Il ruolo delle economie trasformative per dar vita ad un modello di sviluppo integrale ed auto-centrato per cambiare volto ai tessuti socio economici delle nostre città. Sta crescendo in volume e si sta densificando, anche nel nostro Paese e in particolare a Roma, un tessuto di iniziative economiche all’interno e tra “comunità di cittadini che fondano il loro stare insieme non attraverso la forma del contratto, inteso come accordo fra interessi individuali e di gruppo, ma in quanto legati dalla cura del bene comune e dal vincolo del dono”
Sviluppare modelli di sviluppo urbano integrale basato sulle economie trasformative: è la traiettoria che proviamo a disegnare, nell’ultima ricerca “Reti di mutualismo e poli civici a Roma“ , collegando le pratiche di creazione di valore mutualistico, ecologico e solidale dei territori, come laboratori di un vero e proprio cambio di paradigma innescato dal basso a livello sistemico.
Mapparle, sistematizzarle, e cominciare a suggerire modelli di gestione integrabili con l’offerta pubblica di servizi consentendone la contaminazione e la moltiplicazione, ci permette di evidenziare che sta crescendo in volume e si sta densificando, anche nel nostro Paese e in particolare a Roma, un tessuto di iniziative economiche all’interno e tra “comunità di cittadini che fondano il loro stare insieme non attraverso la forma del contratto, inteso come accordo fra interessi individuali e di gruppo, ma in quanto legati dalla cura del bene comune e dal vincolo del dono”[1].
Così intese, le economie dal valore trasformativo sono frutto di un vasto movimento attivo da diversi decenni in Italia, e assai radicato nel tessuto urbano romano – oggetto del nostro approfondimento – segnato da una straordinaria pluralità di esperienze, che declina le sue ispirazioni e pratiche alternative articolandole ogni giorno nelle attività che abbiamo definito “economie trasformative”.[2]
Sono esperienze che puntano ad una trasformazione radicale dell’economia, promuovono nuovi modelli socioeconomici a cui tendere, come quello dell’economia di cura, dell’economia dei beni comuni, dell’economia delle comunità, dell’economia generativa e trasformativa, che tutte si fondano sul concetto dell’ecologia integrale. Un modello che non sia da misurare in termini di PIL ma che utilizzi indicatori di “ben-essere” legati alla qualità della vita delle persone e alla salute del pianeta. [3]
Queste attività economiche offrono la possibilità di vivere la comunità, e il territorio su cui essa insiste, non come un limite da superare o difendere, entro i quali definirsi e rinchiudersi, ma come patto di cura del proprio spazio in solidarietà e contatto consapevole con la comunità umana e l’ambiente tutto: è la cifra più profonda del cambiamento individuato come necessario. Esse permettono concretamente di rispettare gli impegni assunti dalla comunità internazionale per la sopravvivenza del genere umano all’inquinamento e ai cambiamenti climatici, affrontando i limiti del pianeta non come minaccia al nostro stile di non-vita attuale, ma come indicazioni programmatiche per una convivenza paritaria e pacifica tra viventi nel benessere condiviso, in equilibrio con l’ecosistema che abitiamo.In questa chiave è possibile riconoscere e attribuire il giusto valore a tutte quelle pratiche che, in settori specifici, con modalità diverse, ma con orizzonti d’attesa convergenti, stanno organizzando economie generative, ad alta intensità relazionale ma a basso tasso estrattivo e speculativo, che non orientano le proprie attività alla crescita algebrica e alla finanziarizzazione dell’economia.
Pensiamo alle economie sociali e solidali, le reti sulla sovranità alimentare e l’agrogeologia, le forme di economie partecipative e collaborative, le diverse realtà che fanno riferimento ai common, le economie comunitarie e quelle femministe, i movimenti attenti alla prospettiva di genere e quello cooperativo, il commercio equo e le esperienze di mutualismo sociale, la finanza etica, l’imprenditorialità sociale di economia circolare, le economie del bene comune, quelle della decrescita.
