Una nuova puntata del lungo viaggio giornalistico di Raúl Zibechi nella resistenza autonoma dei popoli latinoamericani al coronavirus. Questa volta si parte dalla chiusura del territorio dei Wampis, un popolo amazzonico che cinque anni fa ha creato un proprio governo autonomo dentro il Perù. Non è piccolo, quel territorio: un milione di ettari per 15 mila abitanti, guidati da un Consiglio dei Saggi, ma a governare sono le assemblee, in ogni valle ce n’è una. I Wampis pensano a un sistema educativo autonomo mentre recuperano le conoscenze tradizionali nelle colture, un progetto delle donne, e formano i propri giornalisti. Intanto a Lima continua l’esodo di oltre 150 mila persone, che tornano nei villaggi della Coridigliera per sfuggire alla fame e alla solitudine della capitale. Passando in Colombia, nella valle del Cauca, si promuove l’agricoltura biologica urbana per affrontare la fame, rigenerare l’economia e rivitalizzare l’organizzazione della comunità. I giovani universitari hanno occupato terreni, nel municipio di Popayán, destinati ai campi sportivi, ma hanno concordato con il Consiglio d’azione comunitaria che la priorità è quella di procurarsi il cibo. Coltiveranno nei cortili, sui tetti, sui terrazzi e in qualsiasi luogo dove le famiglie possano iniziare la transizione all’autonomia alimentare. “Stiamo portando avanti tutti i processi iniziati già al tempo della sollevazione”, spiegano le assemblee di Valparaiso, Cile, protagoniste della lunga e straordinaria protesta dell’autunno scorso. Con la pandemia, stanno raggiungendo quegli abitanti che non si erano mai avvicinati prima alle assemblee. Più che altro, spiegano in quella dell’ Asse Ecuador, “perché vogliamo essere orizzontali e ci sforziamo di non parlare troppo, per non imporci ai residenti che vengono per la prima volta”. Le assemblee hanno fatto di tutto: campagne per l’igiene collettiva, acquisti diretti dai produttori, fondi di solidarietà, panificazione collettiva e manuale. La precarietà è diversa se siamo organizzati, spiegano, perché “noi sappiamo come prenderci cura della vita, mentre lo Stato non ne ha idea”. Qui le precedenti puntate: I–II–III –IV e V del grande reportage “a distanza” di Raúl
“Il Governo Wampis[1] dichiara la chiusura totale dei confini territoriali per prevenire il coronavirus”, dice il titolo del secondo numero di “Nukumak“, definito come il Bollettino Informativo del Governo Territoriale Autonomo della Nazione Wampis. Il governo autonomo è stato creato nel 2015, la sua massima autorità è l’assemblea di 105 rappresentanti delle comunità dei diversi bacini dei fiumi Kanus e Kankaim, nell’Amazzonia settentrionale, che fanno parte di un territorio di un milione di ettari e 15 mila abitanti, ed è guidato da un Consiglio dei Saggi. Ogni valle ha anche un’assemblea, che è la massima autorità in ogni zona.
Il Pamuk o capo del governo, Wrays Pérez, ha detto che il sistema sanitario statale non è pienamente in funzione e non dispone delle infrastrutture necessarie nei loro territori. Una delle prime conquiste del governo autonomo è stata la creazione del Parlamento Wampis “come istanza di deliberazione politica propria, così come lo è il sistema giudiziario Wampis“, afferma il primo numero del Bollettino.
Negli ultimi mesi del 2019 si sono svolti diversi eventi importanti, tra cui il Primo Congresso delle Donne Wampis e il XII Summit del Governo Territoriale Autonomo, durante il quale è stata proposta la formazione del Sistema Educativo Autonomo Wampis.
Tra i progressi più notevoli vi sono il recupero delle conoscenze tradizionali nella gestione delle colture e delle specie a rischio di estinzione, un progetto guidato dalle donne; una scuola di formazione interculturale per dirigenti; una radio e la formazione di giornalisti; la refezione scolastica e la gestione del pesce proveniente dagli stagni naturali (vedi “XII Cumbre de la Nación Wampis”, Nakumak, n. 1, novembre 2019).
