Sui mezzi pubblici, quando facciamo la spesa, nelle strade, perfino quando partecipiamo ad eventi culturali: siamo spesso circondati da persone ma resta forte un sentimento di solitudine. Abbiamo bisogno di riscoprire la democrazia come processo di ricostruzione di legami sociali, di riflessione collettiva fatta di ascolto e dialogo, di attenzione per tutti e tutte. “La democrazia si misura su quanto sa fare qualcosa per gli ultimi – scrive Emilia De Rienzo – Spetta a noi costruire microcosmi di democrazia vissuta dal basso là dove viviamo”
Siamo spesso in mezzo agli altri, quando facciamo la spesa, quando lavoriamo, quando saliamo sui mezzi pubblici, nei nostri momenti liberi. Siamo in mezzo agli altri, ma ci manca un vero motivo per stare insieme, per pensare insieme, per trovare soluzioni collettive a problemi comuni o individuali. Assistiamo a convegni, affolliamo le sale dove avvengono gli eventi culturali ad ascoltare personaggi noti ed eruditi. Ma passiamo da un evento alla solitudine. Siamo e ci sentiamo soli, quando abbiamo delle difficoltà, ognuno chiuso nelle proprie case ad ascoltare magari un talk show che parla di democrazia o di problemi sociali. È così che la democrazia è diventata un contenitore vuoto che i politici riempiono come vogliono. In realtà la democrazia era nata per dar voce a tutti attraverso la partecipazione e l’uguaglianza. La democrazia era nata per associarsi, dibattere, fare progetti collettivi, per confrontarsi e dialogare.
José Saramago ha scritto due romanzi che in qualche modo toccano il problema della democrazia: Cecità dove descrive un intero paese progressivamente contagiato dalla perdita della vista, e il successivo Saggio sulla lucidità.
“La democrazia che racconto – dice lo scrittore – è una democrazia formalmente ineccepibile, ma in realtà limitata, condizionata, amputata. Da che cosa? Dal fatto che gli elettori ogni quattro anni vengono chiamati a sostituire un governo con un altro, ma ciò che in realtà non cambia mai, ciò su cui i cittadini non possono incidere, è il legame indissolubile tra potere politico e potere economico. Oggi come non mai il mercato domina la politica”.
Nel Saggio sulla lucidità, lo scrittore racconta come alle elezioni, in un paese non identificato, più dell’80 per cento della popolazione vota scheda bianca. La gente che ha votato non rinuncia all’unico strumento democratico che resta, il voto, ma lo sceglie come unico mezzo a disposizione per esprimere il proprio dissenso alla politica.
Saramago ci conduce con grande sapienza nelle pieghe del potere, nei suoi meccanismi perversi, e parallelamente ci fa comprendere come una popolazione scoraggiata e disillusa possa arrivare con un invisibile passaparola a esprimere la sua disillusione. L’attività prioritaria dei governi, infatti, è rivolta alla sicurezza, intesa come difesa del potere costituito. In realtà l’unica sicurezza di cui la gente sentirebbe il bisogno è quella di sentirsi tutelata nei suoi diritti civili e umani. Nel romanzo, il governo non esita a definire gli elettori delle schede bianche come “rivoltosi”, non si fa domande sui motivi veri per le quali la gente, votando scheda bianca, ha voluto comunicare la sfiducia nei confronti di qualsiasi schieramento politico: centro, destra o sinistra.
La politica non s’interroga, non riflette su se stessa, ma difende il potere con freddo e lucido cinismo, criminalizzando quello che in un regime democratico è un gesto legale: il voto libero e segreto.
Saramago, in questo libro, denuncia una politica avulsa dal contesto sociale in cui opera. Una politica esercitata lontano dalla gente, distante dai suoi reali bisogni e dalle sue aspirazioni. Una politica, che si svolge nei palazzi del potere, che ha dimenticato il suo scopo originario e principale: la tutela del benessere della società civile.
