Il rifiuto della guerra ha bisogno di linguaggi nuovi con cui raccontare il mondo. Lo straordinario rapporto Ukrainian Nonviolent Resistance in the Face of War dell’International Catalan Institute for Peace (Icip) rende visibile centinaia di azioni compiute nei mesi scorsi contro gli occupanti ma di fatto anche contro la resistenza armata e la corsa al riarmo del governo ucraino: interposizioni, manifestazioni pubbliche di protesta contro l’occupazione, raduni non autorizzati in piazza, rimozione delle bandiere russe dagli edifici pubblici, graffiti sui muri, distribuzione di poster contro gli occupanti, e ancora pubblicazione di rapporti su stupri, torture, sparizioni e abusi, diffusione di notizie sui corridoi umanitari autorganizzati e sui posti di blocco, allestimento di rifugi… Il rapporto Icip, oltre a mostrare come le organizzazioni femminili abbiamo acquisito una crescente importanza, analizza con grande capacità critica gli impatti, i limiti e le contraddizioni di quelle azioni. Scrive Bruna Bianchi: “Diffondere queste voci, tenere viva l’attenzione sulla resistenza civile, promuovere azioni contro il riarmo e la militarizzazione della società, riflettere sui temi della pace non è solo urgente, ma è un progetto di sopravvivenza…”

All’inizio del conflitto in Ucraina, com’è noto, gruppi di cittadini-e scesero spontaneamente per le vie fermando gli automezzi militari russi a mani nude, spostando i cartelli stradali per confondere i soldati, parlando con loro, protestando nelle piazze. Queste azioni posero in primo piano la questione dell’efficacia della resistenza nonviolenta nel fermare l’invasione e avviare un processo di pace, ma non furono sostenute dal governo del paese che, al contrario, ha risposto all’invasione con la resistenza armata, la coscrizione obbligatoria e gli insistenti appelli per l’invio di volontari e di armi.
Dopo quattordici mesi di un conflitto che ha causato centinaia di migliaia di morti da entrambe le parti e danni ambientali irreparabili, che ha distrutto intere città e regioni, costretto alla fuga milioni di persone, e di cui non si vede la fine, la questione dell’efficacia della resistenza civile nonviolenta, della sua capacità arrestare la spirale della violenza è tornata al centro dell’attenzione. Ne sono un esempio l’interesse per le opere di Erica Chenoweth, una delle maggiori esperte di resistenza civile, di cui è recentemente apparso in italiano il volume Come risolvere i conflitti. Senza armi, senza odio con la resistenza civile (Sonda, Milano 2023) e la pubblicazione nell’ottobre del 2022 del rapporto Ukrainian Nonviolent Resistance in the Face of War a cura di Felip Daza Sierra dell’International Catalan Institute for Peace. Recentemente tradotto in italiano a cura di Movimento Internazionale della Riconciliazione, il rapporto è già stato illustrato a grandi linee, e tuttavia vale la pena di analizzarlo un po’ più nel dettaglio per comprendere i caratteri, l’estensione e le criticità delle azioni di resistenza civile nonviolenta nei primi cinque mesi di guerra.
La prima parte il rapporto è dedicata al quadro concettuale di riferimento, alla definizione della nonviolenza come visione alternativa dell’etica, della politica, della sicurezza e delle relazioni sociali, un pensiero che individua nell’obbedienza il fondamento del potere e nella disobbedienza la forza capace di sovvertire le strutture oppressive, come già avevano teorizzato Étienne De La Boétie nel Discorso sulla servitù volontaria (1576) e Henry David Thoreau in La disobbedienza civile (1848). I metodi della resistenza nonviolenta, si ribadisce in più passi del rapporto, sono inconciliabili con quelli della resistenza armata.
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A differenza dell’azione violenta, la nonviolenza mira a influenzare, senza la minaccia o l’uso della violenza, le azioni, lo stato morale e psicologico dell’avversario, a cambiare la sua percezione del conflitto, a fraternizzare e a convincerlo a deporre le armi. L’efficacia dell’azione nonviolenta dipende dal mantenimento della sua dinamica e da non combinarsi con la violenza armata (p. 7).
