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Il 14 marzo 2022, contemporaneamente alla pubblicazione a cura di Amnesty International dal titolo Russian Federation: End Censorship on Voices against the War, è apparso un lungo rapporto sulla repressione della protesta in Russia in lingua russa, inglese e francese: No to War. How Russian Authorities are Suppressing Anti-War Protest. Il rapporto è a cura di OVD-info, “un progetto mediatico indipendente per i diritti umani” nato nel 2011 con lo scopo di monitorare i casi di “persecuzione” dell’esercizio del diritto alla libertà di riunione e di altri diritti politici in Russia e di offrire assistenza legale. Pur essendo stato considerato “agente straniero”, fino ad ora il progetto OVD-info è riuscito a raccogliere le testimonianze di opposizione alla guerra e a diffonderle.
Il rapporto analizza i mutamenti drammatici avvenuti nella società civile russa dall’inizio del conflitto in seguito alla durezza della censura, all’aggressività della propaganda, alla legislazione repressiva. In base alla nuova legislazione, che penalizza la diffusione di “false notizie” o la denigrazione delle forze armate della Federazione, giornali, siti, radio, televisioni, social network sono stati costretti a chiudere o hanno limitato la loro attività a causa dei rischi legali; le case di attivisti e giornalisti, e persino le sedi dell’International Memorial e quella del Memorial Human Rights Center, sono state perquisite; studenti e insegnanti sono stati minacciati di espulsione, e in qualche caso espulsi dalle scuole e dalle università dove l’obbligo di assistere a filmati di propaganda è stato frequente. Molti professionisti inseriti nelle istituzioni pubbliche hanno lasciato volontariamente l’impiego.
Il rapporto inoltre rende conto delle violenze e degli abusi da parte delle forze dell’ordine nel corso delle manifestazioni di protesta e nelle stazioni di polizia: insulti, minacce, percosse, vere e proprie torture che talvolta hanno reso necessari ricoveri ospedalieri (almeno 39); negazione del cibo, dell’acqua, del sonno e dell’assistenza legale, umiliazioni e violenze sessuali, separazione dei bambini dalle madri. Attualmente, sempre secondo i dati OVD, le persone che si trovano in stato di detenzione in 151 città sono oltre 15.300.
Eppure, la protesta dal 24 febbraio non è mai cessata; raduni di gruppi o di singoli cittadini che con striscioni e cartelli richiamavano l’attenzione dei passanti sulla realtà della guerra sono stati costantemente presenti nelle piazze e nei centri cittadini.
Per un quadro dettagliato delle manifestazioni di protesta il rapporto rimanda alle segnalazioni quotidiane che appaiono nel sito di ODV sia in russo che in inglese. Rendendo conto della capillarità, della brutalità, della discrezionalità con cui vengono applicati i già severissimi decreti contro il dissenso, queste brevi annotazioni sui casi di singole persone o di gruppi incappati nelle maglie della repressione sono una testimonianza della diffusione del senso di indignazione, della volontà di tener viva la protesta e di sfidare le autorità. Mentre si inasprisce la repressione, infatti, si moltiplicano le manifestazioni individuali e spontanee di opposizione alla guerra.
Quanto segue si sofferma su alcuni esempi di protesta tratti da queste cronache quotidiane tra l’inizio di marzo e il 3 aprile.
Attori e modalità delle proteste
Un modo di manifestare la protesta è stata la deposizione di fiori, spesso garofani rossi legati con un nastrino azzurro e giallo. Il primo marzo a Mosca una donna e cinque bambini dai 5 agli 11 anni sono stati trattenuti nella stazione di polizia e trattati in modo rude per ore per aver deposto dei fiori davanti all’ambasciata ucraina. Un mazzo di fiori è stato deposto sul monumento del milite ignoto, sulla tomba del poeta ucraino Lesia Ukrainka e vicino alla stazione della metropolitana Kievskaja (Mosca, 6 marzo). Parlare o cantare in ucraino è stata considerata una provocazione conclusasi con l’arresto, come è accaduto il 2 aprile a San Pietroburgo a una donna che in una stazione della metropolitana aveva intonato canzoni tratte dalle opere del poeta ucraino Taras Shevchenko (1814-1861).
