Quello di Martina Lucano, figlia di Mimmo, è un grido. Ma non sembra isolato, nasce in questo tempo sospeso come invito a gridare, discutere, nutrire la memoria, ad esempio su Riace, dove molti hanno cercato risposte alla domanda: cosa possiamo fare per trasformare il mondo in un luogo migliore? Per questo è anche un grido di rabbia e dolore per Becky, accolta a Riace e uccisa dalle fiamme nel ghetto di San Ferdinando, per la quale non c’è mai stata neanche un’indagine. Un grido di rabbia contro i Decreti sicurezza. E contro chi ha aggredito la storia di Riace. Ma è anche un grido con cui riconoscere ciò che fa sbocciare speranza, come la ribellione di tanti e tante alle mafie. È un grido di libertà, quella insegnata a Riace dagli zingari. È un grido pieno di vita, per restare stretti al messaggio di Mimmo Lucano
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C’è stato un momento, prima che tutto precipitasse, in cui per un attimo ho avuto una speranza. Mi ricordo sempre di quel momento, per la violenza con la quale, subito dopo, quell’unica speranza crollò.
Era il dicembre del 2017, qualche giorno prima di Natale. A ottobre mio padre aveva ricevuto un avviso di garanzia: era in corso un’indagine che coinvolgeva praticamente tutti gli operatori dell’accoglienza a Riace. Lui, Domenico Lucano, era il maggiore imputato. Fummo sconvolti, ma non avemmo neanche il tempo di accorgercene.
Negli ultimi anni in tantissimi hanno conosciuto la storia di questo paesino in cui la maggior parte dei residenti sono stranieri. Qualcuno l’ha considerato un miracolo, altri una minaccia. Per chi abita lì, la realtà è semplice, e il suo volto, autentico.
C’è un verso di Jacques Prévert che mi torna sempre in mente quando penso alla storia di mio padre, dice “era semplice, eppure bisognava pensarci”.
Quello che ci hanno insegnato gli zingari
Bisogna pensarci, perché un posto cominci a esistere. E non è tanto una metafora. Negli anni della mia infanzia ho vissuto un mondo piccolo, senza scambi. Se dovessi dire quali furono allora le esperienze più incisive, dovrei parlare degli zingari. Ogni anno, a settembre, il paese si riempiva di pellegrini per la festa patronale. Le comunità rom della Calabria sono anche loro devote ai nostri Santi, ed era uno spettacolo incredibile vederli riempire i cortei in processione, danzando. Era un vero evento: tutte le porte erano aperte per chi veniva da fuori.
Forse, se veramente c’è un modello Riace, come spesso hanno scritto, è quello che ci hanno insegnato gli zingari: la libertà, fuori da ogni vincolo territoriale, ma salda nella storia dei popoli.
Quando negli anni Novanta ci fu il primo sbarco di curdi, tanti fili cominciarono a intrecciarsi. Si cominciò a pensare quello che prima era semplice. Quei migranti sfuggivano a un regime, avevano delle rivendicazioni. Con loro, l’antica ospitalità “devota” cominciava ad assumere un senso politico. Si secolarizzava, per così dire, diventando intervento, e poi programma. Riace non aveva, per conto suo, alcuna opportunità. Il comune era un’istituzione praticamente vuota. Di qualche utilità ma senza alcuna idea del futuro. Quell’idea ci venne invece dal mare, che nessuno se l’aspettava e cambiò per sempre la nostra storia. Raccontarlo adesso, ripercorrere quegli avvenimenti, mi lascia qualche amarezza…
Quel dicembre del 2017, dopo vent’anni di incredibile storia, messo alle strette dai tagli sui progetti, per la prima volta sentii dire a mio padre la parola “basta”.
I CAS, centri di accoglienza straordinaria, nella fattispecie, non sono altro che campi di contenimento. Mi sembra sempre sorprendente che ci si possa scandalizzare per fatti passati, fatti della memoria, e restare completamente indifferenti circa il presente. Wittgenstein diceva che si commemora solo ciò che si vuole dimenticare, e rispetto alla realtà dei campi, che contrassegna drammaticamente la storia contemporanea, ciò è particolarmente vero.
