Nel secolo scorso che è durato fino a qualche giorno fa ci siamo presi il lusso di starcene in vacanza protetti da un confine trasparente, ma impenetrabile. Di qua noi, di là l’altrove. Poi è arrivato il virus… Un diario nei giorni del Covid-19. Per non smettere di pensare

Qualche giorno fa era il secolo scorso. Non il ‘900 con le sue rivoluzioni, lotte operaie, letterature sperimentali, cinema neorealista, sensi di colpa post coloniali, minigonne e rock ’n roll. Qualche giorno fa avevamo l’impressione che il disastro fosse prerogativa dell’Altrove. In quel posto lontano ci stavano le guerre. Ogni tanto ci mandavamo i nostri soldati, ma noi ci tenevamo a distanza. Anche quando morivano. Anche quando erano i nostri fratelli. Della loro fine potevamo vivere il funerale di stato, tragico e igienico, non il pericolo di muoversi sotto le bombe. Nell’Altrove c’erano i poveri veri. Quelli senza niente. Senza nome. Gli esseri-numeri che cercavano di entrare a casa nostra. I governi ci aiutavano a tenerli fuori dalla porta e dai porti. Da questa parte del mondo c’eravamo conquistati il diritto di vivere la Storia come una meritata vacanza. Noi avevamo vissuto due guerre. Noi eravamo morti ad Auscwhitz, noi avevamo pensato un mondo migliore, libero e rispettoso della vita umana. Persino il disastro ecologico, pur avendolo provocato, era un incidente del quale potevamo vantarci di essere consapevoli. Questa consapevolezza ci bastava. Ci rendeva emancipati.
Dalla nostra vacanza guardavamo l’Altrove. In quel posto vivevano gli Altri. Vivevano e morivano come un tempo succedeva anche a noi. Nascevano come conigli, giravano scalzi, dormivano nelle baracche, si ammalavano e crepavano di malattie stupide che avevano colpito i nostri padri e i nostri nonni. Ma adesso noi non eravamo più preoccupati per queste disgrazie. Da questa parte del mondo le loro malattie mortali ci facevano sorridere, erano curabili con medicine in vendita nella farmacia sotto casa. Quegli Altri scappavano come un tempo eravamo scappati noi. Facevano viaggi infernali e arrivavano davanti alle nostre porte di casa. E noi ci dividevamo in due fazioni: quelli che mettevano il catenaccio e gli tiravano una secchiata d’acqua in testa e quelli che li accoglievano con democratico paternalismo. Noi continuavamo ad essere Noi. Loro erano gli Altri. Anche quando entravano dalla nostra parte del mondo si portavano il confine tatuato sul corpo.
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Nel secolo scorso che è durato fino a qualche giorno fa ci siamo presi il lusso di starcene in vacanza protetti da un confine trasparente, ma impenetrabile.
Poi è arrivato il virus. Ha viaggiato in business class. È passato da un corpo all’altro durante le riunioni dei manager. È scivolato tra le dita nelle strette di mano pacifiche. È stato in crociera. Ha fatto il giro del mondo senza passaporto, ignorando le differenze di classe e di genere. Il parassita non fa differenze. Non parla nessuna lingua, ma comunica con un linguaggio universale. Ogni parte del nostro corpo socializza con quel piccolo essere bisognoso di entrare nella vita degli altri per sopravvivere. Nella vita di tutti. Solo Noi non riusciamo a capirlo. È indifferente alle nostre leggi e ai nostri confini, al denaro dei ricchi e alla miseria dei poveri, all’amore coniugale e a quello clandestino, alle religioni e alle loro certezze, alla paura per la morte, all’incertezza per il futuro, alla speranza che cerchiamo nel sapone col quale ci laviamo le mani.
DIARIO
Domenica 23 febbraio
Prendo il treno da Firenze per tornare a Roma. Il furgone resta al teatro Puccini. Alle 8:40 di martedì 25 ho il treno che mi riporta a Firenze. Andrea verrà a prendermi in stazione e insieme ce ne andremo a Torino. Repliche fino a domenica al teatro Gobetti. Ma lunedì il governo chiude i luoghi di assembramento. Tutti. Non si può fare nemmeno una festa di compleanno. Nemmeno all’aperto. Anche i teatri sono chiusi. Non parto. È Andrea che se ne torna a Roma. Fino a domenica non si fa spettacolo da nessuna parte in Piemonte. Nel corso della settimana il teatro Stabile di Torino rimanda le nostre sei repliche di Radio Clandestina a giugno.
