Per ragionare della ripresa della “scuola” abbiamo bisogno soltanto di un grido contro e poi di molte idee. Il grido contro? La scuola, o meglio, l’educazione, non è un’azienda che deve far profitto. Qualche idea? Creare le condizioni per proporre il più possibile attività all’aria aperta in piccoli gruppi, insegnare per esperienze (ad esempio fare la spesa, imparare a riparare biciclette, coltivare un orto, prendere in cura un sentiero ma anche promuovere giochi senza frontiere e attività sportive…) e utilizzare tutto il grande ambito delle espressioni artistiche, dalla pittura alla scultura, dalla danza al teatro, dal cinema alla fotografia alla composizione poetica. Scrive Paolo Mottana, tra i promotori del Manifesto dell’educazione diffusa: “Questa è l’occasione buona per ripensare i curricoli, per sfondare il mortorio scolastico, per aprirsi all’esterno, per liberare soggettività, espressioni, forme vitali che sono state messe in quarantena ben prima che arrivasse il virus”

Anzitutto calma (senza gesso). Non c’è fretta. O meglio, non ci deve essere fretta. Si sa che bisogna rinchiudere al più presto i bambini a scuola affinché i genitori possano tornare a fare il loro dovere di bravi lavoratori. E tuttavia i bambini non richiedono soluzioni raffazzonate e accelerazioni furiose. La scuola, o meglio, l’educazione, non è un’azienda che deve far profitto e il suo profitto non è comunque il numero di ore che i suoi allievi trascorrono parcheggiati in essa. Se si conoscesse minimamente qualcosa di apprendimento si saprebbe bene che il numero di ore trascorse all’interno di un posto come la scuola (almeno per come è oggi nella maggioranza dei casi) è inversamente proporzionale all’avanzamento dell’apprendimento autentico di ogni bambino o ragazzo su questa terra.
Prendiamo il tempo necessario e cogliamo l’attimo. L’attimo che questo stop ci ha dato per capire una serie di cose.
Innanzitutto che non sono bambini e ragazzi ad aver bisogno di noi ma noi di loro (noi intendo educatori, insegnanti e compagnia cantando).
In secondo luogo che occorre prestare la massima attenzione con quel bizzarro caravanserraglio della didattica a distanza, che si è rivelata un completo buco nell’acqua, non solo per la grottesca strutturazione operativa che le è propria ma anche perché né insegnanti né ragazzi (i famosi nativi digitali) sanno utilizzare tecnologie spesso complicate quanto invasive e inattendibili. Abbiamo visto che molti allievi non si collegano, che altri sono disturbati dal viavai domestico, i video vengono fatti girare come oggetti di scherno ecc ecc. Se proprio la si vuole fare che si predisponga una corretta formazione per entrambe le categorie.
Occorre essere seri e pensare ad un’educazione seria, sensata, che procuri apprendimento e non un po’ di loisir per famiglie annoiate e ragazzi che pur di vedere facce diverse si accontentano anche degli insegnanti. Quindi: ridurre al minimo la didattica a distanza, già una panzana in sé ma ancor peggio quando le tecnologie disponibili sono scadenti e per di più mal utilizzate.
I bambini e i ragazzi han bisogno di incontrarsi e di vivere carnalmente il mondo. Quindi fuori il più presto possibile chiarendo bene con questi benedetti esperti e scienziati (se se ne trova qualcuno che ci abbia capito qualcosa), quali rischi effettivi corrono anzitutto loro e poi i loro parenti. Io mi auguro che ora di settembre molti dei timori (talora non si capisce quanto fondati) che minano oggi la fiducia in una ripresa in carne ed ossa della vita sociale siano scomparsi (sempre che qualcuno non abbia interesse a mantenerli tali, e possiamo immaginare chi).
Detto ciò, posto poi che davvero una didattica a distanza sia necessaria, occorrerà aumentare il più possibile le attività all’aria aperta, per tutti e non solo per i più piccoli. Dividere il più possibile i gruppi, con alternanza di attività motorie e attività cognitive da svolgersi in piccoli gruppi in spazi ampi e distanziati dove necessario (liberare le aule dai banchi potrebbe essere un primo espediente, poi utilizzare spazi più grandi come palestre, giardini, campi sportivi interni alla scuola o altri spazi agibili nelle vicinanze).