Pensiamo a tutte quelle reti e organizzazioni che, spesso in maniera caotica e disarticolata, stanno sperimentando attivazione nella direzione di pratiche economiche trasformanti in cui le fondamenta del sistema mercantile (produzione, finanziamento, distribuzione commerciale e consumo) sono ricondotte e sempre più al servizio delle persone, della comunità e degli ecosistemi nei quali si attivano.[4] Questo modo di pensare e praticare l’economia non può essere più considerato solamente come un’alternativa al modello economico prevalente, ma come la sperimentazione, in scala, delle grandi trasformazioni produttive, distributive, di filiera e di valorizzazione che l’economia nel suo complesso si trova ad affrontare, al crocevia di una crisi multipla ormai deflagrata, se vuole farsi strumento di trasformazione sociale, di ritessitura di un modello di coesione e di redistribuzione concretamente sostenibile, equo e partecipativo, a partire dai territori.[5]
I Poli civici come epicentri di innovazione socio-eco-nomica
La “società solidale a Roma” è emersa in modo inequivocabile durante la pandemia: da quasi tutte le realtà intervistate emerge come le proprie pratiche abbiano avuto una funzione fondamentale generativa di legami e valore in tutte le comunità e i territori in cui hanno operato. In molti casi sono state capaci di attivare reti capillari di prossimità mesi prima della reazione pubblica, in larga parte stimolandola e indirizzandola, dimostrando un’importante capacità di lettura dei bisogni, operatività organizzativa e di intervento.
Molti soggetti sociali analizzati in questa ricerca sono protagonisti di una nuova tessitura di valore e di senso: non si riconoscono più come corpi intermedi, ma come spazi d’azione. Quello che minaccia la diffusione di questa specifica modalità è l’incapacità rilevata, da parte di alcuni singoli nodi di innovazione, di mettersi in rete: pur condividendo la centralità del territorio nelle dinamiche economiche e di sviluppo locale, ci si rivela incapaci di creare reti tra movimenti di autorganizzazione negli stessi territori e tra i territori, mentre le realtà più solide sono quelle nelle quali la tessitura delle relazioni mutualistiche rende possibile la sperimentazione delle trasformazioni necessarie.
Gli snodi, quando non facilitano, diventano grumi di accumulazione di piccoli poteri, rendite di posizione, risorse, destinate a perdersi nel medio-lungo periodo. La fragilità strutturale, la frammentazione dei territori si approfondisce se non si vince la sfida della fiducia da ricostruire: un patto eco-sociale da riempire di nuovi volti e sensi. Tutte queste progettualità non possono liberare tutte le proprie potenzialità trasformative ciascuna per se’, ma elaborare e convergere su visioni che autenticamente interpretino e riprogettino l’ecosistema territoriale.
La sfida che emerge da queste pagine è capire come sostenere senza snaturare esperienze e progettualità che possano condividere laboratori territoriali come hub “anti-crisi” permanenti: vere e proprie agenzie di promozione socio-eco-nomica locale, capaci di suturare e ricreare legami e canali tra realtà e esperienze che orientano la propria attività all’utilità sociale e si impegnano nella costruzione di una società che metta al centro i beni comuni, equa, partecipata e sostenibile. Questa potrebbe essere la sperimentazione da sollecitare all’interno dei Poli civici di sviluppo integrale. Luoghi dove si possa co-progettare e praticare un’economia locale orientata al ben vivere socio eco-nomico nei territori per le comunità che li abitano.
In questa visione i Poli civici potranno, così, diventare l’epicentro generativo stabile, non determinato dall’avvicendarsi di amministrazioni di diverso orientamento partitico perché incardinati nella rete civica pubblica, di esperienze di economia trasformativa capaci di costruire dal basso una “politica territoriale del fare”. Forme endogene di economia e democrazia partecipata costruite in una dimensione locale. Un’economia che avrà bisogno di una politica pubblica adeguata che sia pensata per non creare dipendenza o processi di assistenzialismo dal pubblico, ma per costruire autonomia economia. In questa dimensione, sarà fondamentale il lavoro territoriale dei Poli civici per alimentare quelle forme di relazione che rafforzino i legami di solidarietà e sussidiarietà.
Per superare la precarietà determinata dalla crisi sistemica e dall’instabilità politica che caratterizza il territorio e il Paese, emerge come importante la possibilità di sperimentare l’innesto di proposte e strumenti di pianificazione dal basso di queste iniziative di rigenerazione locale, all’interno delle strategie pubbliche, a partire dal Piano regolatore sociale e la programmazione economica comunali, unitamente alla Strategia della “Città dei 15 minuti” introdotta dall’attuale Giunta capitolina.
