Nel Terzo incontro mondiale con i movimenti popolari, non sono state solo alcune parole di Bergoglio (quelle sul primato del denaro con cui salviamo banche e reprimiamo i migranti, quelle sui movimenti “seminatori di cambiamento” più delle istituzioni) a colpire e aprire nuovi orizzonti. I lavori di gruppo che hanno preceduto l’incontro hanno visto centinaia di persone provenienti da tutto il mondo mettere in comune il loro grido contro le violenze subite da militari, latifondisti, multinazionali, governi nell’indifferenza del mondo ma anche la loro straordinaria capacità di lottare e autorganizzarsi ogni giorno
di Antonio De Lellis*
Lo straordinario incontro con papa Francesco nell’ultima giornata del Terzo incontro mondiale dei movimenti popolari ha in sé qualcosa di storico e di emotivamente coinvolgente. Non ripeterò i principali concetti espressi che davvero ci hanno toccato il cuore, ma vorrei raccontarvi i lavori che hanno preceduto il discorso “bomba” di Francesco. (la versione completa dell’intervento di Bergoglio è scaricabile qui).
L’ascolto interiore delle sofferenze di chi ogni giorno subisce profonde ingiustizie ed ha la forza di gridare la propria condizione e di organizzarsi per lottare, senza arrendersi, ma sicuramente accusando i colpi degli apparenti fallimenti. Tutti i delegati dei vari continenti hanno raccontato delle violenze subite a causa dei militari, latifondisti, multinazionali, governi corrotti e dell’indifferenza del mondo.
I racconti dal Congo riguardavano proprio la genesi delle migrazioni forzate: quando non sono i trattamenti inquinanti, i cambiamenti climatici con gli eventi estremi, ci pensano i militari che raggiungono i villaggi sparando all’impazzata e costringendo tutti alla fuga. Chi scappa non ha il tempo di organizzarsi e così le mamme si dividono dai figli e dai loro mariti. Giungono ai campi profughi, se sono fortunate, ma non prima di aver peregrinato per giorni e giorni, incontrando i violentatori, gli aguzzini, gli schiavisti. I loro sguardi bassi lasciano intravedere profonde, e a volte indelebili, ferite interiori. I bambini non ritrovando i loro familiari giungono infreddoliti, nudi, affamati ai campi di accoglienza e abbracciano la prima donna che si presenta loro senza staccarsene per giorni.
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Alcune popolazioni vengono allontanate dai loro ambienti e, come i Pigmei, non sanno più come sfamarsi visto che la foresta dava loro quanto necessario. Non sapendo cucinare, cercano invano, di usare i cereali o le farine che ricevono in aiuto e dopo alcune settimane muoiono. In questo modo drammaticamente semplice scompaiono intere etnie. Ma anche in Europa, nella nostra civilissima Francia, ambulanti magrebini subiscono l’indifferenza del Governo, la distanza di chi dovrebbe accoglierli, e la violenza della polizia che prima li multa, poi li imprigiona e infine usa una violenza inusitata contro di loro con il chiaro tentativo di allontanarli definitivamente in quanto indesiderati. In questo modo, non potendo più lavorare, né mangiare, né vivere diventano miserabili. Questi ambulanti chiedono a noi: che senso ha sfuggire dalla fame, dalle guerre e dai viaggi della speranza rischiando la vita in mare se poi li attende questo inferno?
I lavori dei gruppi sono stati animati da tanta gioia, con balli e canti e battute di ogni genere, senza che questo annullasse il senso della loro drammatica condizione. Abbiamo vissuto una nuova “Pentecoste” in cui le lingue diverse diventavano un’unica lingua: quella della giustizia, della libertà e della uguaglianza. La forza dello Spirito dei tempi (o Santo per chi ci crede) è veramente stupefacente. Ho vissuto un momento fondante e ho intrecciato gli sguardi nuovi di coloro che sembravano “lontani”, da una pratica vuota religiosa, ma che sabato 5 novembre hanno avuto un sussulto interiore e la certezza che se questo è il Vangelo allora vale la pena vivere per esso.
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