoli indigeni; la più alta concentrazione degli ultimi vent’anni, il che evidenzia un’enorme forza che continua a crescere. Dinamam Tuxá, coordinatore dell’Articulación de los Pueblos Indígenas de Brasil, ha sottolineato che la decisione di non invitare Lula all’Acampamento fa parte di una nuova strategia. Il movimento è alle prese con la legge del “marco temporal”, approvata lo scorso settembre, che riconosce solo le terre indigene occupate nel 1998 (quando fu approvata la Costituzione), rendendo nulli i nuovi confini territoriali.
Come segnala la carta aperta della Commissione Guarani Yvyrupa dopo una veglia davanti alla Corte Suprema, “se la vita è a rischio non c’è negoziato possibile” (link). Sono disposti a “seppellire” la legge, perché “i territori sono l’unica garanzia di futuro per i nostri figli”. L’azione diretta può dare migliori risultati che la fiducia nelle istituzioni.
Inviato anche a La Jornada. Traduzione di Leonora Marzullo per Comune
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