Il secondo capitolo si sofferma sulla tradizione della resistenza nonviolenta in Ucraina nel corso di un secolo, in particolare a partire dal crollo dell’Unione sovietica, “quando lo stato ucraino ereditò strutture di potere centralizzate, sfiducia sociale e un sistema di sicurezza abituato alla repressione”. Ampio spazio è dedicato al sondaggio condotto nel 2015 dall’Istituto Internazionale di sociologia di Kiev per conoscere gli orientamenti dei cittadini delle cittadine rispetto all’adozione di metodi violenti o nonviolenti in caso di invasione o occupazione del paese. Il sondaggio rivelò una decisa propensione della popolazione ucraina a ricorrere ad azioni nonviolente.
Infatti, nel corso degli anni il tessuto sociale e associativo ucraino ha sviluppato ampie capacità di trasformazione dei conflitti e di difesa dei diritti umani, ma ha marginalizzato la riflessione sulla pace.
L’esperienza ucraina di resistenza civile nonviolenta si combina con vivaci comunità di mediazione e di difesa dei diritti umani. I conflitti armati e le minacce alla sovranità ucraina negli ultimi decenni hanno marginalizzato il discorso della costruzione della pace. Questa situazione ha portato alla trasformazione e al raggruppamento delle organizzazioni del settore in due aree principali: la difesa dei diritti umani e la promozione del dialogo nelle situazioni di conflitto. Secondo Tetiana Kyselova, docente all’Università nazionale Kyiv-Mohyla Academy, quest’ultimo gruppo è composto da un lato, dalle “comunità dei mediatori” […] e dall’altro, dai “facilitatori del dialogo”, composti da venti organizzazioni che si sono concentrate sullo sviluppo dei processi di dialogo nell’Ucraina orientale dopo il 2014 […] mentre le forti organizzazioni per i diritti umani hanno svolto un lavoro fondamentale per lo sviluppo democratico del paese (p.13).
In questi processi, come ha dimostrato Tetiana Kyselova, esperta in mediazione e risoluzione dei conflitti, le organizzazioni femminili hanno acquisito una crescente importanza.
I caratteri
La parte centrale del rapporto è dedicata all’analisi di 235 casi avvenuti tra febbraio e giugno 2022. Sulla base di 55 interviste e di un’ampia ricerca sulle risorse della rete, l’autore ha ricostruito i luoghi e le modalità delle azioni di resistenza civile e ne ha valutato l’impatto. Nel primo periodo della guerra la resistenza civile si è verificata al nord del paese e in seguito si è concentrata al sud, mentre a Marjupol, Buča e Irpin, dove sono stati perpetrati terribili massacri di civili, non si è sviluppata.
L’inizio dell’invasione ha provocato una grande mobilitazione e organizzazione della comunità. La stragrande maggioranza degli attori sociali ucraini, dalle organizzazioni per i diritti umani ai gruppi auto-organizzati che si erano sviluppati dopo Euromaidan, centri giovanili, parrocchie e semplici cittadini e cittadine, si sono organizzati per proteggere la popolazione e fermare l’avanzata delle truppe russe (p. 14).
La mobilitazione si è sviluppata spontaneamente a livello locale, per lo più attraverso il canale Telegram – che in pochi giorni ha visto aumentare i suoi abbonati da 2.000 a 25.000 – e attraverso reti informali e relazioni di fiducia che, in qualche caso, come a Sumy, hanno coinvolto anche “amici e vicini” dei villaggi russi di confine. All’inizio della guerra, inoltre, il Servizio di volontariato ucraino ha mobilitato 120.000 giovani per gli aiuti umanitari.
La maggior parte delle azioni di resistenza è avvenuta nel mese di marzo (131): interposizioni, manifestazioni pubbliche di protesta contro l’occupazione, raduni presso monumenti o altri luoghi simbolici dell’identità ucraina, rimozione delle bandiere russe dagli edifici pubblici (148 nel complesso, di cui 96 nel mese di marzo). Di particolare rilievo la manifestazione svoltasi il 26 aprile a Slavutič, la città costruita per ospitare gli sfollati da Černobyl’, che ha costretto l’occupante a negoziare con la cittadinanza (p. 18).
Numerosi anche i casi di non collaborazione e di intervento nonviolento (87) guidate da insegnanti e dipendenti pubblici, da medici e altri lavoratori che sono culminati nelle dimissioni da consigli comunali, scuole e altre strutture pubbliche, nel rifiuto di accettare gli aiuti umanitari russi – che talvolta sono stati dati alle fiamme – o di pagare le tasse.
A partire da aprile molti attivisti hanno abbandonato il paese, i militari russi sono stati sostituiti da agenti di polizia specializzati nella repressione delle manifestazioni di massa, gli arresti sono aumentati e la resistenza si è espressa in modi indiretti: disegni e graffiti sui muri, distribuzione di nastri blu e gialli, di volantini e poster derisori degli occupanti.
