Sotto il fascismo e poi negli anni della guerra molti “passeur” hanno aiutato i militanti antifascisti a rifugiarsi in Francia e i cittadini ebrei a evitare la deportazione. I fuggiaschi odierni sono i profughi scampati ai campi libici, alle motovedette di Tripoli, alle onde del Mediterraneo, alle campagne contro le navi delle Ong. Allora come oggi per farlo serve disobbedire
Nel risvolto di copertina si legge così: “Passeur, in italiano passatore, era ed è chi porta al di là di un confine”. Il dizionario Zingarelli riporta una definizione un po’ diversa: “Chi, a pagamento, aiuta gli immigrati clandestini ad attraversare il confine”. La seconda definizione è più precisa, e anche più cinica (“a pagamento”, “immigrati clandestini”), ma la prima ci porta dentro un libro – “Passeur”, appunto, reportage del giornalista e viaggiatore Raphael Krafft pubblicato da Keller (157 pagine, 14,50 €) – che racconta un’epopea dei nostri giorni, il dramma dei profughi saliti fino a Ventimiglia dalla Sicilia, dopo avere attraversato il Mediterraneo, e fermati alla frontiera dalla cosiddetta emergenza immigrazione, un fenomeno più politico che demografico, un dramma sociale che sta deturpando il volto della vecchia Europa.
Krafft si avvicina ai migranti e ai passeur con distaccato approccio professionale: è un reporter, tiene lontano – almeno inizialmente – i sentimenti e le valutazioni etico-politiche e si lascia condurre, lui sceso da Parigi, da due personaggi del posto, due uomini di frontiera, uno italiano l’altro francese, interpreti entrambi, ciascuno a modo suo, dello spirito del confine, attraversato e sconvolto dagli eventi.
Il passeur è una figura mitica, sospesa fra la malavita e l’economia informale della frontiera. Ma è anche una figura politica. In passato gli “spalloni” (sinonimo di “passeur” secondo lo Zingarelli) portavano non solo gli “immigrati clandestini” ma anche le merci proibite, il denaro sporco e le persone indesiderate (per qualsiasi motivo) da una parte all’altra del confine, attraverso le Alpi e non sempre a pagamento. Sotto il fascismo e poi negli anni della guerra molti “passeur” hanno aiutato i militanti antifascisti a rifugiarsi in Francia e i cittadini ebrei a scampare alla deportazione. Quanti racconti, quante storie. Pensiamo a Liliana Segre, fuggita a piedi e approdata in Svizzera col padre e alcuni parenti, ma respinta dalle guardie di frontiera elvetica: respinta, possiamo ben dire, verso Auschwitz.
Oggi questa tradizione politica è rinverdita proprio al confine occidentale fra Italia e Francia: più nel 2015 descritto da Krafft e nei mesi seguenti che oggi, a dire il vero, ma il flusso non si è probabilmente mai interrotto e riguarda anche l’arco alpino più interno, in Piemonte. I fuggiaschi odierni sono i profughi scampati ai campi libici, alle motovedette di Tripoli, alle onde del mediterraneo, alle campagne contro le navi delle Ong: cercano la Francia per proseguire il viaggio, raggiungere parenti e compaesani, insomma per vivere. E trovano chi li aiuta, i nuovi passeur.
Il libro di Krafft è prezioso perché racconta una progressiva presa di coscienza: il cronista incontra persone, scopre aspetti impensati del “fenomeno” migratorio e piano piano si spoglia della sua esibita neutralità iniziale. Finirà per diventare un passeur lui stesso. Il passaggio cruciale è quando riflette e dice a sé stesso:
“Non sono stato mai niente di più che un osservatore, impegnato a volte, e sono sempre riuscito a tenere a freno la mia rabbia davanti alle ingiustizie di cui sono stato testimone. Stasera non è questione di rabbia. Si tratta piuttosto di disonore, di vergogna. Vergogna per il mio paese che agisce contrariamente ai valori che le scuole mi hanno inculcato. Mi sembra che disobbedire sia, in questo caso, il modo più giusto per agire”.
Disobbedire.
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