Il governo di questo paese imprecisato (la nazione che fa da sfondo agli eventi narrati non ha nome, ma è facile scorgere dietro il velo della finzione l’ombra della dittatura di Salazar) è un concentrato di personalismi e le istituzioni democratiche non sono che un teatrino su cui i personaggi si rubano l’un con l’altro la scena.
“Nella realtà, dice lo scrittore, le mie storie non sarebbero possibili”. “Ma io sono uno scrittore e mi permetto di immaginare una realtà diversa. E permetto al lettore di immaginarla. È questo che mi interessa”.
Una società immobilizzata dalle istituzioni
In questi ultimi anni qualcosa è successo anche nella nostra realtà. Molte persone pian piano si sono astenute dal voto. Oggi l’astensionismo sta diventando cronico e riguarda nel nostro paese circa 15 milioni di elettori, per due terzi provenienti dai ceti più svantaggiati. Nelle ultime elezioni europee la percentuale dei votanti era al di sotto del 50 per cento. Questo vuol dire che la maggior parte degli italiani rinunciano a un diritto che è stato conquistato grazie anche al sacrificio di molte persone. Ma ciò che anche ci dice di allarmante questo fenomeno, è che sono per lo più i poveri che rinunciano a esercitare diritti che sono stati loro a lungo negati. Infatti, dentro il bacino del non-voto troviamo, in quasi due casi su tre, rappresentanti dei ceti subordinati, molti disoccupati o piccoli artigiani o commercianti in difficoltà rispetto alle grandi trasformazioni del capitalismo globale-digitale.
Questo processo sembra, a parte qualche raro esempio, sembra ben presto digerito e metabolizzato da una certa politica a cui interessa esercitare il potere, non certo la partecipazione e con questo avere la possibilità di cancellare dalla propria agenda i diritti, anche quelli più basilari.
E allora a preoccuparci dobbiamo essere anche noi e avviare una seria riflessione sul perché e sulle conseguenze di ciò che sta accadendo.
Alexis de Tocqueville ne La democrazia in America diceva:
“Alcuni pensano che la società moderna sarà in perenne mutamento […] Quanto a me, io temo che finirà con l’essere troppo immobilizzata nelle stesse istituzioni, negli stessi pregiudizi […] che l’umanità si troverà bloccata e ingabbiata; che la mente oscillerà eternamente avanti e indietro senza generare idee nuove; che l’uomo dissiperà la sua forza in oziose, solitarie frivolezze; e che pur essendo sempre in movimento l’umanità cesserà di avanzare”.
Alexis de Tocqueville aveva visto molto lontano, aveva compreso quanto la democrazia fosse sempre a rischio, quanto fosse un terreno da coltivare con cura e dedizione. Aveva capito che ogni albero piantato aveva bisogno di cura per continuare a vivere e a dare più frutti.
Abbiamo smesso di vigilare e di lottare perché venissero rispettati i più elementari diritti che qualcun altro aveva conquistato per noi, abbiamo imparato a curare solo i “nostri particolari” diritti, abbiamo smesso di credere e lottare per una società che fosse più giusta e più umana per tutti, abbiamo inseguito falsi idoli, abbiamo perso ogni legame con gli altri per inseguire un individualismo cieco e senza futuro, siamo diventati indifferenti alla sorte di tanti meno fortunati, siamo saliti su un treno che come valore conosce solo l’alta velocità perdendo la capacità della riflessione, della contemplazione della vita, del dialogo, dell’ascolto, della voglia di partecipare e di unirci agli altri.
Ci siamo dimenticati che la democrazia non è mai pienamente raggiunta, e oggi dovremmo capire quali danni ha fatto la nostra disattenzione collettiva e la conseguente perdita di speranza nella possibilità di costruire un mondo migliore. Ci siamo lamentati anche giustamente della politica istituzionale, ma ci siamo dimenticati che delegando e non attivandoci, gli artefici di questo declino siamo stati anche noi. Zagrebelsky ci sollecita ad “assumere nella propria condotta la democrazia come ideale, come virtù da onorare e tradurre in pratica”. Dobbiamo rialzare la testa e ritrovare la dignità di uomini e donne che esigano risposte ai loro bisogni e rispetto dei diritti di ogni uomo.