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Lunedì 2 marzo
Aspettiamo di capire se martedì partiremo per Asti. Lunedì saremmo dovuti restare a Torino. Un giorno off. Martedì sarebbe venuto Gianluca in treno, l’avremmo caricato a Porta Nuova e poi saremmo andati insieme al teatro Alfieri di Asti per fare Barzellette. E invece stiamo tutti a Roma in attesa. Saltano le repliche di Vimercate e Santa Sofia del 6 e del 7 marzo, ma Asti è confermata.
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Martedì 3 marzo
Appuntamento a casa mia con Gianluca. Ore 8, poi alla metro Anagnina con Andrea. Sette ore di viaggio. Scarichiamo la scena e cominciamo a montare. Il teatro è il classico ferro di cavallo all’italiana. Stucchi e dorature. Palco grande, graticcia alta. Non ci diamo la mano coi tecnici. Ci salutiamo a un metro almeno di distanza. Poi arriva un tecnico che dà la mano a tutti. Ci coglie alla sprovvista. Prende anche la mia. Ci penso un attimo dopo in camerino e mi lavo le mani. Tutt’e due. Sbaglio? Esagero? Non lo so. Ci sta il sapone accanto al rubinetto e me le lavo. Poi le asciugo con la carta igienica perché non c’è altro.
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“C’è gente stasera?” chiedo. Mi rispondono che ce ne sta. Che hanno confermato tutti. Lo spettacolo comincia col sipario chiuso. È il primo spettacolo per il quale uso il sipario. Abbiamo una macchina della nebbia. Quando si apre il sipario si vede questa nuvola densa che non si formerebbe se fosse aperto mentre entra il pubblico. Gianluca comincia a suonare. Io do il segnale al siparista che comincia a aprire la tenda. Mi aspetto di vedere gli spettatori seduti una poltrona si e una no. Così hanno detto alla radio. Che sono consentiti gli assembramenti solo se le persone si dispongono a un metro di distanza l’una dall’altra. E invece no. Stanno seduti vicini come al solito quando il teatro è pieno. Prima di entrare ci diciamo che forse sarà l’ultima replica. Che salteranno un bel po’ di spettacoli. Ci scherziamo. Il governo si sta riunendo e forse in tarda serata, forse di notte sapremo che c’è di nuovo.
In una scena dello spettacolo mi avvicino al pubblico. Racconto la storia delle sorelle Bucci a Auschwitz. Anzi ripeto le parole di Andra e Tatiana, quelle che ho registrato quindici anni fa in un viaggio al campo di sterminio. Quel giorno Tatiana parlava agli studenti seduti in terra.
“Voi siete seduti sull’erba.
L’erba non esisteva. Neanche d’estate. Neanche un filo.
Era tutto terra o fango
E la prima volta che sono tornata a Auschwitz dieci anni fa l’erba era alta così e c’erano le margherite”.
È un monologo che faccio in proscenio. Nella luce di taglio vedo gli sputi, i miei, in direzione del pubblico. Niente di strano. Quando spingi un po’ con la voce succede sempre. Ma in questi giorni produce una strana impressione. Poi lo spettacolo finisce. Applausi. Tutto sembra normale. In genere io esco a salutare qualcuno nel foyer. Stasera no. Resto in camerino a leggere quello che ha deciso il governo. “Evitare baci, abbracci e strette di mano. I gesti della consuetudine quotidiana con cui in Italia ci si saluta e che possono contribuire in maniera considerevole a far correre il contagio”. Così dice il giornale online.
Smontiamo la scena. Carichiamo tutto tranne la tastiera e la macchina della nebbia. Torniamo a prenderli domattina alle 8,30. Niente cena stasera. O quasi. Io ho un panino che non ho mangiato a pranzo. Andrea e Gianluca, birra e kebab. Mangiamo in stanza davanti alla televisione che parla delle disposizioni del governo.
