Quei numeri che ci vengono comunicati ogni sera, in modo automatico e senza scrupolose osservazioni (nessuno, ad esempio, ricorda che l’Italia è al quarto posto nella classifica mondiale dei decessi per milione di abitanti), nascondono prima di tutto vite, volti, storie. Per altro si tratta di numeri sempre meno accompagnati da preoccupazioni. È assuefazione? Quello che sembra venire meno, più o meno consapevolmente, è l’empatia, il sentimento che si accompagna al dolore della perdita, anche di chi non conosciamo, insomma la compassione nel suo senso più profondo, come partecipazione alla sofferenza dell’altro, scrive Lea Melandri. Di fatto, «consegnati alla natura e al privato, l’invecchiamento e la morte hanno subito la sorte di tutto ciò che è stato considerato “non politico”, e perciò anche fuori dalla storia e dalla cultura…»
Nei dibattiti televisivi la domanda ricorrente che viene fatta a politici e medici è quante persone possono sedere insieme alle tavole delle feste natalizie, per evitare contagi. Nessun accenno a quante mancheranno quest’anno al tradizionale appuntamento che vede riuniti famigliari e amici. Tenuto conto del numero dei decessi, che negli ultimi giorni in Italia ha sfiorato i mille, dobbiamo pensare che i posti vuoti saranno tanti e tanti, negli interni delle case, a ricordare con dolore chi manca.
Eppure, per quello scarto che ancora resta tra il singolo e la collettività, l’attenzione pubblica sembra concentrata sulla conta dei morti che, “senza lutti, senza funerali”, come ha scritto Christian Raimo, ci vien comunicata ogni sera, senza essere accompagnata dagli interrogativi e dalle preoccupazioni che ci si aspetterebbe. Lo stesso presidente del Consiglio, illustrando il nuovo Dcpm, in diretta da Palazzo Chigi il 3 dicembre, non ne ha fatto cenno. Dietro la crescita impressionante dei numeri spariscono volti e nomi, così come il dove e il come di quelle perdite.
Assuefazione
I morti tacciono, è il titolo inquietante di una novella di Arthur Schnitzler. In realtà sono le loro vite che precipitano nel silenzio, quando diventano una massa indistinta e anonima da cui si ha fretta di distogliere sguardi e riflessione. È paura, indifferenza, rimozione, o il fatto che, trattandosi in netta prevalenza di anziani, la loro morte si dà per scontata, come se si trattasse di accettare, più o meno consapevolmente, una sorta di sotterranea eugenetica che il covid ha solo accentuato? Io parlerei piuttosto di “assuefazione”. Così la definisce il dizionario Treccani: “Assuefare e assuefarsi a un clima, a un genere di vita, a un farmaco (…) fenomeno che si verifica nell’organismo per effetto della somministrazione continua di un farmaco (analgesici, tranquillanti, ecc.) per cui viene a diminuire, o addirittura ad annullarsi, la sua efficacia…”. Tenuto conto che l’aggiornamento è quotidiano, il numero dei morti non si può ignorare, per cui quello che viene meno, più o meno consapevolmente, è l’empatia, il sentimento che si accompagna al dolore della perdita, anche di chi non conosciamo, la compassione nel suo senso più profondo, come partecipazione alla sofferenza dell’altro.
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Si potrebbe parlare di una sorta di anestesia che si prova guardando al numero dei decessi e non a chi ci sta dietro. Anche la corsa allo “svago” , più che una cancellazione dei lutti, assomiglia a quel bisogno di sopravvivenza che Elias Canetti associa al detto medioevale “Mors tua, vita mea”. Per quanto sia difficile riconoscerlo, anche quando ci lascia qualcuno vicino a noi – come scrive Rossana Rossanda – “in fondo, in qualche modo, il sopravvivere agli altri alimenta l’idea falsa e onnipotente di una nostra solitudine dovuta al fatto che loro sono morti e noi no”. (R. Rossanda, M. Fraire, La perdita, Bollati Boringhieri 2008). Se non si vuole arrivare a dire che, dietro l’assuefazione, in una società di massa guidata da logiche produttivistiche e competitive, c’è, stando al pensiero di Canetti, la sopravvivenza come potere – “vivere sopra”, “vivere a spese altrui” -, bisogna riconoscere che la pandemia, e in particolare “l’immunità di gregge” vista come un traguardo, hanno aperto uno squarcio su ciò che è rimasto finora l’“impensabile” e “irrappresentabile” della morte, ma anche sugli anni e le infermità che la precedono.
Non politico
Il bisogno di cura, la dipendenza dagli altri in particolari fasi della vita, come l’infanzia, la vecchiaia, la malattia, sono elementi costitutivi dell’esperienza umana, eppure non hanno mai avuto la centralità che meritano, sia per l’etica pubblica sia per la teoria politica. È una svalutazione che non possiamo attribuire solo al neoliberismo, che oggi mette al lavoro la vita intera per restituirla come un vuoto a perdere quando diventa “improduttiva”. Una ragione meno indagata penso si debba cercarla nel dominio del sesso che ha riservato a sé la sfera è pubblica, lasciando alla donna la funzione di continuatrice della specie, identificata come tale col corpo e le sue traversie. Fuori dalla polis, insieme a metà del genere umano, sono rimaste a lungo le esperienze che hanno la materialità del nostro essere, le nostre radici biologiche, come parte in causa. Consegnati alla natura e al privato, l’invecchiamento e la morte hanno subito la sorte di tutto ciò che è stato considerato “non politico”, e perciò anche fuori dalla storia e dalla cultura.
