In un borgo ancora lacerato dall’aggressione contro l’esperienza di accoglienza diffusa, l’arrivo del virus ha aumentato lo smarrimento di tanti. I circa quaranta migranti rimasti vivono nell’incertezza più totale, sostenuti solo dalla Fondazione È stato il vento. Ma ad essere lasciati soli non sono solo i cittadini migranti
Da quando i migranti se ne sono andati, Riace sembra avvolto in un alone di apatia. Nel borgo, cuore del progetto di accoglienza che ha fatto parlare il mondo intero, la gente sembra smarrita. Dall’oggi al domani tutto è cambiato per quelle persone che avevano aperto le braccia a così tanta gente venuta da ogni dove.
Come molte realtà calabresi, Riace è composta da due nuclei divisi, uno sulla costa, la Marina, e uno nell’entroterra, il Borgo: due realtà distinte, unite da sette chilometri di una strada tutta curve. La Marina, con un lungomare meraviglioso, un mare e una spiaggia spettacolari, si presenta come un nucleo di case di recente costruzione, molte delle quali appartengono a famiglie emigrate al Nord e che vi ritornano in estate, quando ad agosto chiudono le grandi fabbriche. Il Borgo invece è la parte storica di Riace, con vicoli stretti, case antiche, molte da restaurare, edifici che ancora oggi testimoniano un’epoca lontana. Qui è nato il modello di accoglienza per eccellenza che ormai tutti conosciamo. Ai tempi di grande accoglienza, Riace ospitava circa cinquecento migranti tra le case del Borgo ed è evidente l’impatto che questa presenza possa aver portato tra i residenti storici: con quasi la metà degli abitanti provenienti da oltre venti nazioni del mondo, Riace si era scoperto un paese cosmopolita. Odori, lingue, cucine, abitudini, rituali diversi hanno convissuto pacificamente per quindici lunghi anni. La comunità si era organizzata, c’era chi teneva a pranzo i bambini dei migranti mentre i loro genitori andavano al lavoro, li aiutavano a fare i compiti e il parco giochi era la testimonianza di una comunità vivace.
Nel giro di due anni tutto è cambiato a Riace. Velocemente, come una ruspa, un tornado istituzionale ha sradicato legami, amicizie e la stabilità di questa gente. Poi, con le elezioni comunali di maggio 2019, è stato eletto un sindaco filo leghista con i voti degli elettori della Marina. La gente del Borgo non la prese bene, loro avevano votato compatti la lista di Maria Spanò, fortemente proposta da Domenico Lucano che, scaduto il terzo mandato, era di fatto non ricandidabile.
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Lo smarrimento oggi è percettibile ovunque e in molti rimpiangono i tempi in cui Riace era un luogo vivo: i vicoli del Borgo appaiono abbandonati, la scuola chiusa. Nell’ultimo anno, due figure importanti per il Borgo hanno lasciato questo mondo: Roberto, il papà di Domenico Lucano, amatissimo insegnante elementare, da tutti chiamato il Professore, e Leonardo “il ballerino” che nonostante l’età, fino all’ultimo, ha stupito tutti con le sue tarantelle. Due lutti dolorosi, annunciati dall’età avanzata e dalla malattia che hanno segnato la fine inequivocabile di un’epoca.
Il nuovo sindaco si è impegnato soprattutto per definire passo dopo passo questo spartiacque e la sua amministrazione finora ha brillato per la sua azione di smantellamento di quanto, faticosamente, era stato costruito. Mentre Domenico Lucano subisce il calvario di un’azione giudiziaria senza precedenti nella storia della Procura di Locri, il sindaco Antonio Trifoli si impegna da subito a togliere i cartelli d’ingresso al paese “Riace paese dell’accoglienza” e li sostituisce con “Paese dei santi Cosimo e Damiano”, chiude l’ambulatorio medico gratuito Jmuel, punto di riferimento di tutta la zona per le persone disagiate, chiude la fattoria didattica, realizzata dall’amministrazione Lucano in un’area diventata una discarica a cielo aperto, toglie l’appalto dei rifiuti alla cooperativa locale e lo assegna ad una ditta, la Muraca srl, denunciata nel 2014 per discarica abusiva. Annuncia anche la cancellazione dei murales decorativi nel Borgo ma poi non lo farà, optando per lasciare che si deteriorino dall’incuria. Oggi appaiono come immagini sbiadite di un passato remoto, remotissimo. La manutenzione delle opere realizzate dall’ex gestione Lucano vengono abbandonate: il sentiero delle portatrici dell’acqua è ora quasi inagibile. Vandali deturpano indisturbati icone laiche come l’angolo del pescivendolo alla Porta dell’acqua.