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Mercoledì 4 marzo
Sette ore di viaggio con sosta a Firenze. Andrea scende per andare dalla compagna. Io e Gianluca procediamo verso Roma. Mi fermo all’autogrill. La corsia obbligata per farti girare tutti i banchi pieni di caramelle e vestiti, pacchi di patatine e di pasta. Tutto in offerta. Anche la noce di prosciutto pepato. Dentro ci sono un paio di camionisti. Prendo un caffè. Dico al barista “non c’è nessuno”. E lui “sono otto giorni che va avanti così”.
La sera il governo annuncia che chiuderà le scuole fino al 15 marzo. Al punto 2 c’è scritto che “sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali”. Ma non specifica per quanto tempo.
Verso le dieci di sera scrivo a Debora che è sempre molto più informata di me. “Non ti chiedo come stai perché immagino che vivete una situazione delirante. Ieri abbiamo fatto una replica a Asti dopo che ne abbiamo saltate sei a Torino. Ne saltiamo altre sue questa settimana. Cinque la prossima (non è ancora ufficialissimo, ma evidente). Apparentemente le repliche sono rimandate, ma nessuno ci crede molto. Che fare? Voi state pensando a qualcosa? Ti abbraccio. Poi parliamo anche di cose più belle. Magari ci sentiamo”.
Mezz’ora dopo risponde.
“Sto cercando di capire il nuovo decreto in arrivo. Si rischia 3 aprile. Ti chiamo domani. Che tristezza infinita. Ti abbraccio”.
E infatti all’articolo 4 del decreto c’è scritto che “Le disposizioni del presente decreto producono effetto dalla data di adozione del medesimo e sono efficaci, salve diverse previsioni contenute nelle singole misure, fino al 3 aprile 2020”.
Mi scrivo con Andrea. Per un mese non si lavora. E lui “chi me lo paga l’affitto?”
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Giovedì 5 marzo
Primo giorno senza scuola. Ettore e Agata stanno a casa. Impegni vari di mattina, negozi frequentati poco meno del solito. A Ikea c’è più gente di quanta me ne aspettassi. Tanta all’ora di pranzo arrampicata sui banchettoni. Mangiano polpette, bevono, ridono. Solita fila alle casse. Intasato l’angolo delle occasioni. C’è fila nella pizzeria Pino e Nando a via Gasperina. La pizza bianca con la mortadella. Più avanti c’è Peperoncino, il meglio della frutta e verdura. Legumi sfusi. Cicoria, broccoletti, spinaci e misticanza già puliti. Parla il presidente della Repubblica alla televisione e ripete le norme igieniche di sicurezza che anche il presentatore Amadeus ha registrato in un video che mandano in onda continuamente.
Non lo so se questa storia del virus sia sopravvalutata o sottovalutata o è proprio come ce la raccontano. Comunque sia si tratta di norme igieniche. È un occasione per farle rispettare a Ettore e Agata. Lavatevi le mani!
Per la mostra di Raffaello a Roma pare che ci sia la fila, ma Venezia è deserta. E anche Firenze. Così dicono al telegiornale. Il referendum sul taglio dei parlamentari è stato rinviato. Il consiglio dei ministri ha stanziato sette miliardi e mezzo di aiuti per famiglie e imprese. Chissà se penseranno pure ai precari dello spettacolo. Siamo sempre stati precari, ma adesso non si lavora proprio. E quando un attore sta a casa non ci sta nessuno che gli da una lira.
Sono le sei del pomeriggio, ascolto radio Radicale in macchina. Parla Borrelli della Protezione Civile e dice che vuole cominciare con le notizie buone. “Nessuna criticità negli ospedali” dice. C’è posto per tutti, anche in Lombardia che è la regione più colpita d’Europa. 414 sono i pazienti guariti. Poi va avanti. 3.296 positivi. I morti invece sono 148. L’età media è di 81 anni. Due su tre hanno altre patologie. Siamo un popolo longevo. Anche questa è una cosa buona. A domani.