Come si evince dall’appendice in cui sono descritti i 235 casi, molte di queste proteste da aprile a giugno sono state organizzate dal gruppo “Nastro giallo” fondato a Kerson da un giovane di vent’anni. Taras, il nome fittizio del giovane, ha dichiarato in una recente intervista, che il gruppo può contare su migliaia di aderenti, tra cui numerose donne e ragazze. Privo di addestramento militare, Taras non aveva potuto unirsi ai partigiani ucraini e, sapendo che molti altri giovani non l’avrebbero fatto, ha iniziato a organizzare la protesta attraverso la rete. In breve tempo, mentre le stoffe di colore giallo e blu sparivano dalle abitazioni e dai negozi, i nastri colorati costellavano i centri cittadini e sugli edifici apparivano i simboli dell’esercito ucraino. Il 18 giugno il gruppo “Nastro giallo” ha organizzato una manifestazione virtuale. Il luogo della manifestazione è stato ricostruito in forma digitale su Instagram: il viale centrale di Kerson, con tutti gli edifici, i parchi e gli incroci sono stati riprodotti metro dopo metro disegnando un percorso virtuale dove si sono radunate, sempre virtualmente, 36.000 manifestanti.
Dal canto loro, le organizzazioni per i diritti umani hanno seguito i casi di giornalisti, attivisti e autorità locali rapite (163 nel maggio 2022) e il Centro per le libertà civili ha sviluppato una piattaforma decentralizzata (Euromaidan SOS) con oltre 100.000 abbonati che ha diffuso informazioni sui corridoi umanitari e i posti di blocco. Nell’ambito dell’aiuto umanitario le donne hanno avuto un ruolo cruciale. Nina Potarska, coordinatrice della WILPF per l’Ucraina, ha affermato che le donne, grazie alla loro invisibilità in guerra, sono state alla guida dell’evacuazione e della protezione della popolazione civile nelle zone di Karkiv, Zaporižžja e nel Donbass (p. 23). L’attivismo femminile, inoltre, è stato cruciale nell’allestimento dei rifugi nelle aree ad alto rischio (n. 176) e nell’offrire assistenza psicologica alle donne e alle loro famiglie, come è accaduto a Leopoli per iniziativa del “Centro per le prospettive delle donne” (caso n. 20).
Il prospetto in appendice raramente specifica il genere e l’età di coloro che hanno promosso o partecipato alle azioni di resistenza non violenta, ma possiamo ragionevolmente supporre che in molti casi le protagoniste siano state le donne, ad esempio quando le azioni di resistenza si sono svolte nei mercati (n. 102), o quando ai soldati russi è stato offerto tè, cibo e il telefono perché potessero chiamare la famiglia (n. 29), o quando 109 carrozzine vuote sono state esposte a Leopoli il 18 marzo 2022 per denunciare i bambini uccisi in guerra (n.115), o ancora quando le manifestazioni erano composte da “adulti e bambini” (n. 116).
Un altro campo in cui si è dispiegata l’azione di decine di organizzazioni con una vasta esperienza nella difesa dei diritti umani è stato quello del monitoraggio coordinato dei crimini di guerra. Il Centro per le Libertà Civili, l’organizzazione per i diritti umani di Helsinki, il Gruppo per la protezione dei diritti umani di Karkiv hanno avviato l’iniziativa “Tribunale per Putin” al fine di raccogliere prove di stupri, torture, sparizioni e abusi, in particolare sui gruppi più vulnerabili. La rete civile OPORA ha creato una piattaforma per la denuncia in sicurezza dei crimini di guerra e una rete di uffici per la raccolta delle testimonianze dei rifugiati e delle rifugiate in Polonia.
Gli impatti
Nel complesso nel nord del paese le azioni di resistenza civile hanno contribuito a frenare l’invasione, mentre nella parte meridionale del paese hanno smentito la versione russa della liberazione del popolo ucraino, protetto la popolazione civile, rafforzato le comunità e i governi locali, indebolito la capacità di mobilitazione dell’esercito russo, ostacolato il processo di istituzionalizzazione dell’occupazione.
Le azioni di non collaborazione sociale hanno impedito lo sviluppo di piani di assimilazione culturale, quelle di non collaborazione economica hanno intralciato la riscossione delle tasse e la costruzione di strutture per il rafforzamento delle posizioni difensive russe ai confini di Kerson e Zaporižžja.