Nonostante l’importanza dell’autonomia Wampis, che sta crescendo nei territori amazzonici, vorrei concentrarmi su ciò che accade nel mondo urbano, dove si stanno manifestando diverse alternative, malgrado le enormi difficoltà che comporta la costruzione di una vita sovrana e dignitosa, nelle città che sono il nucleo del potere del capitale.
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“Promuovere l’agricoltura urbana biologica come strategia a breve, medio e lungo termine per affrontare la fame e sviluppare economie rigenerative; rivitalizzare e promuovere l’organizzazione della comunità”, è la proposta di un gruppo di giovani dell’Università del Cauca che stanno bonificando alcuni terreni nella zona nord di Popayán, nel barrio[2] La Paz e nella vereda[3] Lame.
Le attività sono iniziate due settimane fa, e al gruppo si vanno unendo gli abitanti che hanno bisogno di cibo. I terreni che occupano nel municipio di Popayán (capitale del Cauca con 500.000 abitanti) erano destinati ai campi sportivi, ma hanno concordato con il Consiglio d’azione comunitaria che la priorità è quella di procurarsi il cibo. A medio termine, cercheranno più spazio per coltivare, nei cortili, sui tetti, sui terrazzi e in qualsiasi luogo dove le famiglie possano iniziare la transizione all’autonomia alimentare.
Doricel Osorio è un’agronoma disoccupata e una delle otto persone che hanno avviato il progetto: “Gli abitanti si uniscono a noi per pura necessità”, spiega all’altro capo del telefono. Oltre a superare l’emergenza, stanno tentando di cercare collettivamente “alternative allo spirito mendicante e dipendente che lo Stato promuove tra coloro che hanno subito violenza o vivono in circostanze di esclusione, ingiustizia e disuguaglianza sociale, perché queste situazioni sono conseguenze del sistema economico estrattivista”.
Questa settimana hanno iniziato a costruire uno stand che funziona da cucina comunitaria tra i vicini che hanno più necessità. “Vorremmo che la gente tornasse alla terra, che potesse coltivare nei piccoli spazi urbani che abbiamo, che recuperassimo i saperi dei nostri genitori e dei nostri nonni, che erano contadini”.
Le poche risorse provengono da vicini di casa solidali, da alcune aziende e dalla Cooperativa del Sud del Cauca, coltivatori di caffè della federazione dei contadini, che mette a loro disposizione 30 “mercati”, con i quali possono sostenere altrettante famiglie. “Niente dallo Stato. Abbiamo chiamato alcuni parlamentari della città e ci hanno detto che purtroppo non hanno più soldi…”. Le risate echeggiano da un lato all’altro del telefono.
I giovani che hanno preso questa strada la vedono anche come una strategia per affrontare la quarantena: “liberarsi” dal confinamento e gestire le regole stesse della distanza sociale in accordo con i residenti che, in generale, sono l’ultima sfornata di persone in fuga dalle zone rurali a causa della guerra e del modello di sfruttamento.
In effetti, Popayan è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi decenni. Nel 1983, quando il terremoto causò grandi danni e 250 morti, contava 120 mila abitanti. Oggi ce ne sono circa 500.000, in gran parte dovuti alla migrazione rurale e urbana, cioè all’arrivo dei contadini sfollati.
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“Il popolo si prende cura del popolo. Esperienze di organizzazione delle assemblee territoriali di Valparaiso, Cile, in tempi di pandemia“, dicono le annunciatrici di Radio Placeres. Le persone che realizzano questo programma cercano di collegare ciò che accade nei “cordoni territoriali [di protezione]” e di diffondere le esperienze in modo che possano essere replicate in altri quartieri. “Cerchiamo di trasmettere il resoconto del processo di apprendimento collettivo delle assemblee“, dice l’annunciatrice.