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Venerdì 6 marzo
Da tre giorni sono chiuse le scuole in tutt’Italia. Di fatto sono chiusi anche cinema e teatri perché ci dobbiamo tenere a una distanza di almeno un metro uno dall’altro. In teatro non è praticamente possibile. E poi niente abbracci, baci e nemmeno strette di mano. In questo momento i dati ufficiali sono questi: 3.916 malati, 197 morti (4,25%), 523 guariti (11,14%).
Per mesi abbiamo parlato di confini, di identità, di popoli. Ora un microorganismo attraversa il mondo approfittando della nostra velocità, dei nostri spostamenti planetari. Passa dalla Cina alla Germania, scende in Italia e finisce in America. Ci accompagna senza passaporto, senza curarsi dei soldi che abbiamo in tasca, del colore della nostra pelle. Non possiamo confinare lui senza confinare anche noi stessi. Per isolare questo esserino che ci entra nel corpo dobbiamo isolare l’intero corpo che lo ospita.
Scrive oggi Christian Raimo che la sanità può essere solo pubblica. Parla di “Misure cospicue di sostegno al reddito. Mutualismo a favore dei più fragili”. Dice che “Il migliore sistema politico è chiaramente il socialismo. Ce ne accorgiamo solo nelle crisi, ma tant’è”.
Ma i confini che abbiamo tracciato in questi ultimi anni non sono soltanto tra gli italiani e i morti di fame che arrivano dal mare. Siamo circondati da confini da cancellare.
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Sabato 7 marzo
Leggo in rete che “a differenza di medici e chirurghi, gli infermieri non hanno diritto di parcheggiare gratuitamente nelle strisce blu”. Pare che una volta ce l’avessero, ma il Comune di Milano non ha rinnovato il permesso, perché ritiene debbano muoversi con i mezzi pubblici. Chissà se è vero. In questa storia che sembra inventata da uno scrittore di fantascienza ci starebbe bene anche quest’altra storiella grottesca. Sarebbe come far pagare il bollo alla Batmobile o multare Superman per eccesso di velocità. “Il signor Man Super, domiciliato in pianeta Krypton, colto in fragrante a una velocità palesemente oltre la luce, viene multato per aver superato di oltre 15 chilometri orari il limite dei 130 permessi in autostrada”.
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Domenica 8 marzo
Il liceo Pascal di Pomezia è la prima scuola chiusa nella zona di Roma. Uno dei 1.200 studenti è figlio del poliziotto che, tra i primissimi nel Lazio, è risultato positivo. Fanno il tampone anche alla moglie, alla cognata e alla figlia universitaria. Tutti positivi. Così si sospendono anche le lezioni frequentate da quella figlia all’università. Il poliziotto aveva incontrato un amico lombardo, dice. È stato quello che gli ha passato il testimone del parassita. La sua malattia arriva da lì. Se la prende e porta il microrganismo in famiglia. Lo somministra con un abbraccio sincero, un bacio sulla guancia, bocca o fronte. A cena si parlano a un palmo di distanza. Si scambiano le microscopiche gocce di saliva che passano da un corpo all’altro come una invisibile funivia che trasporta gli ospiti velenosi. La funivia che corre verso i compagni di scuola, i colleghi di lavoro, la cassiera del supermercato.