Gli ultimi migranti si vedono costretti a pagarsi lo scuola bus se vogliono mandare i bambini alla scuola che ora, chiusa quella del Borgo, è alla Marina. Intanto, mentre la nuova amministrazione continua l’operazione “ruspa”, si scopre che il signor Trifoli non era candidabile. A novembre 2019, viene dichiarato decaduto dalla Cassazione e dal ministero dell’Interno, perché, a seguito di un esposto di Maria Spanò, non poteva partecipare alle elezioni in quanto dipendente a tempo determinato dello stesso Comune e non poteva quindi godere dell’aspettativa non retribuita per motivi elettorali da lui richiesta (e che una volta eletto sindaco aveva continuato a concedere a se stesso). Ovviamente presenta ricorso e continua ad amministrare, si fa per dire, come nulla fosse, in attesa del pronunciamento della Corte d’Appello. La sua campagna elettorale basata su principi di legalità e ordine si dimostra da subito un bluff: un consigliere eletto nella sua lista, Claudio Falchi, segretario di Riace di “Noi con Salvini”, è costretto, dopo pochi mesi, a dimettersi, ufficialmente “per motivi familiari”, nello stesso giorno in cui la prefettura lo ha dichiarato ineleggibile a causa di una condanna per bancarotta del 2003.
A Riace, intanto, i circa quaranta migranti rimasti vivono nell’incertezza più totale e solo grazie al sostegno esterno della solidarietà nazionale e della Fondazione È stato il vento possono sopravvivere. Tra mille intoppi e ostruzionismi vengono riaperte le botteghe artigiane e anche l’ambulatorio medico Jmuel, in una sede ristrutturata con i fondi raccolti. Niente è più come prima, il disagio è pesante per chi abita al borgo e per quelli che da sempre sostengono l’ideale che Riace rappresenta. Non si vuole che tutto finisca, ma è difficile.
In questo clima di disagio arriviamo ai giorni nostri, senza che niente faccia pensare che l’amministrazione comunale stia lavorando per il bene del paese, anzi. L’emergenza Covid-19 arriva a Riace come ovunque, anche se qui, per fortuna, non ci sono casi di persone contagiate da segnalare. Ma le regole valgono per tutti e tutti si chiudono nelle case. Chi si arrangiava con lavoretti occasionali, si ritrova dall’oggi al domani senza entrate e senza prospettive. Si presume che il sindaco, da ex vigile urbano, conosca bene i suoi compaesani, sappia quali siano le situazioni più gravi, ma non ci giunge voce di interventi, iniziative a sostegno. Mentre in tutta Italia risuonano racconti di gesti solidali, raccolta fondi, collette alimentari, da Riace arriva invece la notizia che una donna, madre single di due adolescenti, si ritrova improvvisamente senza corrente. Abita in una casa popolare assegnatagli dalla precedente amministrazione che provvedeva anche a pagarle le bollette. Lavora come badante di una signora anziana e ora è costretta a rimanere a casa, le normative sono precise e vanno rispettate. Inutile per Lucia Catalano essere ascoltata, non c’è niente da fare: la nuova amministrazione non ha più intenzione di pagare la sua fornitura e neanche si è preoccupata di avvertirla, lasciandola in piena emergenza per diciotto giorni senza luce e acqua calda. La notizia è circolata nei social, suscitando l’indignazione di molti e solo dopo che la donna ha presentato un esposto, le è stata finalmente riattaccata la luce. Una situazione che la dice lunga sulla logica che ha guidato tutta l’operazione, soprattutto perché, contestualmente, con una delibera approvata l’11 marzo, l’esecutivo comunale ha approvato all’unanimità «di rideterminare con decorrenza dall’anno 2020 l’indennità di funzione mensile spettante al Sindaco nella misura dell’85 per cento dell’indennità spettante ai Sindaci dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero in 1.659,38 euro». Quindi– come previsto dalla legge – vengono aumentati anche gli stipendi del vicesindaco Francesco Salerno –da 250,56 a 331,88 euro, con un aumento del 20 per cento – e dell’assessore Teresa Gervasi – da 187,92 euro a 248,90, con aumento pari al 15 per cento. Insomma, sindaco e assessori si sono aumentati gli stipendi. Non sono grandi cifre ma comunque significative, soprattutto per un comune dichiaratamente in dissesto. A questo punto è bene ricordare che il 2 ottobre 2018, quando ancora c’era l’amministrazione Lucano, era stata votata un’autoriduzione dello stipendio del 15 per cento allo scopo di contenere le uscite delle casse comunali. La Riace di oggi è ben lontana dall’esempio di solidarietà sociale che l’ha resa nota ed è lo specchio di una preoccupante deriva generalizzata che travolge i più deboli che siano italiani, migranti o semplicemente vulnerabili.
Roberta Ferruti, Rete dei Comuni solidali
Maria Stella Focardi dice
Spero che diffondendo queste notizie possa cambiare qualcosa. C’è indignazione per la condanna di Lucano quando disinteressatamente ha realizzato un’utopia,un sogno di una comunità eterogenea che conviveva condividendo difficoltà lavoro momenti quotidiani di creatività divertimento nel rispetto e aiuto reciproco. Un esempio di una possibile convivenza di esempio per tutti in un periodo in cui sembra che domini l’egoismo e l’avidita. C’è da sperare che questa ingiustizia risvegli la coscienza di tutte le persone che credono nella giustizia e nella tolleranza e facciano sentire la loro voce a livello politico per cambiare qualcosa. I mafiosi restano impuniti e si infligge a Domenico Lucano una sentenzs che non viene applicata nemmeno per colpe gravi nei confronti dello stato.