In ogni trasmissione mettono in contatto due assemblee, nate durante le sollevazioni di novembre, che raccontano le loro esperienze sotto lo stato d’assedio. L’ Assemblea delle donne di Cerro Esperanza spiega come fanno a identificare e mappare le famiglie che hanno bisogno di aiuti alimentari, che acquistano direttamente da piccoli agricoltori. L’Assemblea di Asse Ecuador ha creato una cooperativa alimentare e un giornalino di quartiere dal titolo “Quarantena Territoriale Combattente“, con una doppia versione, elettronica e cartacea. Hanno anche creato uno spazio per il riciclaggio dei rifiuti, perché l’amministrazione municipale è crollata dopo le sollevazioni (di novembre). Alcuni abitanti si offrono di occuparsi dei bambini, altri promuovono il baratto e il sostegno reciproco, sia per il cibo che per i servizi.
“Stiamo portando avanti tutti i processi iniziati già al tempo della sollevazione”, spiegano le assemblee. Come forma di solidarietà, distribuiscono due tipi di pacchi: “Uno è più costoso, e col ricavato sovvenzioniamo l’altro, perché non tutti possono pagare per tutti i prodotti”. Durante la pandemia, stanno raggiungendo quegli abitanti che non si erano mai avvicinati prima alle assemblee. Più che altro, spiegano in Asse Ecuador, “perché vogliamo essere orizzontali e ci sforziamo di non parlare troppo, per non imporci ai residenti che vengono per la prima volta e che hanno una certa diffidenza”.
Le assemblee hanno fatto di tutto: campagne per l’igiene collettiva degli spazi pubblici di Marimonjas, “perché le autorità non si prendono cura della popolazione e noi dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro”; acquisti diretti dai produttori da parte della comunità in quasi tutti i quartieri; fondi di solidarietà nell’Assemblea El Descanso y la Resistencia; panificazione collettiva e manuale a Cerro Cordillera; squadre di sicurezza alimentare a Playa Ancha.
“La precarietà è diversa se siamo organizzati e ci appropriamo dei nostri spazi nei quartieri”, hanno concluso le assemblee riunite in cabildos[4]territoriali. “Noi sappiamo come prenderci cura della vita, mentre lo Stato non ne ha idea”, lanciano da una delle assemblee che fanno proiezioni di film all’aperto per continuare ad aggregare i residenti.
Due fatti sono degni di nota. Il primo, come le assemblee si sostengano e crescano nei loro quartieri, nonostante le enormi difficoltà che devono superare. Il secondo, che le stazioni radio possano svolgere un ruolo eccezionale di diffusione e di collegamento tra le assemblee, quando non è più possibile tenere grandi incontri in presenza. Ricordo che anche le stazioni radio dei Nasa, nel sud della Colombia, sono cardini di resistenza in questo momento critico. Esse contribuiscono a quello che Humberto Maturana chiama “accoppiamento di comportamenti”.
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La popolazione di Lima sta migrando in massa verso i villaggi della Cordigliera delle Ande. Hanno cominciato a partire a piccoli gruppi, a piedi, in auto e in camion. Adesso sono così tanti che lo Stato ha aperto una pagina web per iscrivere chi vuole lasciare Lima. Entro il 5 aprile, 167.000 persone si erano iscritte, di cui solo 4.500 circa sono state trasferite. Appena il 3%. Questa è la capacità di risposta dello Stato.
È chiaro che sono molti di più. È impossibile sapere quanti, ma incarnano un sentimento profondo. Fuggono dalla fame, dal dormire per strada e, soprattutto, dalla solitudine. “Mia figlia ed io stiamo morendo di fame a Lima, mentre mia madre mangia pesce e verdura nella sua fattoria“, dice qualcuno che sta tornando al suo villaggio.
Fonte: “Agricultura urbana, autonomía alimentaria y huida de las ciudades”.
Traduzione a cura di Camminardomandando
[1] Ndt – Popolazione indigena dell’area amazzonica del nord del Perù.
[2] Ndt – Quartiere periferico in condizioni sociali e igieniche spesso disagiate.
[3] Ndt – Suddivisione amministrativa di un municipio.
[4] Ndt – Organismi di governo comunitario.
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