È un raccontino di vita quello che regalo a Comune per il suo decimo compleanno, insieme a un minuscolo contributo economico che presto vorrei moltiplicare, e invito tutte e tutti a fare altrettanto perché Comune deve, sì, la sua esistenza alla bravura e alla fatica di tre compagni, ma poi diventa di tutti noi che lo leggiamo e/o che ci scriviamo.
Era tanti anni fa, erano gli anni in cui i ragazzini di famiglie operaie che decidevano di andare a scuola, spesso il pomeriggio e durante le vacanze lavoravano. Era normale, quindi, che intorno ai 14 anni io andassi a vendere saponette bussando alle porte dei condomini romani.
Allora la “sicurezza” non aveva ancora assunto il significato di esclusione e terrore verso ogni essere non perfettamente omologato e quindi si usava aprire la porta a chi suonava il campanello. Magari la reazione era spesso infastidita perché a suonare i campanelli per le saponette, i cosmetici, la biancheria, i biscotti e perfino l’olio sfuso o il vino dei Castelli in quegli anni si era in tanti.
Ma il concetto di sicurezza era soprattutto legato al buon senso e non all’esclusione, era contenuto nella frase tipica di tua madre che salutandoti quando dovevi prendere un tram ti diceva “mi raccomando stai attenta” o “non dare confidenza agli sconosciuti”. Insomma, un principio di precauzione più che un’ossessione basata sull’esclusione dell’altro da cui ci si deve difendere a priori.
Quel pomeriggio la mia caposquadra, una donna adulta, mi aveva dato l’incarico di tentare la vendita in un palazzo piuttosto signorile. Si sapeva che nei palazzi signorili si vendeva poco e allora ci mandavano le ragazzine più piccole. Spesso ti apriva la colf la quale faceva da filtro e ti chiudeva la porta in faccia senza scomodare la signora di casa. Avevamo scoperto che si vendeva molto di più nei quartieri popolari, comunque quel giorno, dopo aver superato l’ostacolo rappresentato dal portiere con un gioco che sapevo a memoria, cioè la caposquadra lo distraeva chiedendogli alcune informazioni e io, con una borsa a tracolla piena di saponette ma non troppo grande, sorridevo e dicevo velocemente, salendo come se conoscessi perfettamente lo stabile “vado da Annamaria”. Perché, credo che lo sappiate tutti, i nomi vanno a periodi storici e in quel periodo di Annamaria ce n’erano un po’ ovunque. Qualche volta andava male ma il più delle volte funzionava. Arrivavo all’ultimo piano e tentavo la vendita dall’appartamento più in alto scendendo senza saltarne nessuno.
Ero forse arrivata al terzo piano quando sento una voce forte che canta. Una voce di uomo, piena, vibrante. E’ proprio dietro la porta alla quale sto per suonare. Capisco che non è un uomo qualunque che canta mentre si fa la barba, dev’essere proprio un cantante. Mi fermo un po’, non so se suonare o meno, sono un po’ intimidita. Che faccio, suono? Be’ sì, suono. Forse non mi aprirà o forse mi caccerà via. Tentenno, suono o non suono? Riconosco alcune parole in dialetto siciliano di una strana canzone che avevo imparato in colonia e che non avevo mai sentito cantare da nessuno alla radio o in TV. Ora la conoscono tutti, ma allora non era ancora passata per i mass media.
Mentre sto fuori della porta sento l’uomo che ricomincia più volte la stessa strofa che fa “vitti na crozza sopra nu cannuni”. Alla fine mi decido e suono.
Mi apre un omone, ha una camicia chiara aperta e dietro di lui ci sono altre due persone. Io gli mostro la saponetta ripetendo la tiritera che sapevo a memoria e con tanto di sorriso gli spiego che è sapone neutro ottimo per questo e per quello…. Lui fa una risata che è un misto tra il riso di un gigante buono e quello di un orco, non mi lascia finire, si rivolge alle due persone che sono in casa e dice una cosa più o meno così: “a sta piccirilla ce la comprammo ‘na saponetta, ah? Sì? E perché una sola?” poi rivolto a me chiede “ ma tu ci vai alla scuola?” e io gli rispondo sì, ma di mattina. Lui ride ancora, mi dice “brava brava allora dammene dieci di ste saponette così finisci prima”.
Mi sembra un miracolo. Quando scendo trovo la caposquadra fuori che mi vede la faccia radiosa e mi chiede com’è andata. Io le racconto tutto e lei mi mostra il citofono. “Guarda qua, tu devi aver suonato a Otello Profazio. Hai capito chi era l’uomo che cantava? Si vede che s’è commosso e se tu eri più furba gliele vendevi tutte le saponette”. Otello Profazio! Ma chi lo conosceva Otello Profazio? Io allora non sapevo chi fosse, era uno che cantava in dialetto siciliano e che si era mostrato generoso e di animo gentile.
Insomma, in quel mondo in cui ancora sembrava normale aprire la porta a chi suonava il campanello, anche se magari ti faceva perdere tempo, poteva capitare che un Otello Profazio comprasse le saponette da una ragazzina che la mattina andava a scuola e che, per poterci andare, il pomeriggio lavorava. Non era quella boiata del cosiddetto progetto scuola-lavoro spacciato per grande innovazione moderna. Era solo un tempo in cui, come cantava Pietrangeli, “anche l’operaio vuole il figlio dottore” ma per poterlo diventare si doveva lavorare anche da piccoli.
Nel corso degli anni le cose sono cambiate, ma poi si è tornati indietro. Cos’è successo? Be’, l’analisi sociologica la rimandiamo a un’altra occasione, ora volevo solo raccontare una piccola storia di gente comune e dell’incontro casuale con un artista che narra e canta storie di gente comune. È il mio piccolo regalo a Comune-info, che mi onora pubblicando spesso i miei articoli e che mi onoro di seguire e di diffondere da quando ancora non era un portale web ma una bellissima rivista cartacea: “Carta”, appunto.
Mi dico, e questo è il senso del mio racconto, che forse si potrà provare a cambiare il mondo anche rifiutando l’ossessione per la sicurezza, quella che induce all’esclusione dell’altro e all’aumento esponenziale di quei prodotti, fonte di alti redditi per chi li produce, che non sono trattori e neanche gioielli o abiti di seta, ma armi, armi per la propria sicurezza, per quella della propria famiglia, per quella della propria nazione e via via via sempre più veloci verso quei campi in cui resta solo “una crozza sopra nu cannuni”.
Vai Comune-info, menomale che ci sei e che riesci a darci una boccata d’ossigeno!
Le altre adesioni alla campagna di sostegno a Comune-info “Dieci anni e più” e le informazioni su come aderire sono leggibili qui.
Mimmo Cortese dice
Grazie per il tuo racconto pieno di candore, e di amore.
Un abbraccio