Mi immagino la moglie del poliziotto che entra in banca. Ci sono le porte girevoli che si azionano quando metti il dito su uno scanner per farti prendere le impronte digitali. Nel frattempo il parassita attraversa il varco con lei. Lui non lascia impronte. Non mostra documenti. È più pericoloso di un ladro, ma non ha bisogno di mettersi il passamontagna e puntare la pistola. Entra in banca e ruba la salute degli impiegati senza che se ne accorgano. Un colpo di tosse e finisce sulla scrivania del direttore. Lui sposta le solite scartoffie e va in pausa. Uno così non ci pensa a lavarsi le mani nel bagno del bar che sembra decisamente più sporco delle sue dita, senza un filo di polvere depositato in trasparenza sotto le unghie limate. Ordina mezzo panino. Non uno intero perché sta a dieta. Quando finisce il suo turno, si toglie la cravatta, mette le scarpe sportive e se ne va a correre in pineta perché vuole stare in salute e campare cent’anni, ma il parassita s’è già fatto il giro del suo corpo prima che lui si sia fatto la doccia. La sera va a cena e avvelena i vecchi compagni di scuola che si ritrovano per una pizza e il karaoke. Vecchi compagni che si sono rincontrati su Facebook. Ci hanno messo un anno per contattarsi tutti, per ritrovarsi come trent’anni fa. Finalmente stanno al Grottino per cantare i successi degli anni ’80 e fare il “Giropizza”. Così si chiama quella roba che fanno le pizzerie quando ti portano le pizze che decidono loro, una dopo l’altra finché non scoppi. E nel giropizza a 10 euro bevande escluse, cantando The Final Countdown e Wild Boys il parassita si fa il giro della comitiva. Una dozzina di euro per infettare tutta la terza C del liceo classico statale Virgilio, scuola d’eccellenza a trenta metri dal Tevere, incastonato in mezzo a due strade tra le più belle del mondo. Il palazzo del Virgilio è un piccolo capolavoro del razionalismo. Fu disegnato dal grande architetto Marcello Piacentini, un gigante del ‘900 che nel suo progetto ha saputo inglobare il collegio Ghisleri luogo “deputato alla formazione scolastica dal XVII secolo”, come sta scritto sul sito della scuola.
Il liceo Pascal di Pomezia sta a una trentina di chilometri dal Virgilio. In una estrema periferia della città metropolitana. Nasce negli anni settanta come succursale di un’altra scuola periferica che si trova a Spinaceto. Quelli delle periferie vanno al centro solo per farsi un giro e godersi mezza giornata da turisti. Saltuariamente si interessano ai negozi lungo via del Corso o via dei Condotti. In genere preferiscono i grandi centri commerciali con i quali condividono il nulla nel quale i palazzinari li hanno esiliati. Ma Pomezia sta lontano anche dalla periferia di Roma. Un mesetto fa, pochi giorni prima della giornata della Memoria, entrando a scuola gli studenti si sono ritrovati a passare sopra una scritta verniciata spray sul marciapiede. Calpesta l’ebreo. Così c’era scritto. Di questi posti oltre i confini delle città si parla quando succede qualcosa di eclatante. Si accende il faro dell’informazione e la telecamera inquadra un angolo. Una scritta, un indigeno che dice quattro frasi in croce, una scuola tra le palazzine tutte uguali nella periferia di una periferia, la targa col nome del liceo. All’entrata del Pascal c’è un cartello bianco e blu che sembra quello di una macelleria.
Pometini. Così si chiamano gli abitanti di Pomezia. Per arrivare al Virgilio bisogna prendere la Pontina che è sempre intasata. Passato il Raccordo provi a raggiungere Lungotevere in qualche maniera, magari attraverso l’EUR, capolavoro del razionalismo al quale ha lavorato anche il Piacentini. E piano piano arrivi in quell’altro mondo. Al centro del centro. Passi dalla Bocca della Verità, il Circo Massimo, i Fori. Questo se ci vai in automobile. Invece col treno puoi partire da Santa Palomba che sta a dieci chilometri da Pomezia, scendi a Termini e il 40 o il 64 ti porta alla Chiesa Nuova. Altri duecento metri e stai sul Tevere. Ma chi ci va a Roma? Chi se la fa quell’ammazzata per arrivare a piazza Navona o al Pantheon? I ponetini ci vanno raramente. “Nella città di Pomezia lo svago è garantito solo a chi si accontenta di poco” sta scritto su un giornale locale. Frequentano “franchising come McDonald, 100 Montaditos o ToastAmore”. Al massimo si spingono fino a Torvaianica e Nettuno. E quelli più giovani possono “godersi una serata con un solo amico e una panchina” (noisiamofuturo). L’alternativa sarebbe il Multiplex, ma il parassita arrivato dalla Cina sta facendo chiudere anche i cinema.
