La pandemia ha moltiplicato e al tempo stesso svelato le macerie di un mondo dominato dal mercato. I casi della GKN di Campi Bisenzio e della Whirlpool di Napoli, come gli incendi climatici del Canada e l’alluvione della Germania, solo per fare alcuni esempi, annunciano frane sociali e ambientali devastanti. La lezione di Genova 2001, per poter cambiare rotta è necessario ripartire da noi, può illuminare questo tempo
L’ondata della pandemia è stata improvvisa, inattesa ai più nonostante gli allarmi che arrivavano da parte del mondo scientifico sul rischio che la deforestazione potesse aumentare la probabilità di salti di specie dagli animali selvatici all’uomo. Del resto è un’ipotesi che si affacciò persino per Ebola, ai tempi delle prime epidemie nel continente africano. Ma è solo con il ritiro delle acque, come in ogni inondazione che si rispetti, che emergono più chiaramente i danni e le macerie lasciate per troppo tempo sommerse da un’informazione troppo focalizzata sui numeri del contagio e sulle sue vittime.
È da questo lento riflusso che abbiamo cominciato a notare gli effetti di un sistema economico che, disinvestendo dai diritti a vantaggio dei mercati, ha lasciato miliardi di persone in balia del disagio e dell’esclusione sociale.
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Sono concetti che parlano con la lingua della precarizzazione, economica ed esistenziale, e che dimostrano come il tessuto sociale si sia gradualmente liso, lasciando strappi e buchi molto difficili da riparare, se non con un cambio radicale di paradigma.
La risposta delle élite politiche ed economiche assomiglia sempre più alla Shock Economy descritta da Naomi Klein più di un decennio fa, basterebbe leggere le innumerevoli righe del PNRR nazionale, o le politiche che volta per volta vengono indicate da palcoscenici internazionali come il G20 o l’Organizzazione Mondiale del Commercio, dove il business-as-usual viene riconfermato, ridipingendolo di connotati green o social, perché questo si aspettano i sette miliardi di spettatori nel mondo.
La tanto sventolata ripresa vede tra i beneficiari principali i mercati e le imprese, lasciate libere di lasciare a casa le persone per tagliare i costi, per fare un favore ad azionisti e mercati. È il caso della GKN di Campi Bisenzio o della Whirlpool di Napoli, prime conseguenze di un avviso comune firmato dalle parti sociali a Roma a fine giugno e che, nei fatti e al di là di varie contorsioni retoriche, lascia mano libera ai licenziamenti. Perché questo è business, bellezza.
Ma questi primi casi rischiano di essere i primi detriti di una frana sociale sempre più imminente, che rimanda al mittente il sogno dell’azienda Italia dove tutti, nessuno escluso, lavora fianco a fianco per il rilancio del Paese.
Quel mito si è infranto sui rapporti di forza tra capitale e lavoro, sulla necessità di Confindustria di far pagare a lavoratrici e lavoratori il costo della crisi, sulla ricerca di profitti ad ogni costo che approfittando delle condizioni dettate dalla Shock Economy.
Tutto questo mentre, di sottofondo, gli effetti ambientali di un modello di sviluppo perverso stanno diventando sempre più pressanti, con eventi estremi imprevedibili, con una concentrazione di CO2 in pericoloso aumento e sempre più vicino alla soglia delle 450 parti per milione identificate dall’IPCC, il Panel intergovernativo di scienziati che studiano il cambiamento climatico, come soglia da non superare e con una bozza di rapporto dello stesso Panel, la cui versione finale è prevista per il 2022, che descrive un prossimo futuro molto più preoccupante di ogni precedente previsione, con un aggravamento della situazione climatica sotto forma di sempre maggiori squilibri climatici e atmosferici, già a partire dai prossimi anni. Basterebbe guardare agli ultimi casi delle ondate di calore in Canada, alla desertificazione in Africa o allo scioglimento del permafrost o ancora alla disregolazione delle catene trofiche negli oceani.
Tutto quello che emerge, e che già era stato ampiamente previsto dal quel movimento che attraversò Genova, è che questo sistema economico è incompatibile con i diritti, con l’ambiente, con il pianeta intero.
E che se una via d’uscita ci può essere passa solo ed esclusivamente attraverso un ribaltamento dell’attuale paradigma, verso quella società della cura che è diventata, oggi come oggi, punto di approdo di ogni modello alternativo.
Ma per poter cambiare rotta è necessario ripartire da noi, da chi in tutti questi anni ha costruito e intessuto reti sociali, lotte per i diritti, mobilitazioni, mutualismo e che, ora come non mai, deve porsi l’obiettivo di convergere e procedere assieme. L’autunno che verrà potrà essere il momento da cui far ripartire una nuova stagione di impegno e conflitto sociale, perché il tempo sta scadendo e le fratture rischiano di diventare, a un certo punto, insanabili.
Giovanni Papa dice
Alberto, grazie. Non ti conosco ma concordo pienamente con quanto qui scrivi.
Se può ancora interessarti un dialogo con un vecchio pensionato ancora visionario che crede con altri amici che o partiamo da noi, ma concretamente immettendo nostre risorse quali che siano: tempo, competenze, risorse materiali e convergere creando case comuni e diffuse in cui auto realizzare frammenti di società della cura, o i forti diventeranno sempre più forti distruggendo anche loro stessi. Ciao e se vuoi sentiamoci al 3472128377 Giovanni
Alberto dice
Ciao Giovanni,
intanto grazie per il tuo commento. Credo molto anche io nelle case comuni diffuse e capaci di dialogare tra loro, sperimentando nuove forme di società e conflitto. Più saremo capaci tutte e tutti assieme di lasciare spazio e autonomia a quelle case, mantenendole connesse, più faremo un grande servizio al percorso verso la società futura possibile. Almeno, questo è quello che penso
Un abbraccio
Alberto