Creare legami, attenzione e partecipazione ogni giorno
Già negli anni Settanta Pasolini in Scritti corsari ci aveva messo in guardia:
“Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese è speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale”.
L’Italia culturalmente non è cresciuta, non ha saputo fare tesoro di un passato che ci aveva insegnato quanto fa presto a rinascere sotto diverse forme il fascismo, quanto la democrazia sia debole e vada costruita giorno per giorno rimanendo in contatto con la gente, soprattutto quella che vive ai margini, nelle periferie, a volte invisibile ai più. La democrazia si misura su quanto sa fare qualcosa per “gli ultimi”, per quanto sa far crescere l’istruzione, il lavoro, il ben-essere. Non quello fatto di soldi e di consumo, ma quello che sa creare legami, attenzione, partecipazione. Quello che fa sì che in qualsiasi condizione uno viva non si senta abbandonato.
Scrive Norberto Bobbio (L’età dei diritti):
«Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico: senza diritti dell’uomo riconosciuti o protetti non c’è democrazia; senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti. Con altre parole, la democrazia è la società dei cittadini, e i sudditi diventano cittadini quando vengono loro riconosciuti alcuni diritti fondamentali; ci sarà pace stabile, una pace che non ha la guerra come alternativa, solo quando vi saranno cittadini non più di questo o quello stato, ma del mondo».
I cittadini di cui parla Saramago nel suo libro trovano nel votare scheda bianca un modo per reagire. Penso che ce ne siano anche altri e che soprattutto c’è bisogno di uno scatto di ribellione, di un cambiamento che parta anche dal basso che faccia dell’etica e della partecipazione il proprio motore. Non votare a parer mio non è un segno di ribellione, ma di rinuncia e disillusione. Di mancanza di speranza.
Il filosofo Rovatti nel libro Etica minima parla di un’etica che
“si pianta nella concretezza del fare, che è uno stile di vita, un’organizzazione della propria esistenza”. Di quell’etica che si fonda sulla “necessità di stare dentro le cose e di resistere all’appiattimento, non rimanendo seduti, assumendosi il rischio delle proprie parole”.
Uscire insomma da quello
“stato di torpore da cui nessuno è immune” che lascia prevalere “il cinismo generale della furbizia e dell’egoismo degli interessi”.
Rovatti invita tutti a
“valutare i modi delle chiusure che ci imbottigliano, a prendere atto delle nostre responsabilità individuali, a mettere in discussione le nostre esistenze, a ribellarci di fronte alle ineguaglianze e alle evidenti ingiustizie, a difendere i nostri spazi e i nostri tempi. Non addormentarci (…). Non digerire tutto perché tanto non possiamo farci niente; possiamo solo coltivare l’orticello dei nostri privati interessi”
Tutti i piccoli segnali che vanno in questa direzione vanno coltivati. Sono importanti per quel cammino di ricostruzione democratica dal basso, cui dare un senso eversivo (nel senso che davano i latini a questo termine, e-vertere, cambiare direzione). E non era forse così idiota quell’Idiota che diceva che “la bellezza salverà il mondo”. Quella bellezza non fine a se stessa, ma che ridona entusiasmo e speranza, che ci toglie dall’irrilevanza. Sì, anche noi contiamo, possiamo fare qualcosa. Resistere.
Ed allora, in attesa che “i grandi della terra”, gli intellettuali, i grandi pensatori ci indichino strade raccontandoci però i come e i perché percorrerle insieme a loro, spetta a noi costruire microcosmi di democrazia vissuta dal basso là dove siamo e viviamo. E questo vuol dire che la parola che diciamo deve essere coerente con quello che facciamo. Ridare significato e concretezza al nostro linguaggio, rendere visibile il significato delle parole nei fatti può ridare senso alle nostre azioni nel mondo e ridare significato alla parola democrazia.