Quasi diecimila chilometri in linea d’aria dividono Pomezia da Wuhan. Il parassita li ha percorsi passando da un corpo all’altro. L’ultimo passaggio se l’è fatto dare da un poliziotto. E adesso è arrivato in una cittadina dove i giovani si accontentano di poco. Adesso è seduto su una panchina e rovina la serata a due amici che parlano a meno di un metro di distanza l’uno dall’altro.
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Lunedì 9 marzo, mattina
Devo chiamare un numero verde e segnalare che una settimana fa sono stato a Asti. Da poche ore è una zona rossa e l’ordinanza del Presidente della Regione Lazio è chiarissima.
“Tutte le persone che nei quattordici giorni antecedenti alla data di pubblicazione del DPCM 8 marzo 2020 hanno fatto ingresso, stanno facendo o faranno ingresso nella Regione Lazio provenienti dalla Regione Lombardia e dalle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, hanno l’obbligo di comunicare tale circostanza al numero unico regionale dedicato 800 118 800, servizio che si coordina con il Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria territorialmente competente”.
Ho fatto la prima telefonata ieri sera alle 20:01. Ho continuato fino alle 24. Poi il servizio è andato a dormire. Stamattina ho richiamato. Per due volte mi ha risposto una voce registrata per dirmi che le linee sono intasate. Tutte le altre ho sentito solo il tu-tu-tu dell’occupato. Mi scrivo con Andrea e Gianluca che stavano in Piemonte con me.
– 8:16 “Il numero è inchiodato” scrive Andrea “ho lasciato un messaggio al mio medico con la preghiera di richiamarmi. Fate lo stesso anche voi?”
– 9:10 a Radio anch’io, Radio 1, il direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Iss Gianni Rezza dice che “a Roma il virus sta già incominciando a circolare, anche se le catene di trasmissione sono per ora piccole. Ne dobbiamo prendere atto perché altrimenti si fa il patatrac come a Lodi di nuovo. Solo che stavolta eravamo avvertiti”. E aggiunge che il prossimo mese sarà decisivo per capire quale sarà il trend. Ma sottolinea che “se si mettessero in atto le misure che sono state messe in atto in Cina saremmo più ottimisti. Però le democrazie occidentali… non parlo di Italia, parlo di Europa, in Francia ancora ci saranno le discoteche aperte… loro hanno una cura epidemica che segue la nostra solo di una o due settimane. In Germania credo… idem. Se non ci si mette in testa che i cinesi hanno fatto un grande lavoro… forse noi non lo potremmo fare mai (conduttore: cioè militarizzare e tenere le persone a casa per noi è molto difficile). Per noi non sarebbe realizzabile. Allora bisogna ricorrere alla responsabilità dei cittadini, ma usare anche qualche metodo di deterrenza e comunque c’è sempre il reato di tentata epidemia”.
Allora mi vado a cercare l’articolo del codice penale. È il 438. “Chiunque cagiona (con coscienza e volontà) un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo” e fino al 1948 anche con la pena di morte.
– 9:56 la dottoressa di Gianluca dice “cerchi di contattare il numero verde” nel frattempo chiede la sua data di nascita, quando è rientrato e per quale motivo si trovava a Asti per fare la segnalazione all’ufficio d’igiene. Anche il 112 dice a Andrea di avere pazienza.
– 10:50 Andrea si rimette al telefono e mentre aspetta fa un puzzle.
– 10:54 Gianluca “chi fa bingo col numero verde lo faccia sapere”.
– 11:05 Sento Veronica, regista di teatro. Sta a casa anche lei. Le sono saltati tre laboratori. Adesso non c’ha una lira in tasca, ma ha tanto tempo per leggere. Anche il compagno sta a casa. Ha ricominciato a disegnare. Tutti in quarantena obbligatoria, per scelta o perché non c’è alternativa. Appesi tra il telefono e il termometro in attesa di capire se salirà la temperatura o resterà sotto i 37 gradi. In attesa di un operatore che risponda.
– 12:47 da ieri sera ho telefonato 152 volte. Nessuna risposta. La dottoressa di Gianluca gli ha inviato un modulo della sua Asl di Latina. Anche io cerco nel sito della mia Asl, Roma 2. Trovo il numero verde 800 938 851 attivo dalle 8,30 alle 16,30. Ma è occupato.