Importante anche l’impatto sulle comunità. Le reti di aiuto nelle località di occupazione hanno sostenuto la popolazione e i gruppi più vulnerabili; le azioni nonviolente di comunicazione (stampa, TV, radio, internet) hanno rafforzato la rete di comunità, prodotto contro-narrazioni basate sull’umorismo evitando la diffusione del panico. Graffiti, volantini, nastri gialli e blu hanno tenuto in vita la resistenza e il morale riducendo i pericoli della repressione per gli attivisti. Infatti, non bisogna dimenticare che tutte le azioni di resistenza hanno comportato gravi rischi e hanno richiesto coraggio e creatività.
Nel complesso l’azione nonviolenta ha rafforzato la governance locale, migliorato il coordinamento tra autorità locali e i cittadini e le cittadine, benché sia mancato il sostegno delle autorità a livello nazionale. Se da una parte le azioni di resistenza nonviolenta hanno dimostrato la loro efficacia nel contrastare l’invasione e l’occupazione, dall’altra hanno rivelato forti criticità, o sfide, come le definisce Felip Daza Sierra.
Le sfide
Una delle sfide “più cruciali” delle azioni di resistenza nonviolenta è stata l’interazione con la resistenza armata, una cooperazione promossa dalle autorità ucraine per l’identificazione delle postazioni russe, “la costruzione di infrastrutture anticarro, l’hackeraggio delle infrastrutture digitali russe o azioni di sabotaggio di macchinari militari” (p. 25). La maggior parte delle persone intervistate ha dichiarato di non considerare in alcun modo problematica una tale collaborazione, indebolendo così l’efficacia della resistenza nonviolenta che, si ribadisce nel rapporto, dipende dalla “separazione delle due strategie” (p. 26).
Caratteristica delle azioni di resistenza nonviolenta è stata la tendenza ad evitare discorsi di pace. La stessa Tetiana Kyselova, da anni impegnata in progetti di promozione del dialogo e di costruzione di pace in Ucraina, il 3 agosto 2022 ha affermato nel corso di una intervista:
Come mediatori, non vediamo come l’Ucraina possa risolvere questo conflitto esclusivamente attraverso mezzi politici. L’aggressione esterna è stata riconosciuta dalla maggior parte dei paesi e c’è chiaramente uno stato aggressore e uno stato che si difende. Così, al momento, è di cruciale importanza sostenere l’Ucraina inviando armi. Anche noi, come costruttori di pace ucraini e mediatori, lo chiediamo.
Il dialogo con la Russia, continua Kyselova, dovrà essere affrontato con molta cautela.
La difesa armata dà all’Ucraina un enorme potere, ma è un potere distruttivo. In questa situazione sedersi ad un tavolo di dialogo è molto pericoloso e per molti impensabile.
Già nel maggio 2022 in una dichiarazione pubblica delle organizzazioni di mediazione e facilitazione del dialogo si poteva leggere: “Non possiamo condannare l’uso della forza quando questa è richiesta per proteggere il paese e i suoi abitanti. Dobbiamo trovare approcci nuovi e creativi che prendano in considerazione questi fattori: l’uso della forza, così come i mezzi nonviolenti di risoluzione dei conflitti” (p.1).
Questa è la situazione “paradossale”, come la definisce Kyselova, in cui si trovano le organizzazioni e le reti che fino ad ora hanno avviato processi di risoluzione dei conflitti.
Un altro aspetto di criticità riguarda la mancanza di una strategia sufficientemente articolata volta a influenzare lo stato morale e psicologico dell’avversario e a indurlo a cambiare la sua percezione del conflitto. I casi di fraternizzazione conosciuti sono stati solo due.
La maggior parte delle persone intervistate non prende in considerazione la possibilità di avviare processi di dialogo con gli attori sociali russi per il momento. Secondo alcuni esperti consultati, c’è una chiara debolezza nel comprendere le tendenze dell’opinione pubblica russa e questa mancanza di analisi impedisce di capire le lacune della propaganda russa e i movimenti dissidenti all’interno della Russia. L’intensificazione della resistenza civile nonviolenta oltre i confini ucraini sarebbe strategicamente fondamentale per intaccare i pilastri del potere del Cremlino e costringere le autorità russe ad abbandonare la via armata per la risoluzione del conflitto politico con l’Ucraina e l’Occidente (p. 27).