A Riace non sono mai esistiti i campi. La fisionomia del borgo non lo consentiva, la sua cultura non poteva in alcun modo contemplarli. I migranti hanno abitato le case vuote di altri migranti; anche questo era semplice, pensandoci.
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Becky Moses
Tra gli ospiti del CAS mi ricordo di Becky Moses, veniva dalla Nigeria. Di lei si è parlato un po’, poi più nulla (leggi anche Due anni di libertà). Quell’anno la commissione territoriale che sceglie chi può restare decise che per lei non c’era posto. Prima di partire andò al comune per avere il documento d’identità. Almeno un nome sul suo viso giovane e già segnato, come tanti… Non avrebbe potuto, senza il permesso di soggiorno non si può. Mio padre gliela fece lo stesso: quella carta, qualche settimana dopo, servì solo a riconoscere i suoi resti tra le macerie dell’incendio nel ghetto di San Ferdinando, il 27 gennaio del 2018.
Per la prima volta nella mia vita scoprii che il male non è un termine astratto. C’era un corpo su cui si era trattato, si era deciso, eppure la sua fine fu venduta come un fatale incidente. Aveva ventisei anni.
Sempre dicembre, tre anni dopo, 2019. Mio padre riceve un nuovo avviso di garanzia. Falsità ideologica. Di nuovo una carta di identità rilasciata “illecitamente”. Quando me la mostra però sorrido. Sulla fototessera c’è il viso rotondo di Filomon. Ha quattro mesi. Era arrivato a Riace nell’aprile 2016, quando aveva appena sei giorni. Era nato in Italia, sua madre l’aveva dato alla luce a Reggio Calabria, qualche giorno dopo lo sbarco della nave su cui aveva viaggiato, sola, dall’Africa, e al termine della sua gravidanza. Mio padre mi racconta che allora, quando fu chiamato dalla prefettura di Reggio Calabria per stabilire il loro trasferimento a Riace, Carmela Marazzita, l’assistente sociale del reparto immigrazione, gli aveva riferito quella storia quasi commossa.
L’STP è un codice che viene rilasciato dalle aziende sanitarie locali ai migranti non comunitari perché abbiano garantita l’assistenza sanitaria. Ma basta solo per i servizi di base. Filomon aveva un’insufficienza enzimatica, aveva bisogno di un pediatra. Per assegnarglielo serviva la carta d’identità. Mio padre la firmò per lui e per sua madre.
Non m’importa se ora ci sarà un nuovo processo, se dopo l’arresto, l’esilio, il processo già in corso, mio padre dovrà tornare a testimoniare per la sua innocenza. Il mio orgoglio supera il dolore.
Ma provo rabbia, per le morti senza nome nei tendoni della piana di Gioia Tauro, per quelle misure senza scrupoli, perché siamo ciechi e sordi e nulla riesce più a toccarci. E non smette di sembrarmi assurdo che per Becky, per quella carta di identità che le è sopravvissuta, non c’è mai stata nessuna indagine. Perché? Per quella fine così odiosa? Perché quel campo porta incisi i caratteri dello Stato?
La prima manifestazione con le bandiere nere
C’erano delle irregolarità nel sistema, a Riace. È vero, non meno del fatto che mai la dignità di qualcuno è stata calpestata. Quelle imperfezioni rappresentarono a lungo e per molti un’eccellenza nel panorama mondiale dell’accoglienza ai rifugiati. E fu mio padre stesso a richiedere un’ispezione alla Prefettura. Allora non potevamo immaginare che ciò si sarebbe trasformato in un procedimento giudiziario. Ma qualcosa stava mutando nel clima del nostro Paese. Parlare di migrazioni diventava ogni giorno di più il centro di una polemica amplificata strumentalmente, il consenso politico era dipendente da quel linguaggio, da quel modo di comunicare quasi esclusivamente insofferenza e ostilità. Sarebbe stato necessario allora, e non solo per la sinistra, ma per la tenuta della nostra democrazia, che quel tema non fosse trattato come una storia a parte. Ciò ha aumentato solo il senso di discriminazione, offrendo anzi una base giustificativa a quanti erano intolleranti, e ora potevano urlarlo.