Potremo, orfani di forze politiche forti, ritrovare appunto lo spirito della democrazia? Io penso di sì, quanto meno dobbiamo provarci. È poco, è pochissimo. Ma almeno è un inizio, è un allenamento a non perdersi, a continuare a credere che qualcosa si può fare, a prendere coscienza che il nostro senso di responsabilità può fare la differenza anche se piccola e apparentemente insignificante. Insignificante, no, non lo è. E allora come dice Saramago rimaniamo “lucidi”.
Emilia De Rienzo ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
Fiorella Palomba dice
Grazie Emilia per questa poderosa analisi di cui cito solamente Pasolini. “Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo…”
Stiamo attenti: il pericolo è dietro l’angolo! 🌸
stella gaetano dice
PER “COSTRUIRE” LA “DEMOCRAZIA” PRIMA BISOGNA FARE I CONTI CON IL NOSTRO PASSATO… e sapere a che punto siamo…
AI GIOVANI : PER UN’ESTATE “ANTIFASCISTA E CONTRO IL NEGAZIONISMO CLIMATICO”…
RIVOLTO AI GIOVANI GRAMSCI, sul primo numero di L’ORDINE NUOVO”, pubblicato il PRIMO MAGGIO 1919 scriveva: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perchè avremo bisogno di tutta la vostra forza…”.
Mentre IL MINISTRO “della cultura”confonde Galileo con Tolomeo e il MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE aggiunge e cambia nome con MINISTERO “DEL MERITO”- cambio manifestamente incostituzionale -(?) forse è opportuno lanciare diffondere e promuovere UN’ESTATE ANTIFASCISTA CONTRO IL “NEGAZIONISMO CLIMATICO”e per LA VERITA’ STORICA contro l’ignoranza al POTERE la manipolazione e l’imbarbarimento culturale morale intellettuale e umano che è in atto in Italia (e non solo!). PER LA DIFESA DELLA COSTITUZIONE ANTIFASCISTA NATA DALLA RESISTENZA.
-PRIMA DI TUTTO : LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA.
POI: “Lettera a una professoressa” di DON LORENZO MILANI – L’esperienza della SCUOLA DI BARBIANA- Che fu il testo base che “ispirò” IL MOVIMENTO DEL 68. E che ora, in questi giorni è ancora più di attualità. Dove si dimostra cosa vuol dire applicare la COSTITUZIONE e l’art. 3.
1) MUSSOLINI IL CAPOBANDA – Aldo Cazzullo Mondadori- Un testo “onesto”. Alla portata di tutti/e. Per rompere l’omertà e l’ignoranza i luoghi comuni e la manipolazione sul punto cruciale della nostra storia. PER RISTABILIRE LA VERITA’ STORICA.
2) LA RESISTENZA DELLE DONNE – Di Benedetta Tobagi- Einaudi -Un libro bellissimo che parla del ruolo delle donne nella RESISTENZA.
3)IL PARTIGIANO JONNY di Beppe Fenoglio – Il più bel “romanzo”della/sulla Resistenza-
4 ) LIBERAL FASCISMO di Giorgio CREMASCHI – Mimesis ….per sapere a che punto siamo…
5) 45 MILIONI DI ANTIFASCISTI – Gianni Oliva – Mondadori- IL VOLTAFACCIA DI UNA NAZIONE CHE NON HA FATTO I CONTI CON IL VENTENNIO- Perché non c’è mai stata la DE-FASCISTIZZAZIONE …e chi sono i responsabili.
E CONTRO IL NEGAZIONISMO CLIMATICO i due testi fondamentali che si integrano a vicenda. “THE CLIMATE BOOK” di Greta Thunberg – Mondadori – E “LAUDATO SI’ “ l’enciclica di Papa FRANCESCO. Mentre LA CATASTROFE AVANZA e lorsignori tutti la stanno favorendo.
NELLE STRADE NELLE PIAZZE NELLE CASE NEI TEATRI…Per UNA FORMAZIONE INFORMAZIONE E UN’ACCULTURAZIONE DI MASSA. Per la lotta…
Gaetano Stella – Lago di Chiusi- 1-07-24
-passaparola! –blog.gaetanostella.it