Nel suo libro Ai confini del corpo, il filosofo Franco Rella scrive:
“Il quesito non poteva che essere quello estremo: come dare figura alla morte, e a quella morte in vita che è la vecchiaia, come impedire che la ribellione alla finitezza umana continui a generare una violenza mortifera, come impedire che il sentimento dell’ultimo, invalicabile confine produca anche lo sgretolamento definitivo della parola che vorrebbe rappresentarlo”. (F.Rella, “Ai confini del corpo”, Garzanti 2012).
Con la pandemia si può dire che la morte, non solo è uscita dal privato, vissuta spesso con dolore nell’isolamento di un letto di ospedale, lontano da parenti e amici, ma che rischia di essere spogliata del suo carico esistenziale quando a farla apparire sono solo i numeri di quanti sono stati colpiti mortalmente dal contagio.
Pubblicato su Il Riformista del 10 diecembre 2020 e qui con l’autorizzazione dell’autrice. Altri articoli di Lea Melandri sono leggibili qua.
Franca Bimbi dice
Cara Lea,
quella che è venuta meno è anche la capacità di ragionare su alcuni fatti: continuano “allegramente” le morti nelle case di riposo e di chi viene fatto aspettare a casa troppo (anziani per lo più) o non lasciato entrare in TI.
Si analizzano tutti i dati ma non si riflette su questi.
Non si tratta di mancanza di empatia, bensì di ” ragionevole” attesa di un’implementazione dell’immunità di gregge per via “naturale”: vecchi, poveri e in Usa afroamericani sono ben attesi. E’ il principio a cui si sono opposti gli Jenner e i patiti della medicina sociale di tutti i tempi. La Svezia, invece, l’ha ufficialmente seguita..fino a quando all’orizzonte non è apparso il vaccino. Nel frattempo Stoccolma ha la % più alta di morti in case di riposo. Perché? Si è detto da parte dei responsabili del welfare che nelle case di riposo il personale è costituito soprattutto da richiedenti asilo e immigrati che sono poco preparati!
La Svezia ha una lunga storia di eugenismo: dovremmo ricordarlo.
Franca
Guido dice
Ma cosa state a scrivere? A parte il fatto che un giorno, si spera, si scoprirà come e perché sono avvenute queste morti, mi dovete spiegare cosa sia cambiato rispetto agli altri anni, quando altrettante persone morivano per la “normale” influenza. Allora non vi siete posto il problema della mancanza di “empatia”? Il fatto è che oggi vi siete fatti tutti prendere per i fondelli da chi sta speculando sul covid e se ne sta servendo per cambiare la società, togliere la democrazia e assoggettare la gente. E con questo non sto dicendo che il virus non esiste. Esiste come tutti gli altri virus e se ci fosse stata una sanità come si deve, se non si fosse fatto tutto il can can per terrorizzare la gente, se fossero state fatte subito le autopsie e se si fosse proceduto con le cure giuste, oggi non saremmo nelle condizioni precarie in cui ci troviamo e le menti delle persone non sarebbero fuorviate dalla paura e dalla insanità comportamentale.
Paola dice
Lea Melandri GRAZIE! secondo me, Lei ha scritto un’articolo di grande finezza umana, squisita sensibilità. Mi compiaccio e complimento con l’autrice e aggiungo: meno male che, almeno negli intenti e grazie a quel che resta della nostra Costituzione Italiana, l’eugenetica da noi non è mai stata approvata (ci sarebbe ben poco da compiacersi visto che è un’idea nazista).!!!!! Purtroppo vi è una generale indifferenza verso la vita umana, basti considerare l’assuefazione per le vittime di guerra, per i rifugiati che non trovano accoglienza, per gli infanticidi, per i troppi annegati in mare, per i senza fissa dimora…. Gli anziani e i malati fanno anche loro parte di quegli “scartati” di cui spesso parla Papa Francesco,. Quindi chi è di giovane età tende ad “esorcizzare” la pandemia da Covid 19 che invece è una terribile realtà.!!… E, in questo drammatico contesto, direi che ci sono ben altri “dimenticati” e cioè i paesi poveri del terzo modo ai quali non arriverà un vaccino. Mentre da noi la vaccinazione di massa ha molti aspetti controversi (…) .Io temo che questa forma di eugenetica tenda ad estirpare dal mondo quanto ai filantro-capitalisti appare scomodo e privo di decoro, ma se l’umanità si avvia verso una deriva etica e sociale di questo genere, è veramente la fine ….e ciò indipendente dal Covid. Bisognerebbe anche mettere in conto che con la probabile crisi economica dell’auspicabile post-Covid, gli “scomodi”e i “rifiutati” potranno sicuramente aumentare di numero. Che fare? Più Umanità Più Solidarietà, altrimenti cadremo tutti nel baratro di un comune inevitabile disastro planetario.
