La disobbedienza civile è sempre illegale. E non lo nega. Per cambiare il mondo, dice la storia dei movimenti sociali, abbiamo bisogno di creare relazioni sociali diverse, ma anche di conflitto e di sporcarci con inevitabili contraddizioni. Tuttavia, sempre più spesso in molti angoli del mondo il conflitto sociale e politico non è più solo canalizzato e ostruito, ma legalmente abolito. “Anche da noi, non siamo così lontani dall’aver raggiunto questa condizione – scrive Enrico Euli – Lo dimostra il fatto che si consideri violento uno scioperante se lo fa senza preavviso e chi rifiuta l’obbligo vaccinale e o di certificazione… Lo dimostra il fatto che, per essere considerati violenti, non è più necessario devastare, aggredire e o reagire all’azione di sgombero della polizia…”
Nella visione democratico-liberale solo lo Stato detiene il monopolio della violenza legittima: solo lo Stato quindi può esercitare legalmente l’aggressione, sia all’interno di sé (attraverso le istituzioni che mantengono l’ordine pubblico), sia all’esterno (attraverso gli eserciti). E solo lo Stato può discriminare tra comportamenti violenti e non violenti dei cittadini (sia tra i cittadini, sia tra questi e lo Stato stesso), in primo luogo attraverso l’istituzione giudiziaria.
In questo modo, all’interno di questa visione, lo Stato si assicurerebbe univocamente il potere di definire, agire e sanzionare la violenza. Ma, in numerose esperienze ed evenienze storiche, è avvenuto che: lo Stato stesso sia stato promotore di atti violenti ed illegali (secondo le sue stesse leggi o leggi di livello sovrastatale); lo Stato sia stato contestato da minoranze/maggioranze di cittadini in relazione a singole leggi da esse considerate violente e quindi da superare/cambiare (il “legale” può essere considerato, cioè, non “legittimo”, a partire da motivazioni extra-sovralegali (morali, politiche, culturali…).
Attualmente, gli Stati democratici-liberali accolgono sempre più come forme legali e non violente di contestazione soltanto le forme ritualizzate di protesta: petizioni, manifestazioni pacifiche, scioperi regolamentati con preavviso. Qualunque altra forma, anche non violenta nelle modalità d’azione, è considerata illegale: ad esempio boicottaggi e interruzione di servizi, di (accesso alle) produzioni, di commerci e trasporti.
E sin qui ci troviamo appieno nella tradizione delle lotte nonviolente: la disobbedienza civile è sempre illegale, e non lo nega. La novità sorge nel momento in cui quel che lo Stato considera legittimamente “illegale” viene immediatamente tacciato anche di “violenza”, in quanto aggressione verso la libertà di muoversi, produrre, consumare, adire ai pubblici servizi. E quindi non solo “non legale” (giuridicamente), ma anche “non legittimo” (socio-politicamente).
Ma, se si accetta questa visione, ci sarebbe da chiedersi come mai i liberali (centrodestri e centrosinistri) di casa nostra si mobilitino (a parole) per le manifestazioni anti-regime di Hong Kong, ad esempio. I dissidenti, si sa, piacciono solo se stanno in altri Stati. La risposta che i liberali darebbero, lo so, è che qui siamo in una democrazia e quindi i cittadini hanno la possibilità di cambiare le leggi attraverso la rappresentanza, mentre lì no. Ma così si giungerebbe al paradosso che la lotta nonviolenta non sarebbe agibile da noi perché siamo democratici (e quindi non ce ne sarebbe bisogno) e da loro perché la democrazia non c’è (e quindi non si può protestare in alcun modo). Il conflitto sociale e politico verrebbe non più solo canalizzato e ostruito, ma – a questo punto – legalmente abolito.
Anche da noi, non siamo così lontani dall’aver raggiunto questa condizione. Lo dimostra il fatto che si consideri violento uno scioperante se lo fa senza preavviso. Ma perché dei lavoratori che non si riconoscono nel sindacato dovrebbero accettare regolamentazioni stabilite da accordi tra lo Stato e i sindacati? Lo dimostra il fatto che si consideri violento e asociale chi rifiuta l’obbligo vaccinale e/o di certificazione. Ma allora perché esiste la libertà di cura? E perché il Trattamento sanitario obbligatorio è sottoposto a complicate condizioni e procedure, ma non in questo caso? Lo dimostra il fatto che, per essere considerati violenti, non è più necessario devastare, aggredire e/o reagire controggressivamente all’azione di sgombero della polizia.
Ma perché, se sono disposto ad accettare di essere punito dalle leggi per le mie azioni nonviolente, dovrei anche accettare di essere definito violento da chi, nel frattempo, mi sta picchiando e mi reprime, in nome dello Stato e delle leggi?
Cosa resta della democrazia (anche liberale) se il conflitto e la lotta (anche se agiti non violentemente) sono immediatamente contrassegnati dal marchio della violenza?
Apparentemente: le elezioni (almeno sino a quando anche l’astensione non sarà considerata violenza).
Sostanzialmente: nulla.
Enrico Euli è ricercatore alla Facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Cagliari. Ha pubblicato vari testi, l’ultimo è Fare il morto per Sensibili alle foglie. I suoi articoli nell’Archivio di Comune sono leggibili qui
Norma Bertullacelli dice
Considerazioni giuste, ma ne aggiungo una: stiamo parlando di una malattia altamente contagiosa. Per decidere se e come curarmi il cancro o l’unghia incarnita posso permettermi il lusso di consultare soltanto me stessa. Se mi viene il vaiolo ( già debellato, è solo un esempio) devo tenere conto che faccio parte del genere umano.
Nicola dice
E sì cara Norma, anche a me sembra si trascurino alcuni elementi qualificanti di uno stato pandemico nelle dottissime analisi con cui si giustificano/esaltano atteggiamenti ribellistici a mio parere fuori contesto.
PIERA dice
Ogni emergenza porta con se contraddizioni evidenti. Non si può decidere da soli in una così vasta comunità umana . Ma le decisioni invece d’essere esclusiva di ristretti gruppi politici in perenne contrasto, dovrebbero essere concordate con adeguati referendum che, richiedano anche minime competenze in materia .
Ma questa è utopia !