Marce, blocchi stradali, scioperi della fame, azioni dirette: si chiama #IdleNoMore movement ed è costituito dai gruppi discendenti dai popoli nativi nordamericani. Da inizio dicembre hanno sconvolto il Canada. Nei primi giorni del nuovo anno in modo spontaneo sono state promosse in tutto il mondo azioni di solidarietà con l’#IdleNoMore movement. Che contesta le nuove scelte ambienali del governo conservatore canadese, a cominciare dallo sfruttamento delle sabbie bituminose da parte delle aziende estrattive. Dagli zapatisti a #IdleNoMore, insurrezioni in corso.
Alberto Zoratti
«Ne abbiamo abbastanza, i nostri giovani ne hanno abbastanza, le nostre donne ne hanno abbastanza. Non abbiamo più niente da perdere». Derek Nepinak è uno dei grandi capi della First Nations, oltre 1.2 milioni di persone discendenti dai popoli nativi nordamericani. Che sono disposti a «mettere in ginocchio» l’economia canadese se il governo conservatore di Stephen Harper dovesse continuare ad ignorarli. «Non siamo contro l’utilizzo delle risorse – ha detto Shawn Atleo, presidente dell’Assemblea di First Nations – ma non sosterremo lo sviluppo ad ogni costo».
E’ il senso, e la filosofia, che ispira l’#IdleNoMore movement, che negli ultimi mesi ha preso sempre più forza mobilitando migliaia di persone e organizzando centinaia di manifestazioni, blocchi stradali ed iniziative pubbliche. Non è la prima volta che i popoli nativi decidono di mobilitarsi. La crescita economica canadese li ha spesso lasciato ai margini e le politiche del governo conservatore di Harper, soprattutto nell’ultimo anno, stanno cercando di rilanciare l’economia attraverso un disimpegno sulla regolamentazione ambientale e sociale. Il 14 dicembre il parlamento ha votato il Bill C-45, ora ribattezzato Jobs and Growth Act, 2012, una vera e propria legge omnibus, che modifica importanti settori come i piani pensionistici del settore pubblico, gli aumenti salariali per i giudici e, non ultimo, cambiamenti nell’Indian Act nelle normative di protezione ambientale per le terre, i laghi e i fiumi. Il primo, che regola la relazione tra i popoli nativi e il Canada grazie anche all’intermediazione di un Aboriginal Affairs Minister, verrebbe modificato in modo da semplificarne le procedure soprattutto se legate alla cessione delle terre e delle riserve. Una modifica denunciata dal movimento come un rischio di svendita dei diritti indigeni. Le questioni ambientali verrebbero invece toccate da modifiche nel Navigation Protection Act e nell’Environmental Assessment Act, che faciliterebbero investimenti in campo energetico o estrattivo, indebolendo notevolmente le tutele e le richieste di Valutazioni di impatto ambientale.
La politica insostenibile del governo, che lo ha portato ad abbandonare il Protocollo di Kyoto nel dicembre del 2011 per avere sempre più mano libera nello sfruttamento delle proprie sabbie bituminose, sta cominciando a fare acqua anche al proprio interno. Un movimento ampio e in crescita che mette in allarme il Primo ministro, ed i tentativi di discreditare i leader delle comunità con la diffusione di documenti sulla presunta malagestione dei fondi governativi da parte del popoli nativi ne é un esempio, e che sta già pianificando azioni di più ampio respiro, come l’«IdleNoMore World day of action» fissato per il 28 gennaio per cercare di bloccare quella che viene definita come una vera e propria minaccia per l’ambiente e per i diritti delle comunità.
Non solo perchè indebolisce le tutele, ma anche perchè facilita lo sfruttamento delle sabbie bituminose da parte delle aziende estrattive. Stiamo parlando di un tesoro di oltre 173 miliardi di barili, la cui estrazione è passata da 1,3 milioni al giorno nel 2008 ad una previsione di oltre 3 milioni per il 2018. Miliardi di dollari pronti per essere estratti e rivenduti, un tesoro energetico che, assieme alla rivoluzione dello shale gas negli Stati uniti d’America, renderà energeticamente indipendente il continente nordamericano in pochissimo tempo con evidenti ricadute anche sulla geopolitica mondiale. Ma anche una spada di Damocle ambientale che rischia di cadere da un momento all’altro.
Lo scorso novembre è stato pubblicato un articolo su Pnas, Proceedings of the National Academy of Sciences, per una ricerca svolta dal Department of Biological Sciences dell’University of Alberta e del Department of Biology and School of Environmental Studies della Queen’s University che evidenzia come oltre all’impatto paesaggistico, l’estrazione di sabbie bituminose abbia un impatto pesante sui cosrsi d’acqua e sulla salute delle persone, a causa dell’incremento di sostanze come i cosiddetti «inquinanti prioritari» (Ppe), che presentano un areale di diffusione simile a quello di sostanze cancerogene come i composti policiclici aromatici, già evidenziati in altri studi.
A fianco di ciò, c’è la modifica ormai permanente dell’ambiente, dove decine di migliaia di ettari di torbiere e di zone umide vengono persi a causa delle estrazioni riducendo enormemente la capacità di assorbimento di anidride carbonica ed aumentando il rilascio di carbonio fissato (con stime variabili tra 11.4 e 47.3 milioni di tonnellate).
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