Introduzione
Da novembre 2020 il Movimento di Volontariato Italiano (MoVI) in collaborazione con la testata online Comune-info ha costruito il sito www.territorieducativi.it, uno strumento di raccolta e racconto delle esperienze generative di scuole aperte partecipate che nascono dal basso nel Paese. L’abbiamo anche chiamata la “Comunità di pratiche delle scuole aperte partecipate” dove la parola partecipazione è il filo conduttore che seguiamo. Da questo strumento abbiamo tratto alcune esperienze significative che sono state presentate alla BISP 2023.
Preliminarmente, corre l’obbligo di spiegare cosa sono le “scuole aperte partecipate” in Italia. Dal quaderno del MoVI Strade nuove per imparare l’utilizzo dei beni comuni:
“La Scuola è luogo di ricerca e sperimentazione da sempre. Con l’Autonomia Scolastica (Dpr 275/99) le esperienze portate avanti dai presidi, insegnanti, consigli d’istituto sono tante e coinvolgono anche le famiglie ed il territorio. Tale lavoro parte da un ruolo istituzionale di persone che svolgono un compito per lo Stato e pur tuttavia essendo la ‘scuola’ un luogo di ricerca e sperimentazione è naturale che chi vi lavora si trova spesso a svolgere una attività che va oltre l’orario, dando tempo, energie e competenze di volontariato. Ed è quindi vero che le scuole sono già aperte e che nella scuola già si fa tutto ed anche che nella scuola è molto presente la gratuità. Queste esperienze identificano un modello di ‘Scuole aperte’ che delega la Scuola a progettare e gestire attività supplementari per varie fasce di utenti minori ed adulti. In questa visione vi è l’idea funzionale di migliorare l’offerta formativa, di utilizzare meglio gli edifici scolastici ed anche di trasformare le Scuole in veri e propri ‘poli civici’ intesi come avamposti delle istituzioni nel territorio. In questa visione è essenziale che le scuole siano finanziate adeguatamente al fine di poter offrire questi servizi agli utenti. In questa visione il volontariato degli stessi presidi ed insegnanti è vissuto da alcuni come una forma di ‘servizio al paese’ dovuto per il ruolo che la scuola ha nella società, da altri è invece vissuto come sostituzione dei compiti che spettano allo Stato. Tuttavia questo modello di delega alla Scuola non completa i principi della nostra Costituzione. In una democrazia matura i cittadini partecipano alla progettazione del bene comune ed alla gestione dei beni comuni ed il modello democratico da raggiungere è quello dell’amministrazione condivisa dello Stato insieme agli stessi cittadini. In questa diversa visione sono ‘aperte’ quelle Scuole che ‘si aprono a sperimentare la condivisione nella progettazione delle attività e nella gestione degli spazi’. Per esempio quelle che hanno cominciato a condividere il potere con i propri studenti dandogli da progettare/gestire responsabilmente qualche spazio nella scuola, con i genitori coinvolgendoli nella progettazione dell’uso dei fondi integrativi o nella gestione degli spazi dopo l’orario scolastico, con i cittadini attivi organizzati in associazioni e con gli enti locali coinvolgendoli nella progettazione/gestione di uno scambio scuola-territorio. Ma sono anche Scuole aperte le scuole che semplicemente si fidano tutti i giorni dei loro studenti e dei genitori e che hanno fiducia nello scambio con l’esterno. E che con la fiducia accettano ‘le intuizioni’ e ‘si affidano’ cedendo un po’ del proprio potere. Sono le Scuole che sanno che la cessione comporta si un rischio ma è anche una occasione di crescita e di sperimentazione di strade nuove…”.
Esperienze. Scuola Di Donato, quartiere Esquilino, Roma
L’intervento di Andrea Capocci si è aperto con la proiezione del video illustrativo dell’iniziativa “Una città a misura di bambino e di bambina”, che si svolge ogni anno a maggio alla Scuola Di Donato. La giornata è nata per ricordare un bambino investito mentre andava a scuola a giocare a basket, una domenica pomeriggio, mettendo in pratica per un giorno la città che desideriamo per dimostrare alle istituzioni, ma anche a noi stessi della comunità, che è possibile farlo.