La Z, simbolo dell’operazione militare in Ucraina, è stata strappata o cancellata da autobus o luoghi pubblici. Indossare un nastrino verde, simbolo della protesta contro la guerra, o legarlo alla borsetta, appende nastri azzurri e gialli sono stati gesti diffusi e sempre rischiosi. Una giovane è stata detenuta in un centro della Siberia orientale per un cartello blu e giallo con la scritta “Pace” disegnata tra due girasoli. Un’altra donna è stata arrestata all’aeroporto di Mosca perché teneva nella borsetta una immagine di Putin su cui era stata tracciata una X. Pronunciare la parola “guerra”, e persino manifestare “un sostegno silenzioso” alla protesta in qualche caso hanno condotto all’arresto.
Onnipresenti devono essere stati gli sfoghi di costernazione e rabbia nelle conversazioni private; ne sono un indizio le denunce avvenute per delazione; è il caso di una coppia che in una casa di cura a Nal’čik, nel Caucaso, aveva discusso della guerra, probabilmente lamentandosene. Marito e moglie sono stati trattenuti per 24 ore privandoli così delle cure mediche.
Molti di coloro che non hanno potuto inviare messaggi o post sui social sono scesi in strada con cartelli e striscioni; i religiosi hanno espresso nei sermoni la loro opposizione alla guerra, i giovani hanno disegnato graffiti pacifisti sui muri, all’entrata o all’interno dei palazzi. Piazze e metropolitane, come anche le prospettive Nevskij a Mosca e San Pietroburgo, sono stati i luoghi in cui per lo più sono stati arrestati coloro che non hanno rinunciato a manifestare il proprio dissenso in picchetti individuali o in raduni collettivi. Tra loro c’è chi ha scritto “No alla guerra” sulla neve e per questo è stato multato, chi reggeva un cartello con la scritta “io sono per la pace” o altri slogan: “Libertà di pensiero e di parola”, “No alla censura e alla propaganda”, “Putin è un fascista”, “No al fascismo” o semplicemente una Z inscritta in una svastica. Il 30 marzo, a Mosca, un uomo è stato arrestato sulla Piazza Rossa a causa di una maglietta con la scritta “FCK PTN” e il giorno successivo, sempre a Mosca, presso la Porta della Resurrezione, un dimostrante ha esposto un poster con la scritta “Pace in Ucraina. Russia: orrore, vergogna, pentimento. Putin è l’inferno”.
Anche un membro del Memorial Human Rights Center è sceso in piazza per lanciare il suo grido di allarme: “Il folle Putin sta spingendo il mondo verso una guerra nucleare”.
Tra i piccoli gruppi che hanno manifestato la loro protesta va ricordato quello di sei madri di soldati che il 20 marzo a Karačaj-Circassia hanno bloccato un ponte pretendendo di avere notizie dei figli inviati in Ucraina.
In molti casi i-le dimostranti hanno voluto argomentare la loro protesta, come la giovane donna che a Mosca il 2 aprile, è stata arrestata vicino ad una stazione della metropolitana per aver tenuto tra le mani un cartello con un lungo testo contro la guerra: “Durante i 33 giorni dell’operazione speciale per salvare il Donbass, sono già morti più civili del Donbass che nei 1150 giorni prima dell’annuncio di questa operazione. Vuoi continuare?!”.
Il 3 aprile un’altra giovane è stata accusata di aver screditato l’esercito russo per le scritte: “Pace nel mondo” e “Nessuna guerra”.
Come rivelano le immagini a corredo delle segnalazioni, le scritte compaiono su semplici pezzi di carta colorati e disegnati a mano. Abiti, zaini e cappotti sono stati usati come striscioni e cartelli. A San Pietroburgo il 29 marzo un giovane è stato arrestato all’uscita della stazione della metropolitana Petrogradskaja; sul suo cappotto era scritto: “Questo è il cappotto di mio nonno. Durante la Seconda guerra mondiale era un bambino affamato nei territori occupati. Quali sono gli motivi inquietanti per cui le sue storie lontane risuonano ai miei tempi? Sono ferito e spaventato. Non voglio la guerra”.