Indebolisce l’efficacia della resistenza civile anche la mancanza di formazione delle persone che hanno partecipato ai programmi di difesa dei diritti umani, e in particolare il fatto che le reti di protezione non offrono sostegno degli obiettori di coscienza. Secondo quanto emerge da varie testimonianze, esistono pratiche di rifiuto di accoglienza nei rifugi dei giovani in età militare e attraverso le reti sociali si sono verificati veri e propri “attacchi nei confronti di giovani in età militare in aree ad alto rischio” (p. 28). Obiettori e disertori sono un “tabù sociale” che comporta la stigmatizzazione e la criminalizzazione anche nelle reti di difesa dei diritti umani che, inoltre, nel monitoraggio dei crimini di guerra non includono quelli commessi dai soldati ucraini nei confronti dei prigionieri russi, di cui esistono le prove fin dalla fine di marzo 2022.
Infine, le diversità di visioni e di aspettative tra le regioni occidentali e orientali dell’Ucraina permangono profonde e la polarizzazione regionale è aumentata nel corso della guerra.
Il rapporto si conclude con raccomandazioni articolate in dieci punti rivolte alle agenzie, ai governi e agli attori della società civile ucraina e internazionale affinché si impegnino nel sostegno della resistenza civile nonviolenta, rafforzando la resilienza delle comunità e i sistemi di monitoraggio dei crimini di guerra, prevenendo conflitti tra le comunità ospitanti e gli sfollati interni dalle regioni orientali, esplorando la possibilità di regolamentare e sviluppare un sistema di difesa civile nonviolenta sull’esempio della Lituania, favorendo la ricostruzione sociale e politica sulla base dello sviluppo del governo locale e del decentramento e, non da ultimo, affermando l’obiezione di coscienza come diritto umano.
La negazione dell’aiuto agli obiettori, la collaborazione con le forze armate, l’assenza di un discorso di pace, il rifiuto del dialogo, e soprattutto l’adesione alla richiesta di armi da parte di coloro che per anni sono stati alla guida della promozione della pace e del dialogo, rendono ancora difficile definire queste azioni come azioni di resistenza nonviolenta; da quanto emerge dal rapporto esse sembrano configurarsi per lo più come azioni di mobilitazione civile contro l’occupazione. Per molti militanti, infatti, il confine tra resistenza armata e resistenza nonviolenta è labile. Anche Ivan, un giovane che come Taras è un attivista nel gruppo “Nastro giallo”, spera nel giorno in cui porterà la bandiera ucraina nella piazza principale di Kerson e celebrerà l’evento al fianco dei militari.
In una società fortemente traumatizzata come quella ucraina e lacerata da antichi conflitti, parlare di pace per chi ha vissuto e assistito a distruzioni e brutalità inaudite resta molto difficile, eppure in Ucraina, come in Russia e in Bielorussia, c’è chi continua a levare la sua voce per la pace e la nonviolenza. Diffondere queste voci, tenere viva l’attenzione sulla resistenza civile, promuovere azioni contro il riarmo e la militarizzazione della società, riflettere sui temi della pace non è solo urgente, ma è un progetto di sopravvivenza.
[Questa pagina fa parte di Voci di pace, spazio web
di studi, documenti e testimonianze a cura di Bruna Bianchi]
“Abbiamo chiarito agli ucraini che non permettiamo né incoraggiamo attacchi al di fuori dei confini dell’Ucraina. Ma penso davvero che sia importante fare un passo indietro e ricordare a tutti e ricordare al mondo che la Russia ha iniziato questa guerra”.
Oggi leggo stessa tesi con intenti nn pacifici a cura del dipartimento di stato Usa.
È acclarato da molteplici fonti opposte che la guerra civile in Ucraina e iniziata ben prima dell’invasione russa.Andrea Rocchelli giornalista italiano fu ucciso per questo dai militari ucraine. È arcinoto che allo scioglimento del parto di Varsavia n. Segui la Nato che si è espansa ovunque ed ha aperto da poco un ufficio in Giappone per la prossima guerra contro la Cina. Il nazionalismo, (in Ucraina c’è quello glorificato dal regime del filo nazista Bandera) ha già portato a due guerre mondiali nn ci bisogno di una terza e di alimentarla inviando armi. Ciò nn significa condividere la strategia della classe dirigente russa come direbbe qualsiasi media dal manifesto a Repubblica. C’è un gran bisogno di analisi economica e politica per capire e muoversi in questa tragedia epocale nn propaganda condita da buone intenzioni.
Spartaco 23
??Altroché!
Sono semplicemente allibita.e costernata..mi vergogno ogni giorno di più su appartenere e rappresentare nel mio piccolo il genere umano…