Gli anni appena trascorsi li ricorderemo con tristezza: neofascismo, xenofobia, sovranismo degli Stati, hanno costruito il nuovo scenario presente.
Non avevo mai visto una manifestazione con le bandiere nere. Successe proprio allora. A Riace, nell’estate del 2017, un gruppo di Forza Nuova si riunì sotto il municipio. Con sdegno leggevano i risultati dell’ispezione, un documento finito su Il Giornale prima che potessimo leggerlo. “Il modello Riace è criminale!”. La risposta di mio padre fu di chiedere un’altra ispezione, e più approfondita.
Ho imparato che la verità è un compito paziente. Non basta domandare. Bisogna tener fede alla propria coscienza, per senso di responsabilità verso gli altri.
Per avere la relazione relativa alla seconda ispezione trascorsero mesi lunghissimi. Tutti lo dissuadevano, gli intimavano di non insistere. Al telefono con me, mio padre non parlava d’altro. Ho tenuto sempre da parte il mio affetto, le mie sofferenze. È un orribile sacrificio, ma non sarei potuta essere d’aiuto altrimenti. Quando finalmente poté leggerla era felicissimo. Anch’io lo ero. Si parlò a lungo di quel documento che non aveva affatto l’aria di un documento: una fiaba, dissero. Eppure non bastò. Riace paese dell’accoglienza non esiste praticamente più. Esistono ancora, invece, i Decreti Sicurezza, l’unica concreta eredità lasciata dall’ultimo governo.
Dove sboccerà la speranza?
Quando si insediò, fu qualche giorno dopo un omicidio avvenuto a Rosarno, a sfondo razzista, il 2 giugno 2018. Volli ascoltare il discorso del Presidente del Consiglio, ero curiosa di sentire se ne avrebbe fatto menzione, vista la posizione per nulla neutra del suo ministro dell’Interno sui temi dell’immigrazione. Da parte delle istituzioni non ci fu a riguardo nessuna parola significativa. Mi ricordo invece della manifestazione che ci fu a Rosarno, sempre in quei giorni. Nelle immagini alla tv, quel corteo sfilava sulle strade deserte della città, i braccianti neri reggevano i cartelli con la faccia di Soumaila Sacko. Qualcuno si affacciava alla finestra, sbirciando appena. C’era solo un bianco, un solo rosarnese, anziano ed energico, sceso a protestare con loro. Lo riconobbi subito, era Peppino Lavorato. L’avevo visto a Riace tante volte al fianco di mio padre. Il suo nome è legato alla lotta alla mafia, come quello del suo compagno Giuseppe Valarioti, martire della ‘ndrangheta. La lotta alla criminalità in Calabria è tutta in quella immagine. E mi piace pensare che è da lì che muoverà la vera avanguardia per il riscatto del Sud. Una storia che dovrà sbocciare.
Ora penso spesso alle ultime parole di Socrate nel processo che lo condannò a morte. Quando ero studentessa di filosofia le sentii per la prima volta e furono come il suggello di un sentimento che provavo da sempre. Senza recriminare nulla ai suoi accusatori, Socrate rivolgeva loro una supplica:
“… quando siano cresciuti vendicatevi sui miei figli, cittadini, dando loro lo stesso fastidio che davo io a voi, se vi sembrerà che si curino della ricchezza o di qualsiasi altra cosa più che della virtù; e se avranno l’aria di essere qualcosa senza essere nulla, rimproverateli – come io facevo con voi – perché non si curano di ciò che dovrebbero, e presumono di essere qualcosa mentre in realtà non valgono nulla. Se così farete avrò avuto da voi – io con i miei figli – quel che è giusto”.
Con queste parole resto stretta al messaggio di mio padre. Qualunque cosa accada.
alfredo neve dice
straordinario messaggio politico di una giovane donna, una figlia, che rivendica “tutta la storia” del padre, Mimmo Lucano,Sindaco di Riace, perseguitato per “reato di Umanità”…
Alberto Barbieri dice
Mi associo cara Martina al tuo grido di rabbia!
