Il libro di Bassem Khandaqji, Una maschera color del cielo (tradotto da Barbara Teresi), ha vinto l’International Prize for Arabic Fiction, il più prestigioso riconoscimento per la letteratura di lingua araba. L’autore è in carcere da vent’anni, dopo un processo assurdo, e ha già pubblicato poesie, romanzi e articoli. Scrive Andrea Staid: “Con una prosa intensa e coinvolgente, Una maschera color del cielo ci trascina in una storia che, pur essendo molto personale, ci invita a una grande riflessione sull’assurdità della violenza coloniale israeliana e, in senso più ampio, sulla violenza scatenata da un’identità esasperata

“I vicoli del campo profughi lo assediavano, lo circondavano, gli si stringevano intorno mentre li percorreva controvoglia a passo svelto. Vicoli che rovinavano le sue mattine, e quella non faceva eccezione. La rugiada ricopriva come ruggine le aspirazioni di quel giovane su i trent’anni (..) Nur Mahdi al-Shahdi, figlio di quel campo profughi – e di tutti i campi profughi. Che bisogno c’è di nomi!”
Bassem Khandaqji, “Una maschera color del cielo“
Sotto un cielo sempre più plumbeo, l’eco delle guerre ci raggiunge inesorabile, lacerando il velo di un’illusoria pace. La Palestina, terra martoriata, è il simbolo di una violenza cieca e insensata. Non possiamo più accettare un mondo dove la morte è l’unica lingua compresa. È tempo di alzare la voce e di chiedere un futuro diverso, lo stato di Israele sta urlando a tutto il mondo che l’unica soluzione passa attraverso la guerra estesa e la morte su grande scala, non possiamo accettare tutto questo, nessuno può accettare un mondo di guerre infinite, dove a pagare il duro prezzo sono sempre i civili.
Questo articolo nasce dalla volontà di consigliare un bellissimo romanzo pubblicato in Italia dalle edizioni e/o scritto da Bassem Khandaqji, Una maschera color del cielo, un testo intenso e profondo, capace di farci riflettere sulla questione Palestina/Israele ma anche su temi universali come l’identità, l’amicizia e il valore dell’archeologia.

Bassem Khandaqji è nato a Nablus, in Palestina, nel 1983. La sua vita è stata segnata dal suo attivismo politico nel fronte marxista palestinese. Quando aveva solo 21 anni, nel 2004, Bassem è stato arrestato e condannato a tre ergastoli da un tribunale militare israeliano.
Ancora oggi è dietro le sbarre di un carcere, la scrittura è la sua più forte arma di resistenza. Nonostante le durissime condizioni carcerarie, la sua voce continua a risuonare attraverso le pagine, raggiungendo migliaia di persone. Nelle sue poesie, nei suoi racconti e romanzi, trova un rifugio e un modo per esprimere sé stesso, dando voce alle sue emozioni e alimentando la resistenza all’orrore coloniale perpetuato nella terra palestinese.
Una maschera color del cielo, ha vinto il prestigioso International Prize for Arabic Fiction, un riconoscimento molto importante nel mondo letterario arabo. La sua scrittura è diventata un simbolo di speranza per molti palestinesi e per tutte le persone che lottano per la libertà e la giustizia.
Nel romanzo il protagonista, Nur, un rifugiato palestinese con un passato doloroso, vive una doppia vita: da un lato, è un giovane appassionato di archeologia che sogna di svelare i misteri del passato; dall’altro, è costretto a confrontarsi con le difficoltà del presente e con le ingiustizie di un conflitto che sembra non voler finire. La corrispondenza con il suo amico Murad, prigioniero nelle carceri israeliane, diventa un punto fermo nella sua vita, un modo per confrontarsi sulle proprie paure e speranze. Attraverso le loro lettere, Khandaqji ci offre uno spaccato toccante della realtà palestinese, raccontandoci storie di resistenza, di amore e di amicizia. Nur, però è anche un palestinese dai tratti inaspettati, viveva nel limbo di un campo profughi, un’isola sospesa tra le macerie della storia. La sua somiglianza con gli ebrei ashkenaziti lo rendeva un camaleonte, un enigma in un mosaico di identità. Con una laurea in archeologia e un sogno nel cuore, decide di riscrivere la storia, non solo quella di Maria Maddalena, ma anche la propria. Tra le rovine di Megiddo, scavando nel passato, scava anche nel proprio animo, in un duello interiore tra il palestinese che è e l’israeliano che finge di essere. Per questo il romanzo è anche un viaggio alla scoperta di sé stessi. Nur, infatti, grazie a un’identità fittizia, avrà l’opportunità di esplorare un mondo a lui sconosciuto, quello degli israeliani. Questa esperienza lo porterà a interrogarsi sulla sua stessa identità e a riflettere sul significato dell’essere palestinese in un mondo diviso.
Con una prosa intensa e coinvolgente, Una maschera color del cielo ci trascina in una storia che, pur essendo molto personale, ci invita a una grande riflessione sull’assurdità della violenza coloniale israeliana e, in senso più ampio, sulla violenza scatenata da un’identità esasperata.
L’ultimo libro di Andrea Staid è Essere natura. Uno sguardo antropologico per cambiare il nostro rapporto con l’ambiente (Utet). Ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
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