Per il sistema di alleanze e relazioni diplomatiche, politiche, economiche fra Israele, l’Europa e l’intero Occidente, l’esercito israeliano è anche il nostro esercito. È difficile sentirci assolti. Forse c’è un modo per cominciare a trasformare il dolore e la rabbia in qualcosa di nuovo e forte

Giornali e tv di tutto il mondo hanno mostrato e descritto una delle più orribili imprese – l’attacco alle ambulanze della Mezzaluna rossa, l’esecuzione degli operatori, l’occultamento dei corpi in una fossa comune e la giustificazione menzognera dell’operazione – compiute dall’esercito più orwelliano del mondo, come dovremmo ormai (amaramente) definire le forze armate israeliane, che hanno costruito nel tempo una narrazione – in realtà un esorcismo e un meccanismo di pressione-persuasione sui propri soldati – autodefinendosi “l’esercito più morale del mondo”.
È questa una definizione smentita da innumerevoli fatti, ma necessaria per lo stato israeliano: è stato il modo che ha permesso a tanti coscritti di svolgere compiti di polizia militare e di guerra guerreggiata in posizione in apparenza comoda – una condizione di schiacciante superiorità – ma anche insidiosa, perché affrontare la popolazione civile, soprattutto in Cisgiordania, ai posti di blocco, nella repressione quotidiana, negli sgomberi, nelle punizioni, e a maggior ragione nelle azioni di guerra vera e propria, soprattutto a Gaza, pone problemi etici ed esistenziali non irrilevanti per la gioventù israeliana in armi. Sapersi, o meglio credersi “l’esercito più morale del mondo” può aiutare a svolgere compiti ingrati, ingiusti, a volte anche orribili.
Con la campagna di Gaza che dura da quasi un anno e mezzo tutti i veli sono però caduti. La definizione di “esercito più morale del mondo”, l’affermazione – ripetuta a ogni obiezione, a ogni critica – di agire nella Striscia nel rispetto del diritto internazionale, sono ormai parte di una retorica orwelliana, con le parole che vengono pronunciate meccanicamente a significare però il loro contrario.
In questo macabro teatro, l’opinione pubblica internazionale, il giornalismo mainstream, i governi occidentali, così ricchi di prosopopea quando si tratta ai autodefinirsi liberi e democratici, si fanno notare per la loro passività, per l’ignavia che diventa complicità.
Costa dirlo, ma per ragioni – diciamo così – strutturali, dovute al sistema di alleanze e relazioni diplomatiche, politiche, culturali, economiche fra Israele, l’Europa e l’intero Occidente, l’esercito più orwelliano del mondo è (anche) il nostro esercito. Dovremmo guardare a noi stessi alla luce di questa constatazione. Diventa allora difficile, anche per chi avversa le scelte di Israele, per chi parteggia e manifesta e agisce in favore del popolo palestinese, diventa difficile per tutti noi sentirci davvero assolti.
Dovremmo riuscire a trasformare il dolore, la frustrazione, la rabbia in qualcosa di nuovo e di forte, forse – per cominciare – una rivoluzione interiore che si riversa all’esterno in ogni momento della vita quotidiana: una diserzione ora per ora dalla regola del silenzio, dell’indifferenza, del fatalismo che disciplina la nostra società, le nostre esistenze.
Lorenzo Guadagnucci ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
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