Ma anche una carta di credito può essere usata come poster. Il 28 marzo a Mosca, in piazza Lubyanskaya, un giovane ha mostrato con le mani alzate la sua carta di credito di una banca in cui spiccava la parola MIR (pace).
L’opposizione al patriottismo e alla guerra si è espressa talvolta con le parole di Tolstoj. È il caso di un uomo arrestato il 24 marzo a Mosca nei pressi della Cattedrale di Cristo Salvatore, la più grande e famosa delle cattedrali ortodosse, mentre esponeva un cartello sul quale aveva trascritto una frase dello scrittore russo tratta dall’opera Patriottismo e governo: “Il patriottismo è la rinuncia alla dignità umana, alla ragione e alla coscienza, è una sottomissione da schiavi a coloro che hanno il potere”. Sembra che le parole di Tolstoj devono risuonino ancora oggi nella mente di chi protesta; lo conferma un verbale di arresto della polizia moscovita del 2 aprile: “Lev Nikolaević Tolstoy, secondo la verità storica era considerato lo ‘specchio della rivoluzione’. È noto che nei suoi scritti ha criticato aspramente il regime del suo tempo, in particolare per l’uso della violenza nelle rivolte sociali. Di conseguenza le azioni [del detenuto] dovrebbero essere interpretate come un appello a rovesciare l’attuale governo e a seguire le idee di Tolstoj”.
Né è mancato chi ha voluto criticare il militarismo screditando le passate glorie militari e la loro retorica; è accaduto in un sobborgo di Mosca dove il 30 marzo un residente ha versato vernice rossa sul monumento dedicato ai veterani della zona nel Parco della Vittoria. Un caso che ha avuto risonanza sulla stampa è quello di Evgenia Isaeva della Kolomna Good Neighbor Community che a San Pietroburgo, sulla prospettiva Nevskij, si è cosparsa di vernice rossa, ripetendo la frase: “Il cuore sanguina”. Accanto a lei era appoggiato un telo con le parole: “Sento che è inutile invocare la ragione, quindi mi appello ai vostri cuori”. (immagine a https://odessa-journal.com).
Un gesto particolarmente coraggioso è stato quello di un’attivista che il 31 marzo a San Pietroburgo si è incatenata ai cancelli di un ospedale militare. Accanto a sé la ragazza aveva posto una croce su cui spiccava la bandiera dell’Ucraina con la scritta “Contro la guerra”. “Non si sa dove l’abbiano portata”, si legge nella segnalazione di OVD.
La protesta femminile sembra essere la più radicale e la più organizzata. La “Resistenza femminista contro la guerra” il 3 aprile ha lanciato l’azione “Mariupol 5000”. Per ricordare i morti della città sono state allestite croci nei cortili residenziali di diverse città con la scritta: “No alla guerra, sì alla pace. 5000 pacifici cittadini sono morti a Marjupol a causa dei bombardamenti russi. Sono sepolti nei cortili delle case. La guerra prosegue”.
Concludo questa breve rassegna con una testimonianza particolarmente toccante della disperazione silenziosa che certamente affligge tante persone sia in Russia che in Ucraina e che compare tra le segnalazioni del 3 aprile. La riporto integralmente: “Tra i detenuti di Novosibirsk c’è un residente locale che si trovava in un picchetto solitario vicino alla stazione della metropolitana della Prospettiva Krasny. L’uomo aveva in mano un poster con una poesia di Konstantin Olmezov, impiegato presso il Dipartimento di Matematica Discreta dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca. Lo scienziato si è suicidato per non essere riuscito a tornare in patria in Ucraina dalla Russia dopo l’inizio della guerra. Mentre cercava di lasciare il paese, è stato trattenuto e arrestato per 15 giorni ai sensi dell’articolo sul “piccolo teppismo”. Dopo aver lasciato il centro di detenzione, il matematico si è suicidato.
[Questa pagina fa parte di Voci di pace, spazio web
di studi, documenti e testimonianze a cura di Bruna Bianchi]
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