Settantanove anni dopo una sirena è tornata a suonare nel centro di Gernika-Lumo. È stata azionata da una donna siriana, che da due anni ha trovato rifugio nella cittadina basca. “Da noi non ci sono nemmeno le sirene”, ha detto con le lacrime agli occhi. Allora, contro la popolazione civile, gli arei inviati da Hitler e Mussolini sganciarono più di mille bombe incendiare. L’orrore fu immortalato da Pablo Picasso. Oggi sono l’ex-fabbrica di armi occupata Astra e il Museo della pace a coltivare la memoria con azioni, documentari e progetti che mettono in relazione gli anziani che all’epoca del bombardamento erano ragazzi o bambini e i bambini e i ragazzi di oggi
di Carlo Ridolfi*
Alle 15:45 del 26 aprile il suono della sirena ferisce le orecchie e i cuori di chi sta in piazza Pablo Picasso, già piazza Fernando il Cattolico, nel centro di Gernika-Lumo. È una di quelle stesse sirene che suonarono settantanove anni fa, recuperata da un gruppo di giovani e rimessa in funzione. Quest’anno, posta sopra il bunker che sta davanti all’ex-fabbrica di armi Astra, è stata azionata da una donna siriana, che da due anni ha trovato rifugio nella cittadina basca. “Da noi non ci sono nemmeno le sirene”, ha detto con le lacrime agli occhi, raccontando con una semplice frase quanto sia devastante la situazione dalla quale è fuggita.
Non è certo un caso, quindi, se molte delle persone che sfileranno la stessa sera per le strade di Gernika si ritroveranno tre giorni dopo in una manifestazione che ha per scopo di dichiarare pubblicamente la disponibilità ad accogliere profughi e rifugiati dallo guerre e dalla miseria.
Il 26 aprile del 1937 era un lunedì. Furono sganciate più di mille bombe, dagli aerei della Legione Condor della Luftwaffe, accompagnati nella loro missione di morte dai Savoia Marchetti 79 e dai caccia Fiat CR-32 inviati da Mussolini. Hitler utilizzò la Spagna come “palestra e collaudo di tattiche di armi” e il dittatore italiano diede man forte al suo sodale Francisco Franco per entrare nella dimostrazione di una potenza senza più freni che andava dimostrata a tutto il mondo[1].
Pochi lo capirono, in Europa, in un primo momento. Fra questi, reporter che diede la notizia e fece conoscere il massacro, capì George L. Steer, giornalista inglese che documentò l’uso di bombe incendiare e di mitragliatrici e il cui reportage ispirò Pablo Picasso per la creazione di uno dei dipinti più famosi di tutti i tempi.
Il tempo. La memoria. A Steer è dedicata una statua in una piazzetta limitrofa al centro, davanti alla quale ogni 27 aprile si radunano reduci e cittadini di oggi e i gruppi di turisti, molti francesi e giapponesi, che associano Gernika ad Hiroshima e Nagasaki, come dire che il secondo conflitto mondiale iniziò e si concluse con due stragi di persone comuni, diverse nelle dimensioni ma simili nello spirito letale.
Qualche giorno dopo incontro Iratxe Momoitio, giovane e attivissima direttrice del Museo de la Paz di Gernika, che racconta di quanti documenti abbiano a disposizione nei loro archivi e di quanti ne abbiano trovati a Roma, che confermano la partecipazione italiana al bombardamento. Nel 1997, in occasione del sessantesimo anniversario, il parlamento tedesco votò all’unanimità una risoluzione che impegnava il presidente della Repubblica e il governo a presentare formalmente le scuse alla popolazione basca. Dall’Italia un passo in questo senso non è ancora stato fatto (e sarebbe interessante che nel 2017, quando scadranno gli ottant’anni dalla strage, qualche novità a questo riguardo emergesse).
Il Museo della Pace, non grande nelle dimensioni ma di enorme importanza per la passione che si respira, ha una quantità di iniziative e di progetti davvero impressionante, tutte che possono essere ricondotte sotto il bellissimo titolo di “Pedagogia della memoria”.