Fa male al cuore,all’anima vedere come una giustizia al servizio di Salvini anche se costui non è piû al governo continui ad accanirsi ingiustamente su tuo padre colpevole solo di accoglienza ed umanitarietà verso gli ultimi!??❤️❤️
Giuliana Donati dice
Ho sofferto con voi e con Riace per quello che vi hanno fatto , ma il vostro esempio è un seme che germoglia e darà moltissimi frutti. Tutta la mia stima
Loredana Donnici dice
Un grido pieno di vita che va accolto e ascoltato. Grazie.
Antonella Provenzano dice
Ho veramente molto da imparare da voi. Appena esco da questi arresti domiciliari, prometto che tornerò a trovarvi per respirare un po’ di “aria buona”.
Vincenza Di Schiena dice
Grazie! Brava Martina ❤️.
Enzo Infantino dice
Una bellissima testimonianza. Brava Martina.
Dario dice
Grazie dal cuore a persone come te e come tuo padre, ci aiutate a restare umani!
Luciana Bova Vespro dice
L’ho già condivisa, grande Martina ❤️
Giovanna Procacci dice
Bella la tua riflessione, Martina. Grazie!
Jole Garuti dice
Grazie Martina, sei la degna figlia del tuo grande padre. Abbiamo tutti da imparare da te e da lui.
Jole Garuti
Elena Accarino dice
Una riflessione asciutta e una testimonianza che mostra una grandissima sensibilità verso l’unica cosa che ha valore nel mondo, la vita e il rispetto delle persone…grazie di cuore per le tue parole.
Elena da Frascati
Daniela Diano dice
Grazie Martina. Di sicuro tu non sei “qualcosa senza essere nulla”. Si comprende, da queste tue riflessioni, che hai un pensiero pensante e non un pensiero pensato e che dai tuoi maestri, tra cui tuo padre, hai imparato che, qualunque sia la strada, il veicolo è la coscienza
Nadia Veronesi dice
Coraggio e umanità,sentirsi un tutt uno e averne fede….si può fare,voi ne siete un esempio! Grazie,Nadia Veronesi
Loredana dice
Ecco qualcosa verso cui tendere, sempre… Un messaggio bellissimo, di vale umano e politico nel senso più alto della politica. Lunga vita a Riace e a tutti coloro che se ne sentono parte siamo essi vicini o lontani… Ci vediamo presto nelle piazze d’Italia…
Giuseppe Sorrentino dice
Dall’alto dei miei 54 anni, ho sempre snobbato chi, dopo di me, ha tentato di cimentarsi col mondo dell’accoglienza, del volontariato e del servizio al prossimo. Solo leggendo le tue parole ed i tuoi pensieri essenziali, chiarissimi, indiscutibili, capisco quanto poco sono e quanto niente ho fatto
sino ad ora. Sono sicuro che come dici presto tutto ciò che avete fatto
darà vita ad una nuova
Calabria, quella di Lucano, Lavorato, Valarioti, spero solo ci sia spazio anche per me che a Riace ci lascio il cuore ogni volta che vado via!
Beppe Ron dice
Cara Martina, grazie! Grazie per la tua rabbia ma sopratutto per non mollare. Chi di rabbie ne ha vissute tante nella vita sa che per tornare vincenti bisogna sopirle, interiorizzarle, superarle. Ti dò pertanto la mia solidarietà partendo da questo post, che citando giustamente il compagno Valarioti, rinnova una mia rabbia antica. Lì si ruppe il dialogo tra la sinistra progressista democratica e la Calabria che voleva crescere nella libertà. Ammiro Tuo padre dal Nord e spero che vedendo te abbia una “nuova” voglia di continuare a lottare. Un’ Italia unita, per la prima volta, la faremo, se saremo capaci, iniziando a valorizzare, senza invidie, battaglie di civiltà e futuro come quella che avete condotto nella Vostra stupenda terra. Un abbraccio!