L’Associazione genitori della Scuola Di Donato nasce vent’anni fa, quando la scuola rischiava di diventare un ghetto frequentato solo da immigrati. Siamo nel quartiere Esquilino a Roma, quindi un ambiente ad alto tasso di immigrazione storica e l’Associazione genitori cercò di lavorare affinché la scuola recuperasse un po’ il suo ruolo pubblico, cioè di luogo di incrocio tra persone di diverse classi sociali e diverse provenienze culturali geografiche. Capocci sostiene che è un lavoro che ha funzionato ed è stato vincente e che ha aiutato la scuola, in cui sono rappresentate 45 nazionalità diverse, a diventare una comunità educante, anche per il territorio. Al fine di dimostrare l’esito positivo di tale esperienza, illustra il caso dei 100 minori che vivono in un palazzo occupato localizzato a pochi metri dalla scuola, rispetto al quale una recente ricerca dimostra che il tasso di dispersione scolastica è pari a zero. Tenuto conto che l’Esquilino è uno dei quartieri di Roma con il più alto tasso di dispersione scolastica, in gran parte dovuta al fatto che c’è una elevata quota di popolazione migrante in continuo movimento (in difficoltà già a partire dalla lingua) è un risultato educativo importante. Nel palazzo, dove le famiglie sono stanziali da qualche anno ed i bambini piccoli, il tasso di dispersione scolastica è pari a zero grazie alla scuola aperta partecipata che offre una ludoteca, un doposcuola e tante attività che si organizzano in comunità tra l’associazione dei genitori e altri soggetti del territorio. Non si svolge tutto dentro la scuola, ma anche sulla strada davanti che è stata resa pedonale dal 2021 e, quindi, è diventata uno spazio che ospita le attività di questa comunità educante allargata, che tenendo aperta la scuola dalle 8 di mattina fino alla mezzanotte, ha trascinato anche in strada alcune attività, mettendo a disposizione del quartiere un nuovo spazio pubblico. Capocci prosegue ponendosi la domanda su come ripensare gli spazi a partire dalla scuola in modo tale che siano vivibili per i bambini. Vivere nel centro di Roma è un’esperienza bellissima da tanti punti di vista ma non è un posto in cui i bambini possono muoversi facilmente e liberamente e la scommessa è invece è quella di provare a mettere in pratica ciò che si può fare in un quartiere per renderlo vivibile anche per i bambini. L’idea di fondo è quella non solo di proteggere i nostri figli, ma di rendere la città a misura di tutti, perché la pericolosità della strada che i bambini devono attraversare per entrare nella piazza di quartiere riguarda anche per gli adulti.
Quindi se diventa facile per un bambino diventa facile anche per una persona anziana: la scommessa è di partire dalla scuola quale un luogo simbolico e trasversale, che mette in relazione soggetti diversi della società, per arrivare a coinvolgere anche il resto del quartiere, che ha anche molte altre risorse.
Da docente, Capocci conosce le difficoltà di gestione dell’eterogeneità nella scuola: avere tante esigenze diverse e concentrate in una classe di una scuola per chi insegna non è facile. La sfida ingaggiata dalla Di Donato è stata, ed è ancora oggi, quella di mettere insieme tali eterogeneità, che può voler dire conoscere i bisogni reciproci. Ad esempio, aiutarsi reciprocamente durante la pandemia ha voluto dire dare vita ad una rete di solidarietà a supporto delle famiglie, partendo da quelle gravitanti sulla scuola ma poi allargandosi a tutto il territorio.
Capocci conclude dicendo che “si è parlato molto di come mettere la scuola e la città a disposizione dei bambini; quello che abbiamo cercato di fare è stato un po’ il contrario, cioè provare a mettere la visione dal punto di vista dei bambini a disposizione della città e nel nostro rione. Questa cosa sta funzionando ed il fatto che si siano moltiplicate le esperienze in tutta la città di Roma, dove oggi sono presenti 30 associazioni di genitori, ci insegna che è un modello che può essere replicato.”