In questo senso, sarà bene provare a rinterpretare lo strumento dei Piani di zona locali indirizzandoli a una riconversione ecologica e sociale del tessuto nel quale si insedieranno i Poli civici, in modo che essi non siano precipitati in un deserto di visione strategica territoriale. Riconoscere, collegare, rafforzare e promuovere, con costanza e adeguata dotazione economica, una più ampia e consapevole partecipazione a queste reti di mutualismo e di altreconomia in connessione, a presidio dei beni comuni e dei diritti sociali e ambientali, dovrebbe essere, in cambio, una delle funzioni centrali svolte proprio dai Poli civici.
Provando a ipotizzare una sequenza logica di azione, immaginiamo un percorso che preveda:
– L’elaborazione partecipata di una Strategia di transizione sistemica cittadina, in prospettiva metropolitana, non limitata dunque alle attuali pianificazion “Zero emissioni” e di Agenda 2030 adottate dagli enti locali del territorio. Essa andrebbe orientata a definire i modelli di sviluppo locale integrale adatti al contesto romano e metropolitano, su cui innestare politiche pubbliche di riconoscimento e sostegno, pianificazione, co-programmazione e co-progettazione di attività socio-eco-nomiche reticolari che mettano in relazione sinergica attivazioni, esperienze, imprese e iniziative di economia trasformativa al servizio delle necessità di vita e di lavoro di ciascun territorio.
– La strategia dovrà prevedere dei piani di attivazione locale che ridisegnino i processi economici e produttivi su scala territoriale, attraverso una di pianificazione mirata a definire un flusso di scambio di beni e servizi e di conoscenze, che ponga al centro forme e stili di vita orientati alla cura e alla riproduzione delle persone, delle comunità e dell’ambiente
– Condividere, infine, dei modelli di gestione partecipata e comunitaria riproducibili, orientati a schemi praticati di auto-organizzazione, capaci di definire le priorità delle comunità in maniera integrale e di connetterle in cornici di programmazione almeno cittadina.
La funzione strategica che i Poli civici dovrebbero assolvere, in una visione coerente con l’analisi qui condotta, potrebbe essere quella di incubare, connettere e allargare, in concreto, la partecipazione e la consistenza di questo processo. Gli interventi organici di rigenerazione dovrebbero essere il nuovo orizzonte per avviare, a partire da alcuni territori, oltre alle iniziative puntuali, interventi con progetti pluriennali e plurisettoriali, orientati alla riconversione ecologica e sociale e alla densificazione delle relazioni di mutualismo e cura almeno a livello cittadino.[6]
Riconoscere, collegare, rafforzare e promuovere una più ampia e consapevole partecipazione a queste reti di economia di trasformazione, a presidio dei beni comuni e dei diritti sociali e ambientali, sarà sempre più importante. Si tratta di una delle poche vie praticabili per riorganizzare città, territori e l’intero Paese anche alla luce della ‘lezione’ del Covid-19, creando nuova occupazione e socialità reagendo in modo collettivo e vitale alle sfide della crisi sistemica.
[1] AA:VV (2021 ) Rivista scienza del territorio- Abitare il territorio al tempo del Covid
https://oajournals.fupress.net/index.php/sdt/issue/view/511
[2] Troisi R. e Di Sisto M. (2018) “Le sfide dell’economia sociale e solidale in Europa e nel Mondo. Progetto di ricerca Susy ( SUstainable and Solidarity EconomY)” https://www.socioeco.org/bdf_organisme-797_en.html
[3] Ripess, rete intercontinentale per la promozione dell’economia sociale e Solidale (2015) Visione globale dell’economia sociale solidale: convergenze e differenze nei concetti, nelle definizioni e nei sistemi di riferimento, https://comune-info.net/wp-content/uploads/2016/06/DocumentoRIPESS-economia-solidale.pdf
[4] Porro, Á. (2017) Qué son las economías transformadoras https://opcions.org/agrada/economies-transformadores/
[5] Aa.Vv. (2020a) L’economia trasformativa – Per una società dei diritti, delle relazioni e dei desideri, Altreconomia, Milano https://altreconomia.it/prodotto/leconomia-trasformativa/
[6] AA.VV Trasformare i territori e fare comune a Roma (2021) ebook edito da Comune-info https://comune-info.net/una-visione-di-futuro-per-roma
Giovanni dice
Grazie ❤ molte per aver offerto analisi ed eventi dal basso che mi permettono di
migliorare i progetti che cerco di avviare da molti decenni. Seguirò con attenzione ogni evoluzione di quei percorsi in atto, sperando di avere l’opportunità di connettermi in qualche modo.