A Gernika su questo stanno lavorando da qualche anno, con una sinergia tanto virtuosa quanto esemplare, sia le istituzioni pubbliche come il Museo, sia associazioni di base. L’ex-fabbrica di armi Astra (che fu scientemente risparmiata dalle bombe nazifasciste), dopo esser stata occupata da uno straordinario gruppo di giovani che ne ha impedito lo smantellamento che avrebbe dovuto favorire una speculazione edilizia, è diventata luogo di aggregazione primaria della cittadina, dove si svolgono spettacoli, mostre, laboratori, corsi o anche solo semplicemente feste per bambini e incontri conviviali. Da lì è partito tre anni fa il progetto “Lobak” (“nipoti”) che intende mettere in relazione comunicativa gli anziani che all’epoca del bombardamento erano ragazzi o bambini e i bambini e i ragazzi di oggi. Dallo stesso ambiente ha avuto origine un nuovo lavoro collettivo che si concretizzerà in un documentario e che ha avuto la sera del 30 aprile un momento pubblico con una serata denominata “Markak”, che alle musiche del duo Nebbian, della cantante e polistrumentista Mursego e del cantautore Ruper Ordorika ha alternato i commenti e le riflessioni di Bernardo Atxaga, il più grande scrittore basco attualmente in attività, da un libro del quale lo spettacolo ha preso il nome.
Non siamo tuttavia di fronte né a un irenistico progetto di riconciliazione senza che emergano responsabilità e connivenze, né ad un’accademica iniziativa di ricostruzione storica destinata a rimanere confinata nei dibattiti degli addetti ai lavori. “Pedagogia della memoria” significa coltivare la conoscenza dei fatti del passato per mostrarli nel presente, qui e ora, riscontrandone analogie e differenze, distanze e prossimità. Un lavoro che in Euskal Herria ha ancora l’aspro sapore delle lacrime e del sangue, ma che anche per questo si rivolge anche a chi lo stesso malo gusto è costretto a sperimentarlo oggi, dalla Palestina alla Siria, dalla Libia al CentroAfrica.
* Giornalista, è tra i principali animatori della Rete di Cooperazione educativa C’è speranza se accade@. L’adesione di Carlo Ridolfi alla campagna Facciamo Comune insieme è leggibile qui
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Note
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Facciamo riferimento per le informazioni storiche allo splendido “Guernica, 1937. Le bombe, la barbarie, la menzogna” di Angelo d’Orsi, Donzelli Editore, Roma 2007
Carlo Ridolfi dice
UNA PICCOLA CAROVANA IN MARCIA PER LA PACE.
Il 25 aprile partirà da diverse città d’Italia (Asti, Busto Arsizio,Bari; Padova, Parma, Ravenna) una piccola carovana di donne e uomini pacifici, che porteranno a Guernica, nei Paesi Baschi, una testimonianza di pace. Il 26 aprile, infatti, ricorrerà l’ottantesimo anniversario del bombardamento che, nel 1937, ad opera di squadriglie di aviazione tedesche e italiane, ingaggiate da Francisco Franco, provocò centinaia di morti e feriti. Si “sperimentò” in quei giorni l’attacco diretto su obiettivi civili, che da allora divenne orrenda prassi delle azioni militari, in evidenza sotto i nostri occhi anche in questi giorni con le notizie e le immagini che ci arrivano dalla Siria.
La Rete di Cooperazione Educativa – C’è speranza se accade @ ha avviato la marcia della Carovana dei Pacifici nel marzo 2015, quando Roberto Papetti, mastro giocattolaio di Ravenna, la propose per la prima volta come laboratorio in occasione del primo anniversario della scomparsa del maestro Mario Lodi. Da allora oltre ottomila bambini e bambine di moltissime scuole italiane hanno lavorato sull’idea di conflitto e sulle possibili modalità nonviolente di superamento dello stesso, disseminando in ogni dove piccole e grandi sagome di Pacifici e pensieri di bambini e bambine e ragazze e ragazzi sulla pace. La testimonianza che verrà portata dalla dozzina di donne e uomini pacifici nei giorni della memoria del bombardamento di Guernica comprenderà un messaggio di fratellanza per il popolo basco e un laboratorio tenuto dallo stesso Roberto Papetti che si terrà ad Astra, ex-fabbrica d’armi riconvertita in centro sociale e culturale della città.
Nell’occasione di questo viaggio, in un momento così delicato per la pace a livello planetario, la Rete di Cooperazione Educativa–C’è speranza se accade @ ha proposto a scuole, biblioteche, gruppi formali e informali di mettere in calendario da qui al prossimo mese di giugno un momento di riflessione e azione pubblica per le ragioni della pace e della nonviolenza.