Esperienze. La redazione di Territori educativi
Sulla testata online Territori educativi in tre anni sono stati raccolti 700 articoli e segnalazioni che raccontano esperienze, riflessioni e approfondimenti, tra cui le “Inchieste” sulle esperienze delle città o su temi educativi. Gianluca Carmosino, giornalista di Comune-info / Territori Educativi, ha presentato alcune esperienze sul tema della prossimità con un racconto costruito attraverso immagini.
La prima è quella di una strada scolastica, di un cortile sempre pieno, tutti i giorni, come quello della Scuola Di Donato, dove lo spazio del seminterrato ha svolto un ruolo decisivo in quanto le prime attività sono nate per avere uno spazio a disposizione anche da recuperare. In questa esperienza, al centro vi è il fatto che ci sono dei cittadini che non hanno delegato, non hanno aspettato, ma sono stati in grado di coinvolgere le istituzioni; tutto è partito un po’ da loro: i genitori, che hanno dato la spinta iniziale.
La seconda immagine che ci porta Carmosino, tra i tanti racconti, è quella di un palazzo alla periferia di Torino dove c’è un appartamento dove l’associazione Acmos da diversi anni sperimenta la coabitazione sia di ragazzi dell’università, sia di studenti delle scuole superiori, sia di ragazzi migranti, sia di persone affidate dai servizi sociali. A proposito di prossimità, ciò significa sperimentare l’autonomia, nuove relazioni con persone per periodi di qualche settimana o di qualche mese per i giovani, il mutuo aiuto, l’aiuto a chi è in difficoltà, insomma nuove relazioni di vicinato. Questa esperienza si collega con un lavoro quotidiano in dieci istituti superiori della città che si conclude in estate con la “scuola di quartiere” che educa alla cittadinanza attiva con il protagonismo dei ragazzi che autogestiscono uno spazio pubblico (una scuola, uno spazio dell’ente locale) per attività di socializzazione culturale e ricreative. Anche in questo caso c’è la capacità di ripensare la prossimità in tanti modi diversi ed alcuni di quei ragazzi sono quelli che hanno fatto o faranno la scelta di coabitazione. In tal senso, il concetto di prossimità prende forma nella vita reale della città.
Un’altra immagine viene dai laboratori di giornalismo nella scuola di Roma Fratelli Bandiera, in cui un docente ha fatto vedere la terrazza dove il grande maestro Alberto Manzi (1924-1997) portava i suoi ragazzi a fare scuola all’aperto. Una delle attività che facevano nell’ora di matematica era calcolare il perimetro delle nuvole, quindi dimostrando che anche in un luogo “chiuso” come la scuola è possibile pensare l’apprendimento in modo diverso.
Una quarta immagine che Carmosino ci arriva da Cagliari dove c’è una scuola che quasi tutti i giorni porta i bambini sia dell’asilo che della scuola elementare in giro per la città. Si apprende in tanti luoghi diversi, dalla bottega dell’artigiano al mercato, agli spazi culturali e sociali, dalle biblioteche ai musei alle piazze. Si chiama “educazione diffusa“, per riprendere la definizione di Paolo Montana (docente di filosofia) e Giuseppe Campagnoli (architetto e dirigente scolastico).
Una quinta immagine viene dalla periferia di Librino a Catania dove è presente un’associazione che gioca con i libri e con la lettura, portandola in posti dove non arriverebbe; immaginate una fermata dell’autobus con dei bambini che leggono dei libri che ci stimola a pensare a modi nuovi di vivere la città. E dove la scuola ha costruito una rete immaginando la scuola aperta e partecipata come un polo delle arti e della cultura perché da qui parte il riscatto sociale di un quartiere. Intorno alla parola prossimità e scuola troviamo esperienze ricche e diverse che ci invitano a ripensare in modo ampio i significati; le esperienze raccontate su Territori educativi dimostrano che molti sono in cammino su queste strade.
