Negli ultimi due anni il ministero della difesa (governo Conte II e Draghi) ha chiesto l’approvazione in parlamento di un numero senza precedenti di programmi di riarmo (diciotto). Il 64 per cento della spesa italiana per le missioni militari è destinato a operazioni collegate alla difesa di fonti fossili. Naturalmente il micromondo italiano non è l’unico a fare politica con le armi. La guerra non è un’improvvisa parentesi
Chi è il colpevole di questa guerra? È la Nato che sta allargando i propri confini? È Vladimir Putin che ha scommesso sulla propria forza e ha tirato la corda puntando sulla debolezza statunitense e sulle divisioni dell’Europa? Io penso che la colpa è prima di tutto di chi fa politica con le armi. E mi pare una disquisizione da salotto decidere chi sia più o meno responsabile.
«La spesa militare, a livello globale, è raddoppiata dal 2000 ad oggi, arrivando a sfiorare i duemila miliardi di dollari all’anno» (dall’appello di cinquanta premi Nobel e scienziati). E se guardiamo in tasca al nostro paese ci accorgiamo che il bilancio del ministero della difesa per il 2022 sfiora i 26 miliardi di euro con un aumento di 1,35 miliardi. «Ci dobbiamo dotare di una difesa molto più significativa e bisognerà spendere molto di più di quanto fatto finora» ha detto Mario Draghi. Ed ecco che un colpevole ce lo abbiamo dentro casa. Fa il presidente del consiglio in Italia.
Un altro si chiama Lorenzo Guerini. Giorgio Beretta, analista della Rete Italiana Pace e Disarmo ci fa sapere che il nostro ministro della guerra «ha sottoposto all’approvazione del Parlamento un numero senza precedenti di programmi di riarmo: diciotto, di cui ben tredici di nuovo avvio».
Greenpeace International ci dice che «circa il 64 per cento della spesa italiana per le missioni militari è destinato a operazioni collegate alla difesa di fonti fossili». Negli ultimi quattro anni abbiamo speso 2,4 miliardi di euro nelle missioni militari collegate a piattaforme estrattive, oleodotti e gasdotti che riguardano l’Eni.
Per me è un piccolo capolavoro di indecenza l’articolo che Ernesto Galli della Loggia ha scritto sul Corriere della Sera il 12 luglio 2020 a proposito dell’Egitto. «Abbiamo bisogno del ben volere di Al Sisi perché l’Eni possa continuare non solo ad estrarre dal suo Paese l’ingentissima quantità d’idrocarburi e di gas che estrae ogni anno» e dunque possiamo evitare di chiedere #veritàperGiulioRegeni. Il bravo giornalista ritiene che sia più significativo «intitolare sempre al nome di Giulio Regeni un certo numero di borse di studio (magari chiamando l’Eni a contribuire al loro finanziamento)…».
Allora? Chi è il colpevole di questa guerra?
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