Una proposta per ritessere i legami di comunità e prepararsi alla ripartenza della scuola senza lasciare indietro nessuno, rimbalza in questi giorni tra le scuole aperte e partecipate: dal 1° giugno edifici scolastici aperti in tutta Italia per l’estate, con il volontariato dei cittadini. Del resto, sono già centinaia le scuole che hanno favorito la partecipazione degli studenti, dei genitori, dei cittadini, del territorio per tenere aperte la scuole nei pomeriggi e nei fine settimana con attività sociali e culturali. Si tratta di pensare alla scuola all’interno di comunità territoriali

La proposta parte da due premesse. In primo luogo bisogna tener conto delle scelte governative per l’emergenza sanitaria su scuola ed educazione; tuttavia su questi temi “non basta obbedire alle norme emanate” (1) ma la legge, pena la sua inefficacia, è obbligata a passare attraverso la partecipazione responsabile dei cittadini. Che vanno coinvolti perché la cultura della responsabilità si costruisce insieme nella società, a partire sì dalle indicazioni date, ma attraverso la sperimentazione comune di soluzioni locali e appropriate che spettano ai cittadini di ogni territorio.
In secondo luogo la riorganizzazione della scuola pubblica per l’emergenza sanitaria potrebbe pesare sull’efficacia delle azioni sin qui messe in campo per il contrasto alla dispersione scolastica; se si dovessero ridurre le ore di scuola in presenza questa soluzione allontanerebbe le fasce più fragili dalla scuola ed amplierebbe la dispersione scolastica.
In definitiva le scelte, qualsiasi esse siano, non possono prescindere da un coinvolgimento attivo e propositivo della società tutta che si muove intorno alla scuola e all’educazione dei giovani e da una visione intera della società che faccia uscire la scuola dall’autoreferenzialità e la includa all’interno di una comunità territoriale che ha risorse e competenze diffuse.
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L’analisi
La scuola pubblica, se lasciata sola nell’emergenza sanitaria, non può che “perdere” la sua difficile battaglia. Se le risorse umane e gli spazi a disposizione sono gli stessi può inventarsi qualsiasi soluzione ma sempre dovrà lasciare a turno a casa bambini e studenti, o diminuire le ore e le possibilità in presenza, riducendo la sua funzione sociale ed educativa.
Se la scuola pensa a se stessa come a una organizzazione chiusa non può che finire così; ed avremo assistito a una storia già scritta in partenza, all’allontanamento di decine di migliaia di giovani e delle loro famiglie a cui chiederemo di arrangiarsi da soli. Si tratterebbe del fallimento della scuola pubblica ed anche delle politiche sulla dispersione scolastica degli ultimi dieci anni.
La domanda diventa quindi se la scuola pubblica ha una possibilità diversa di uscire da questo gioco a somma zero e trovare una soluzione a questa emergenza senza rinunciare alla sua funzione di guida e formazione per il paese?
La possibilità c’è ed è semplice anche a farsi se solo si esce dalla visione, purtroppo molto diffusa, nella scuola pubblica, di una scuola chiusa che deve risolvere i problemi all’interno del suo fortino senza saper usare le risorse che ci sono fuori dai cancelli degli edifici scolastici. Basterebbe invece coinvolgere la società intera come supporto della scuola pubblica in un momento di grande bisogno. Una società italiana che ha dimostrato una grande solidarietà, che si è mobilitata per non lasciare nessuna/o da solo e che ha messo in campo risorse straordinarie di vicinato, di prossimità, di volontariato.
Ciò che sta funzionando sono i legami all’interno di ogni territorio, tra i vicini di casa/quartiere/paese, tra le famiglie di una stessa scuola, tra chi ha bisogno e le realtà di volontariato già presenti nei contesti più difficili, tra gli utenti e le realtà del welfare del terzo settore impegnate con servizi sui territori più fragili.
Anche nella scuola sono i legami tra organizzazione scolastica, famiglie e territorio di riferimento che stanno permettendo il sostegno a tanti bambini e studenti e alle loro famiglie con l’apporto della comunità educante del territorio che sostiene l’integrazione di chi manca all’appello a distanza. E ne viene fuori un insegnamento importante: laddove la scuola si è aperta al territorio e si è costruita una rete con le famiglie e con il territorio, aprendo la scuola al pomeriggio e alla collaborazione con i genitori e con i cittadini, è stato possibile riprendere i legami con chi si è perso, riallacciare un contatto scolastico e con le famiglie. Laddove la scuola è ancora chiusa e sola è molto più difficile riallacciare un legame che era basato unicamente sulla presenza alle lezioni e questo nonostante gli sforzi personali di tanti docenti che non si rassegnano e che provano a cercare tutti gli studenti con tenacia.
Chi ha praticato la scuola aperta al territorio sa che abbiamo a portata di mano una possibilità preziosa per non lasciare sola la scuola pubblica e aprire finalmente la porta aperta dei nostri edifici scolastici per permettere che la comunità educante si prenda carico di quello che manca e colmi i vuoti.