– 13:15 invio una mail alla Asl seguendo le indicazioni e viene registrata col numero d’ordine 69-2020.
Nel frattempo leggo di rivendicazioni in molte prigioni. Hanno iniziato ieri, ma forse anche da prima. Modena, Frosinone, Napoli, Palermo, Foggia, Alessandria, Vercelli, Pavia, Bari, Verona, Milano, Matera. Forse 27 sono gli istituti nei quali i carcerati si sono rivoltati. Condizioni più che precarie peggiorate negli ultimi giorni con i divieti per molti colloqui con i famigliari. L’Associazione Antigone chiede che a fronte di questa diminuzione di contatti con l’esterno si incentivino almeno le telefonate. Il parassita non corre nel filo del telefono. Questa è una certezza. E allora perché vietano i colloqui, ma non li sostituiscono con le telefonate? E poi sarebbe il caso che si cominci a pensare a qualche misura alternativa alla detenzione. Soprattutto per chi deve scontare solo poche settimane. Il carcere è da sempre l’ultima delle preoccupazioni di politici e gente comune, ma ai tempi del Covid-19 può diventare una bomba se non viene disinnescata subito.
Intanto ci sono i primi sei detenuti morti in seguito alla rivolta nel carcere di Modena. Rivendicazioni anche alla Spezia dove 225 detenuti sono pressati in una galera che ne conterrebbe al massimo 160. Dopo tanti giorni mi tornano in mente le Sardine.
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Lunedì 9 marzo, sera
Senza il parassita sarei appena tornato dalla Romagna e mi preparerei per andare a Breno in val Camonica. Ci sono stato per la prima volta una dozzina di anni fa. Emilio si presenta alla fine di un mio spettacolo a Rezzato in provincia di Brescia.
Mi racconta di Battista, quello che ha scoperto le incisioni rupestri della valle. Così si dice. Emilio vorrebbe che andassi a incontrare Battista per vedere i “pitoti” con lui. Usano quel termine che significa anche pupazzetti e persino cartoni animati, in un certo senso. Mi pare che fosse ottobre o novembre. Forse del 2015. Io gli dico che non mi libero prima di maggio e così ci diamo un appuntamento. In primavera salgo in valle. Conosco Battista Maffessoli che mezzo secolo fa ha riscoperto le incisioni rupestri degli antichi Camuni. Ha inciampato in un cervo, cioè in un graffito che lo raffigura. Al paese dicevano che quei pitoti li aveva fatti un capraio, ma poi in valle sono arrivati gli studiosi e Battista ha continuato a scoprire le rocce. Toglieva la terra e il muschio, faceva i calchi di gesso e accompagnava i dottori di mezzo mondo tra i guerrieri e le danze grattate nella roccia. Al tramonto, prima di tornare dalla sua donna vera che lo aspettava a casa, si metteva vicino all’incisione di una piccola donna ntica. Le braccia chiuse in un cerchio e le gambe a specchio. Si guardavano la valle insieme pure se erano un uomo e una pietra divisi da migliaia di anni. Battista dice che una volta all’alba ha sentito un violino, è arrivata un’astronave con tutti gli scienziati che erano passati nella valle e nel frattempo erano morti. Gli hanno detto “ce ne andiamo dai Camuni. Ci sveleranno il mistero delle incisioni”. Io che non sono pratico né di astronauti, né di archeologia gli ho chiesto se era una storia che si era inventato lui, un sogno o una cosa vera. Lui non ha risposto perché era saggio e credeva ai segreti.
Poi siamo andati a mangiare e io non conoscevo quasi nessuno. C’era Emilio che avevo visto un paio di volte, c’era Battista col quale avevo passeggiato per le rocce, che mi aveva mostrato un omino corridore con i capelli dritti e lui lo chiamava “il bersagliere”, che mi aveva illustrato la roccia grande, la sua cappella Sistina. Abbiamo mangiato ed eravamo molto contenti.
Poi è passato un anno e sono tornato in Val Camonica. Emilio mi ha detto che quel giorno di maggio è stata l’ultima volta che Battista è salito alle rocce. È morto dopo qualche settimana, a settembre. E io non l’avevo capito che ero stato testimone di un prodigio. Non l’avevo capito che quello era il suo funerale da vivo.
