Cercare risposte su cos’è una città educante e come è possibile crearla apre orizzonti di mondi nuovi. Un ricco scambio tra attori diversi – realtà sociali, pubblica amministrazione, università e professione – ha preso forma intorno all’idea di prossimità come “luogo” nel quale costruire ogni giorno relazioni di senso fra soggetti differenti della scena urbana
Ei bambini? La domanda di Daniele Mancini, architetto e ricercatore indipendente da sempre attento ai temi educativi, posta nella parte finale dell’incontro “Prossimità e spazi di formazione” (durante la VII Biennale dello spazio pubblico, ospitata nell’ex mattatoio di Roma e dedicata al tema della prossimità) è un corto circuito che costringe a pensare. Bambini e bambine possono trovare spazio in un contesto pensato con alfabeti accademici e professionali? Non è scontato come farlo, ma certo, come accade nei rarissimi progetti di riqualificazione urbana che sanno innalzarsi all’altezza delle bambine e dei bambini e coinvolgerli, un confronto fatto insieme a loro è in grado di arricchire una comunità e di fornire chiavi di lettura su cui lavorare.
Lo sforzo, riuscito, di chi ha coordinato l’incontro – Carolina Giaimo (Urbanistica Informazioni), Elena Andreoni (Roma Capitale), Gianluca Cantisani (Movimento di Volontariato Italiano) – è stato creare un ricco scambio tra attori diversi: pubblica amministrazione, università e professione, realtà sociali. Il punto di partenza? L’idea di prossimità come “luogo” nel quale costruire relazioni di senso fra soggetti differenti della scena urbana.
Tre le amministrazioni locali presenti: Bologna (alle prese in questo momento con progetti su pedibus, bicibus e piazze tattiche, ma anche con due istituti che vivono l’esperienza della scuola aperta), Roma (è stato segnalato il secondo bando sulle scuole aperte appena approvato per piccoli progetti biennali) e Torino (da cui è emerso il bisogno di una nuova cultura amministrativa multidisciplinare per ripensare le scuole come spazi polifunzionali e centri civici).
Alcuni ricercatori e ricercatrici hanno approfondito il tema dell’edilizia scolastica da diverse angolazioni e ricordato come “la città di prossimità” è un concetto affermato nella ricerca con Lewis Mumford avendo la scuola al centro, una scuola munita di spazi adeguati sia per i bambini che per gli adulti aperta tutto il giorno.
Un terzo gruppo di interventi, infine, ha mostrato l’importanza dei gruppi di cittadini che hanno smesso di delegare: dall’Associazione genitori Di Donato che da vent’anni a questa parte allarga lo spazio comune intorno alla scuola Di Donato/Manin di Roma (fino, ad esempio, allo stabile occupato di Spin time dove vivono quasi duecento nuclei familiari e la dispersione scolastica è pari a zero) e sperimenta modi diversi di essere un quartiere a misura di bambino e bambina, alla cooperativa Legami di comunità di Brindisi che ha imparato a ricomporre le relazioni sociali prendendosi cura di un parco, accompagnando i genitori a vivere l’esperienza della scuola aperta partecipata e inventandosi un bizzarro palio urbano.
Territori Educativi ha invece ricordato come in tante città esistono già esperienze sociali che ripensano in moltissimi modi cosa significa prossimità dal punto di vista educativo (a Torino, ad esempio, Acmos lo fa con la coabitazione e le scuole di quartiere), fanno esercizio di creatività (a Catania, Le città invisibili portano libri e letture tra i bambini in luoghi impensabili, comprese le fermate del bus, come raccontato nell’inchiesta dedicata alla scuola aperta partecipata dell’IC Fontanarossa), inventano nuove piazze (con i cortili scolastici o alcune aule che si riempiono ogni pomeriggio di bambini e bambine o con le strade che si svuotano delle auto come accade alla Di Donato, a Roma), e trovano nel gioco un modo per stravolgere le città (leggi l’inchiesta Fammi giocare). Essenziali e coraggiose in questo contesto risultano le elaborazioni e le sperimentazioni dell’”educazione diffusa”: in questo caso si ragiona di scuola senza mura ma anche di apprendimento senza scuola, cioè di città educante (leggi Architettura per una città educante di G. Campagnoli e Il mondo a venire con l’educazione diffusa di P. Mottana). Ha scritto Giancarlo De Carlo più di cinquant’anni fa: “La scuola non deve essere un’isola, ma una parte del contesto fisico e il contesto fisico stesso considerato nel suo insieme e concepito, nel suo insieme, in funzione delle esigenze educative…”.