LEGGI ANCHE L’educazione all’aperto aa.vv., Riapriamo i cancelli delle scuole G. Cantisani, Senza cornice il quadro viene giù F. Palomba e P. Sentinelli, Fare scuola fuori dalla scuola P. Nicolini, Una proposta per la scuola M. De Biase I fantasmi dell’educazione a distanza F. Lorenzoni, Una scuola libera e viva aa.vv.
Insegnare per progetti, per percorsi e per esperienze articolate, come predicato dall’educazione diffusa in tutti quegli ambiti vitali che stimolano l’interesse e l’entusiasmo dei ragazzi: servizi (i ragazzi proprio ora potrebbero far molto per chi è più in difficoltà, dal fare la spesa, portarla a casa a altri piccoli servizi di pubblica e domestica utilità); lavoro (allo stesso modo potrebbero prendersi in carico piccoli lavori di riparazione e anche di recupero all’interno delle stesse scuole o all’esterno dove sia possibile e abbia senso, dalla cicloriparazione, ai giardini, agli orti, ai parchi robinson, ai sentieri (dove ci sono) ecc ecc.
Poi produrre una grande centratura sui corpi, i veri avviliti da questo tragico periodo: avviando a costruire percorsi di arti marziali (quelle a distanza se occorra, o le forme esercitative di quelle corpo a corpo), bioenergetica, meditazione, sport, corse campestri, giochi senza frontiere (anche da inventare), educazione sessuale (con modelli plastificati antivirus) ecc. ecc..
Ancora naturalmente e più che mai la natura. Assolutamente, a tutti i livelli anagrafici e psicoaffettivi, avviare attività nella natura, in cui esplorare, osservare, vivere insieme alle forme della vita vivente e non a quelle mummificate sui libri e lì inscenare la ripresa dei propri corpi e dell’ambiente non cementificato.
Infine tutto il grande ambito delle espressioni artistiche: dalla pittura alla scultura, dalla danza al teatro, dal cinema alla fotografia alla composizione poetica. Se non si potrà farli toccare tra loro (ahinoi), reciteranno e danzeranno distanziati o “mascherati”!
La didattica disciplinare deve sempre più essere al servizio di attività complesse, di progetti, di iniziative di cui sia alimentazione e strumento piuttosto che ingombrare di ore di lezione smorte e avvilenti (e poco funzionali all’apprendimento). L’utilizzo di materiali video, di lezioni (anche videoregistrate ma ben fatte) ma soprattutto di quell’enorme risorsa di documentari ormai disponibile a tutti deve servire solo da innesco per discussioni, interpretazioni, messe in scena, processi giudiziari ecc. in cui gli argomenti culturali siano finalmente vissuti come fonti di appassionamento individuale e interpretazione collettiva.
Se poi esisteranno abilità o conoscenza escluse da tutto ciò d indispensabile per sormontare i test di occupabilità stabilite dagli stakeholder delle multinazionali, che si facciano piccoli laboratori di recupero, consulenze individuali, gruppi di supporto.
Questa è l’occasione buona per ripensare i curricoli, per sfondare il mortorio scolastico, per aprirsi all’esterno, per liberare soggettività, espressioni, forme vitali che sono state messe in quarantena ben prima che arrivasse il coronavirus.
* Docente di Filosofia dell’educazione presso l’Università di Milano-Bicocca, Paolo Mottana si occupa dei rapporti tra immaginario, filosofia e educazione. Tra i suoi ultimi libri La città educante (Asterios), scritto con Giuseppe Campagnoli. È tra i promotori del Manifesto dell’educazione diffusa. Altri articoli di Mottana sono leggibili qui. Ha aderito alla campagna Ricominciamo da 3.
Condividiamo lo stesso orizzonte, pensiamo a una Scuola con la S maiuscola ?
Come sempre…gli articoli di Paolo Mottana sono illuminanti. Grazie.
Abbiamo realmente e con urgenza ( senza fretta) di una scuola come ci viene descritta da Paolo Mottana.
Spazio, Tempo, Corpo, Arte, Natura, Bellezza, Esperienza. Le parole chiave per una scuola che si rinnova, che si muove, si trasforma.