È sempre più evidente: l’Occidente non ha più la completa egemonia, ma nessun altro paese ce l’ha. Il vero problema è che nel mondo non c’è al momento un’alternativa al capitalismo. Il rischio di una terza guerra mondiale è reale. Tra chi non smette di rifiutare quel dominio c’è chi, purtroppo, considera importante l’ascesa della Cina, come se fosse un’alternativa, molti altri restano invece schiacciati sotto un pensiero critico colonialista e non vedono qualcosa di diverso dagli stati-nazione come teatri di cambiamento. Le alternative, scrive Raúl Zibechi, possiamo rintracciarle nei popoli che hanno cominciato a organizzarsi per resistere e creare mondi nuovi. Ma sarà una lunga traversata. “Certamente non è sufficiente per abbattere il sistema capitalista, per questo l’EZLN punta a lavorare da oggi perché in centoventi anni, sette generazioni, le persone che nasceranno potranno scegliere liberamente il proprio futuro. Non esistono scorciatoie istituzionali né partitiche…”
La profonda opacità del mondo attuale ci impone almeno due compiti permanenti: mettere in dubbio le analisi unilaterali che tendono a semplificare le realtà complesse e, dall’altra parte, consultare fonti diverse, anche contraddittorie tra loro, per offrire almeno un panorama che permetta di dissipare l’oscurità che acceca la nostra capacità di comprensione.
Nel libro La sconfitta dell’Occidente Emmanel Todd afferma che il declino della nostra civiltà è inevitabile. In quest’opera ritiene che il decollo di Europa e Stati Uniti fosse intimamente connesso con l’ascesa del protestantesimo, per il suo approccio all’educazione che ha favorito l’efficienza e la produttività dei lavoratori. Ma la “scomparsa dei valori protestanti”, continua Todd, ha portato al fallimento educativo, al disordine morale e alla fuga dal lavoro produttivo favoriti dalle pratiche religiose.
Lo scrittore libanese Amin Maalouf ha appena pubblicato Il labirinto degli smarriti, in cui avanza altre ipotesi che non collidono con quelle di Todd e che possono essere anzi considerate affini. Sostiene che per cinque secoli “il dominio occidentale e più precisamente dell’Europa, non era in discussione. Chi si opponeva era umiliato e sconfitto. Ora le cose sono cambiate”, conclude (El Diario, 4/6/24). Così come Immanuel Wallerstein, assicura che l’Occidente non ha più la completa egemonia, però nessun altro paese ce l’ha negli ultimi anni. Aggiunge che nessuna potenza ha ancora la capacità di risolvere i conflitti, come quello di Israele contro la Palestina, non riuscendo neanche a impedire che scoppino. Per questo afferma che “l’umanità oggi sta attraversando uno dei periodi più pericolosi della sua storia”. Secondo me uno dei punti più forti delle interviste che ha rilasciato a diversi media in questa settimana è la sua potente affermazione che la decadenza dell’Occidente riguarda tutto il pianeta.
“Il declino occidentale è reale, ma né gli occidentali né i loro numerosi avversari riescono a condurre l’umanità fuori dal labirinto in cui vaga senza meta” (El Confidencial, 3/6/24).
Continua:
“Gli avversari del mondo occidentale non hanno dei reali modelli da proporre. Hanno molte critiche al modello occidentale, sul ruolo svolto dall’Occidente, sul perché l’Occidente prova a prendere le decisioni per il mondo intero. Però non c’è un’alternativa”.
Perciò dice che il naufragio è globale, “dell’insieme di tutte le civiltà”, non solo occidentale. Insieme a Europa e Stati Uniti, ci fa notare che anche la Russia sta seguendo un declino e che già affronta problemi simili a quelli delle altre potenze. Per quanto riguarda la Cina, Maalouf evidenzia che segue anch’essa il modello occidentale: non solo capitalista ma anche neoliberista e di accumulazione per sottrazione.
Il rischio di una terza guerra mondiale è “reale” secondo Maalouf, soprattutto perché le società non vogliono ammettere i pericoli evidenti nel frenetico sviluppo di nuove armi da parte delle grandi potenze.
Nella mia opinione le dure affermazioni di Maalouf sull’assenza di un’alternativa al modello capitalista, sono giuste, e la realtà odierna somiglia ai conflitti interimperialisti che portarono alla Prima Guerra Mondiale nel 1914. È doloroso osservare come movimenti che sono stati rivoluzionari, oggi celebrino l’ascesa della Cina e che alcuni la considerino un paese socialista retto da capi marxisti. Questo fa parte dell’enorme confusione che dilaga nell’ambito dell’emancipazione.
Il secondo problema è il tremendo radicamento del colonialismo all’interno del pensiero critico, che non riesce a vedere oltre gli stati-nazione come teatri di cambiamento e trasformazioni rivoluzionarie. Da un lato gli stati dell’America Latina sono un’evidente eredità coloniale, strutturati in maniera gerarchica e patriarcale e non possono essere modificati né rifondati, come cercano di sostenere alcune correnti progressiste. D’altro canto l’esperienza storica ci dice che le rivoluzioni vincenti che si sono circoscritte alle frontiere degli stati non sono potute andare avanti nelle trasformazioni che desideravano. Dobbiamo trarre alcune conclusioni da più di un secolo di rivoluzioni focalizzate in stati che non potrebbero mai essere democratici né democratizzati. Qualcuno può forse immaginare una qualche forma di democrazia in eserciti e polizia? O nel sistema giudiziario?
Le alternative che Maalouf non trova in Cina né in Russia né in Iran possiamo rintracciarle nei popoli che si sono organizzati per resistere e creare mondi nuovi, in molti angoli del nostro continente. Certamente non è sufficiente per abbattere il sistema capitalista, per questo l’EZLN punta a lavorare da oggi perché in centoventi anni, sette generazioni, le persone che nasceranno potranno scegliere liberamente il proprio futuro.
Non esistono scorciatoie istituzionali né partitiche.
Pubblicato su La Jornada. Traduzione per Comune di Leonora Marzullo
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Questa l’adesione di Raúl Zibechi alla campagna a Partire dalla speranza e non dalla paura
“Quando un amico se ne va
c’è uno spazio vuoto
che non può riempirlo
con l’arrivo di un altro amico“
(Alberto Cortez)
Se abbiamo qualche speranza di sopravvivere, come umanità e come parte di “quelli di sotto”, è perché abbiamo imparato a trasformare il dolore in una trincea di luce e speranza; perché sappiamo controllare la paura della solitudine e della morte.
La scomparsa di Marco Calabria ci dice che dobbiamo seguire la sua impronta, camminare sempre più forte fino a sprofondare nel fango della creazione, mentre resistiamo e camminiamo. Non abbiamo altra alternativa che alzare la testa verso le stelle, verso le luci che ci illuminano. Una di quelle luci è Comune, questa semplice pagina di controinformazione e controanalisi, piccola, quasi invisibile a molti, ma necessaria per guidarci nella notte più buia che abbiamo conosciuto.
[Raúl Zibechi]
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