Orlando Cavedoni dice
Ormai sono un vecchio catorcio, 71 anni, ma credo che il nostro riferimento migliore debba essere Papa Francesco, e quel messaggio di Pasqua: nessuno si salva da solo, siamo tutti nella stessa barca. Grazie Mimmo
Raffaella Baraldi dice
abbiamo seguito la vicenda di Riace prima con speranza poi con rabbia e infine è rimasto il dolore. Ma le tue parole sono confortanti per la nuova speranza che Riace si scrolli questi parassiti e torni ad essere la luce ce indica la strada per l’uguaglianza
andrea perissi dice
Seguo spesso le notizie sul “caso” Riace, e ciò che sempre mi meraviglia è il fatto che questo caso sia ancora aperto. In un paese decente e con un minimo di senso democratico ogni indagine inerente ad esso dovrebbe ormai essere archiviata. Per fortuna è bello sapere che qualcuno testardamente continua ad impegnarsi, e sono sicuro che arriverà una giusta conclusione. Grazie Martina, e buon lavoro!
Brio dice
Brava Marti, bellissimo pezzo. Ndi vidimu al “cinema in terrazza”.
Patrizia dice
Grazie Martina per aver dato voce ai tuoi pensieri.
Tuo padre dopo queste tue è ancora più orgoglioso di te!
Patrizia da Cuneo
Patrizia dice
Ti dico solo GRAZIE Martina, tutto il resto lo hai già detto tu. Mi associo al tuo grido di rabbia e lo condivido affinché seguiti a propagarsi. Grazie
Bruni Patrizia dice
Cara Martina tu rappresenti la nuova generazione quella non indifferente alle ingiustizie verso i meno fortunati:perseguitati, sfruttati ecc. Sono sicura che questa umanità migliorerà e si potra convivere tutti in pace e a proprio agio, grazie❤️
Bruni Patrizia dice
Cara Martina tu rappresenti quella nuova generazione non indifferente alle ingiustizie verso i meno fortunati:perseguitati, sfruttati,ecc. Sono sicura che qiesta umanità migliorerà e si potra comvivere in pace e tutti a propio agio. Grazie ❤️
nicola chiarello dice
Aggiungi la mia rabbia alla tua, cara Martina, e non perdiamo comunque le certezze che ci danno speranza. Grazie
Paola Trasarti dice
Brava, Martina, tuo padre e tutti coloro che credono nella giustizia, sono orgogliosi di te! Tu rappresenti quella parte della gioventù più bella di questo Paese, alla quale è possibile affidare la speranza della realizzazione di un mondo migliore.
Grazie di cuore da una sessantacinquenne che non vuole rassegnarsi al degrado e alla barbarie! ♥️
Mimma Geria dice
Straordinariamente autentica ed efficace la testimonianza di Martina :mi auguro e CI auguro ,come calabresi e come italiani che quella legittima rabbia divaghi tra noi e ci faccia rinsavire !
Eugenio Nicoletti dice
Stupenda testimonianza e modello Riace assolutamente da imitare… L’accoglienza, a prescindere dal credo, deve essere considerata la base su cui costruire una società civile. Il populismo oltre che di ristrettezza mentale è indice di egoismo e di chiusura al confronto….
Margherita Cuscuna’ dice
Cara Martina, hai trasformato la rabbia e il dolore in lucida speranza! Sono commossa ed onorata di poter essere al tuo fianco ed a quello di tuo papà.
Margherita Cuscuna’ da Catania
Patrizia Angelotti dice
La ‘rabbia’ e il dolore di Martina sono anche i miei.
A quanto scrive non c’è nulla da aggiungere, va solo sottoscritto e condiviso.
Sento l’urgenza di fare qualcosa di visibile, utile se possibile, comunque di dimostrare chiaramente che Mimmo Lucano non è solo.
Ci troviamo in tanti a Riace? O a Locri davanti al palazzo dell’ingiustizia? O dove vi pare… Non restiamo nelle nostre case a piangere e a dare pugni al vuoto.
Patrizia Angelotti
Giuseppe carbone dice
Grazie per la lucidità delle tue riflessioni. Abbiamo trascorso un capodanno a Riace. Nessuna sentenza distruggerà la vostra storia
Anzi presto la luce prevarrà sull’oscurita’. Um abbraccio a te e a tuo padre. Giuseppe e Piera
Terranova di Pollino Potemza Luvani.