Esperienze. La Cooperativa “Legami di comunità”
L’ultima esperienza presentata alla BISP 2023 si è svolta con un collegamento online con una festa di quartiere a Brindisi. Paola e Daniele, membri della Cooperativa di comunità “Legami di comunità” (facebook), raccontano: “qui a Brindisi oggi vi è stata la parata finale del Palio di quartiere durato due giorni con la sfilata del gonfalone che ha l’immagine di Sant’Elia, un Santo un po’ particolare nato dal disegno di alcuni artisti di quartiere che hanno ripreso alcuni simboli del quartiere. Il quartiere in realtà prende il nome non da un Santo ma dall’architetto futurista Antonio Sant’Elia e questo santo è venuto non per fare miracoli ma per aiutare a farli o comunque per ispirare una comunità intera ad attivarsi a rendere più vivibile e bello il quartiere che ha già ha un sacco di risorse perché è il quartiere più grande e più verde della città. Un quartiere che ha problemi di marginalità, lontano dal centro, periferia di una città del sud con grossi problemi di sviluppo economico tanta disoccupazione e povertà educativa e culturale che soprattutto in questi contesti si sente tanto.”
Paola e Daniele proseguono con il lavoro di animazione della loro cooperativa di comunità a partire dalla gestione del parco Buscicchio, al centro del quartiere, e con la grande collaborazione dell’Istituto comprensivo statale Sant’Elia-Commenda, la scuola del quartiere che ha diversi plessi intorno al parco e che ospita ragazzi e bambini che dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola secondaria di primo grado.
Sono le famiglie della scuola che hanno dato vita alla seconda edizione del Palio di Sant’Elia coinvolgendo tutto il quartiere. La scuola stessa è socia fondatrice della cooperativa di comunità. La scuola è aperta al territorio al pomeriggio dopo l’orario scolastico e sono i genitori che attivano diversi laboratori; nelle settimane prima del Palio questi laboratori vengono dedicati all’allestimento di tutto ciò che serve per il Palio di Sant’Elia. Si sono attivate delle sartorie popolari, parola che esprime la dimensione popolare della diffusione dell’impegno per la propria comunità e che è una espressione di prossimità. Sono state anche riattivate delle strutture sportive tra cui due campi da tennis con una scuola popolare di tennis, una scuola popolare di teatro che ha debuttato con uno spettacolo che si chiama “San’Elia Malatia”.
La sfilata è un momento di coesione e identità del quartiere, la scuola aperta partecipata è la macchina che ci ha portato, le famiglie sono il motore. L’atmosfera che si respira è quella anche di un riscatto sociale: Sant’Elia è un quartiere marginale che si porta dietro uno stigma (non del tutto infondato perché comunque sono quartieri in cui ancora abitano affiliati della Sacra corona unita), quelli del contrabbando di sigarette. Questo retaggio dell’illegalità ancora si porta strascichi e fatiche.
Conclusioni
In Italia abbiamo migliaia di esperienze azioni di comunità che possono indicarci la strada e darci la chiave per il futuro. La Rete MoVI, da qualche anno, ha iniziato a raccoglierle per valorizzarle e sostenerle e collegare i mondi separati del Paese. Queste esperienze sono nate e hanno intrapreso soluzioni efficaci e innovative senza aspettare né le istituzioni né gli ingegneri e gli architetti. Dove ci sono ingegneri e architetti che collaborano le cose diventano ricche e meravigliose e dove ci sono istituzioni che collaborano le cose diventano stabili e durature nel tempo, come alla Scuola Di Donato da vent’anni.
Le azioni di comunità hanno bisogno di istituzioni collaborative, che sanno raccogliere e sostenere i germogli nati sui territori, ma da sole non ce la possono fare. Al contrario le istituzioni possono trovare la loro strada verso il futuro se supportano il territorio invece di pensare di “fare al posto dei cittadini”. Ai tecnici, infine, il compito di saper leggere il proprio tempo e mettersi a servizio degli uni e degli altri, dando una visione comune del vivere un territorio.
Le esperienze presentate interpretano e mettono in pratica in modo straordinario il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, comma 4 della Costituzione Italiana.
Tratto da URBANISTICA INFORMAZIONI N.311-2023