Ilio Leonio dice
Non riesco a trovare alcunché da opporre …
Davide B. dice
Signor Guido, tanti ‘se’ che lei cita sono validi. Spero che ne segua presto un’attenta analisi – gia’ ce ne sono, persino portate in tribunale – ma anche opportune decisioni per rimediarvi e prevenire per il futuro. Se ne ricordino coloro che danni gli incarichi ma anche gli elettori.
Tuttavia, mi sembra che lei tenda a sminuire l’impatto del contagio attuale. Proprio nei grandi numeri si vede quanto siamo molto piu’ proni a distaccarci dal dolore, in generale dai problemi che colpiscono altri individui. Che siano gli anziani ospitati nelle RSA od i pazienti ricoverati in terapia intensiva o le bare accatastate davanti all’inceneritore, se non per i diretti familiari, essi diventano solo numeri. Si e’ fatto lo stesso processo di estraniazione per gli immigrati, le minoranze, i senzatetto, a volte anche i vicini di casa. Ci basta ‘nasconderli’, per dimenticarli e tirare diritto per conto nostro; finche’ magari non accade a noi o ad un familiare.
Empatia e’ anche azione. Una volta si diceva “partecipazione”, perche’ c’erano gruppi che si organizzavano. Oggigiorno, vista la frammentazione della societa’, si puo’ solo sperare nell’impegno (“I care”) di tanti individui.
I gesti che servono possono essere proprio minimi… cos’altro sono il lavarsi le mani, usare la mascherina o stare a distanza. Sembra che nemmeno siamo piu’ in grado di fare qualche ‘fioretto’ come quando eravamo scolaretti.
Per molti, il mondo deve invece girare attorno a loro, anche se vuoto, infarcito di pubblicita’ ed abitudini standardizzate, alimentato dai consumi e dalle ambizioni.
Dobbiamo certo pretendere da chi gestisce la vita pubblica, ad ogni livello, ma altrettanto chiederci: come posso io aiutare? chi e dove? E non c’e’ bisogno di andare lontano…
Livia Cerasari dice
Sono d’accordo con Guido, assolutamente !
Paola dice
Buonasera, mi dispiace ma non sono affatto d’accordo con Guido:
Sul fronte della lotta al Covid 19, sono la mamma dì due figlie infermiere e, caro Guido, le assicuro che questo virus non è semplice influenza anzi, è un virus molto subdolo, di cui si conosce poco ed è estremamente letale. Le mie figlie lavorano in un grande Ospedale di Torino. Proprio la città che ora vediamo “impazzire” per lo shopping, come molte altre città italiane, che assurdamente, da rosse sono diventate gialle. Pare certa quindi una terza ondata.!!!. Ma se, io dico, era così certa questa terza ondata, perché questa frenesia di aprire alle masse gli acquisti e gli assembramenti?!?
Tutto ciò incrementera’ i contagi di gennaio/febbraio e costerà la vita a numerose persone, senza contare la strage già in atto di coloro che a marzo venivano chiamati “ANGELI”
per la loro abnegazione e per la loro coerenza professionale cioè
IL PERSONALE SANITARIO.
Ad oggi di essi è un’autentica STRAGE:
255 MEDICI deceduti e oltre 28MILA INFERMIERI morti. ..!!!!!!!
Non avendo parole caro Guido e C. per biasimare quanto accade nel “tutto dovuto e chissenefrega”
userò quelle del Poeta Giuseppe Ungaretti (sempre che Lei lo conosca)…… NON GRIDATE PIÙ:
Cessate di uccidere i morti,
Non gridate più non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore.
Del crescere dell’erba,
Lieta dove passa l’uomo.
susanna dice
a proposito di Empatia vi segnalo un’ iniziativa “FEM Human Library” Domenica 13 dicembre 2020 on line vedi
https://www.youtube.com/watch?v=ApFOOicXSnw&feature=youtu.be
Paola dice
Di empatia ne dovremo usare molta visto che un luminare e autentico filantropo come Gino Strada ha affermato: “dalla pandemia usciremo solo fra tre anni. Il vaccino limiterà le morti, ma non i contagi” . Apostrofato come catastrofista, al povero Gino vanno gli strali dei soliti ben noti acefali e giornalisti pennivendoli, mentre nessuno biasima e dice nulla invece, al “falso buono” Bill Gates, il quale sa’ vita morte e miracoli sul Coronavirus. Conosce il virus dal 2015, sa’ che si esaurira’ nel 2022, è il maggiore azionista dell’OMS ed ha il brevetto del vaccino anti-Covid dal nome inquietante: Luciferase 060606.????? Qualcuno ha anche sostenuto che tale vaccino possa modificare il DNA umano…. Tutti catastrofisti e cospirazionisti?
“2020 i sopravvissuti” – nel ’78 era un film di fantascienza! !! Ora sembra una terribile realtà.