In Italia sono state centinaia le scuole che hanno aperto alla partecipazione dei propri studenti, dei genitori, dei cittadini, del territorio che tengono aperta la scuola al pomeriggio, la sera, il sabato, la domenica, l’estate. Per svolgere anche attività di ampliamento dell’offerta formativa ma soprattutto sono diventate luoghi d’incontro al di fuori dell’orario scolastico degli studenti, dei genitori, dei cittadini tutti, delle realtà di volontariato e del terzo settore di un territorio. Veri e propri poli civici, dove avviene l’incontro tra le generazioni, tra le diverse componenti di una comunità territoriale, tra le agenzie educative, dove si costruisce la comunità educante (2).
Alla scuola pubblica e agli enti locali il compito della governance di questi processi che, tuttavia, appartengono e devono essere lasciati alla gestione diretta delle comunità territoriali che hanno dimostrato di saper trovare soluzioni appropriate al proprio contesto ed ai propri bisogni.
Una proposta operativa
Sappiamo che la scuola pubblica non è organizzata per aprire la scuola d’estate e che i centri estivi non sono la soluzione e non sono fattibili nei tempi delle procedure pubbliche ma le istituzioni possono invece sostenere l’azione e lasciarla fare agli studenti e ai cittadini di ogni comunità che possono tenere aperte gli edifici scolastici con il volontariato tutta l’estate mettendo a disposizione le riserve di gratuità che sono enormi nel paese (genitori, insegnanti in pensione e in servizio, cittadini attivi, pensionati, volontari delle associazioni, ex alunni, giovani).
Come è già successo a centinaia di scuole d’Italia dove i genitori o le associazioni o gli amministratori locali hanno le chiavi e aprono l’edificio scolastico dopo l’orario scolastico per tante attività condividendone la gestione.
Solo a Roma e a Milano, ad esempio, ci sono oltre trenta associazioni di genitori che possono già farlo e che sono in grado di tutelare il bene comune e di pensare al bene dei bambini mettendo a disposizione le proprie risorse di volontariato per permettere a tutta la comunità del territorio di partecipare e di ridare questa estate uno spazio di socializzazione ed elaborazione ai bambini. Ai cittadini di una comunità chiediamo un impegno gratuito e di volontariato per accompagnare la scuola della propria comunità, alle istituzioni chiediamo di costruire le condizioni per permettere ad una comunità di sperimentare le proprie soluzioni.

Nel pandemonio di una pandemia dove si è sensibilmente smarrito il senso e i ruoli, dove genitori e docenti hanno perso il limite tra lavoro e scuola, dove la didattica a distanza ha portato avanti l’insegnamento e quel minimo di relazione educativa, scopriamo in questo articolo la possibilità di aprire le scuole a giugno. Dunque pare che questo virus sia sparito, ma non è così visto che in Italia e il Lombardia ancora oggi in silenzio muoiono persone. Il silenzio che fa comodo per la corsa a ripartire. Se vogliamo ripartire la sicurezza e la competenza di educatori, psicologi, docenti, pedagogisti e medici dovrebbe essere in primo piano, mentre qui si parla di volontari cittadini. Ancora una volta confusione e mancanza di ruoli chiari perché se è vero che qualcuno sbandiera la riapertura delle scuole a giugno, a questo punto era meglio riaprire la didattica e la scuola di sempre.
Ma visto che non è così forse ancora una volta è il tempo quello di cui tutti hanno bisogno e non la finzione di tornare a una presunta normalità.
Cittadini e volontari sono a loro volta educatori, psicologi, docenti, educatori, genitori … competenti e in grado di prendersi e gestire responsabilità.
Che si debbano rispettare i DPCM è detto e confermato: appunto perchè non confondiamo i ruoli. Ma questo non vuol dire che tutti possiamo e dobbiamo sentirci chiamati a fare la nostra parte, nello spazio definito dalle norme, per rispondere creativamente ad una situazione nuova.
Che le istituzioni da sole non possano far tutto se non c’è “libera iniziativa dei cittadini … per l’interesse generale” è scritto anche in costituzione.
Avevo inviato un articolo “Didattica a distanza. Una voce critica” Avete ritenuto di non pubblicarlo. Viceversa il sito “Oltrelenuvole” curato da Livio Pepino, preminente esponente del movimento No Tav, ha deciso di divulgarlo. Mi astengo quindi dall’inviare ulteriori contributi a questa testata, percependo una sorta di censura. Se così non è, una spiegazione pubblica è doverosa. Teodoro Margarita, insegnante nella scuola pubblica da circa trent’anni. Collaboratore de Il Manifesto.
Faccio ammenda e chiedo scusa a Livio Pepino, il sito che ha ospitato il mio intervento critico sulla famigerata DAD, si chiama “Volerelaluna”. Chiedo scusa ai suoi collaboratori. https://volerelaluna.it/?s=Teodoro++Margarita