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Giovedì 12 marzo
“Pandemonio” è il titolo del Manifesto di oggi. L’Oms dichiara ufficialmente che il coronavirus è una pandemia. Sulla Nazione di ieri in prima pagina c’era un barista che serviva il caffè con la mascherina e la scritta “chiudere tutto?” e l’altro ieri il Corriere della Sera titolava “Ora è chiusa tutta l’Italia”. Lo stesso giorno, poche ore dopo l’annuncio di Conte che l’Italia era di fatto una grande zona rossa, il titolone di Repubblica era “Tutti in casa”. Persino la Gazzetta dello Sport e Tuttosport mettevano in prima pagina “Tutti a casa”. E il Corriere dello sport pubblicava un enorme “STOP” e la foto di Francesco Caputo del Sassuolo che mostra un cartello scritto a penna. “Andrà tutto bene, restate a casa”.
Da giorni l’argomento è uno soltanto e non potrebbe essere diversamente. Siamo spaesati. Non sappiamo quanto durerà e quanto trasformerà le nostre vite. Quanto sono già mutate. Non riusciamo a immaginare quanti di noi verranno colpiti e con quale violenza. I politici continuano a ripetere che dobbiamo cambiare le nostre abitudini, ma probabilmente il cambiamento è già avvenuto. I primi a mostrare la loro debolezza e a scomparire sono stati gli argomenti che infiammavano il paese, dai bar ai talk show televisivi. Chi se lo ricorda più il governo Conte uno? Chi litigherebbe oggi parteggiando per Di Maio o Salvini? E quanto ce ne importa delle liti di agosto o di quei giorni d’inizio settembre quando furono presentatati i ministri che ora stanno al Governo? Quante cose sono cambiate dall’inizio del 2020? Ripasso il mio diario ripercorrendo i giorni che vanno dall’inizio dell’anno fino a un mese fa. Ci ho scritto le notizie dei giornali e quello che ho fatto io. In fondo è il mio diario… Lo faccio per ricordarmi dove stavo e cosa facevo quando succedevano le cose nel mondo, quelle che interessano tutti.
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3 gennaio Passato Capodanno leggo sul giornale di una misteriosa polmonite virale in Cina. 44 contagiati. 11 sono gravi. Controlli negli aeroporti di Singapore e Hong Kong. “Si sono diffusi timori che il virus possa essere legato alla Sars, la cui diffusione originata in Cina fra il 2002 e il 2003 causò la morte di 700 persone” leggo su la Stampa.
11 gennaio Primo morto di polmonite in Cina. Pare che il virus sia della famiglia della Sars che tra il 2002 e il 2003 fece settecento morti. La vittima lavorava in un mercato del pesce a Wuhan.
La sera io sto a cena con un gruppo di teatranti belgi. Sono venuti a Roma per fare le prove. A giugno torneranno. Poi a settembre andrò io a Bruxelles o Liége o a Montpellier nel sud della Francia. Debuttiamo in autunno con la versione francese di Pueblo.
23 gennaio I morti per il virus cinese sono 17. Su la Stampa si legge che 11 milioni di persone sono “in trappola. Non si può uscire, né entrare. Wuhan è come una fortezza impenetrabile, e non si sa per quanto lo sarà. Le ragioni sono sanitarie, il rischio è potenzialmente di contagiare tutto il mondo, spostandosi con aerei e altri mezzi: dunque, trasporti bloccati”.
Il mio furgone è carico. Scenografia dello spettacolo Barzellette. Tastiera di Gianluca e macchina della nebbia. Domattina si parte alle 9 per andare a Milano. Appuntamento alla fermata metro Anagnina.
24 gennaio Su qualche giornale troviamo scritto che i cinesi in isolamento potrebbero essere 41 milioni. Ci sono segnalazioni anche in Texas, Giappone e Europa. C’è un secondo caso in Corea del Sud. Anche in Italia si parla del virus. C’è un ricoverato a Bari, ma è un falso allarme. Oggi abbiamo fatto la prima replica dello spettacolo al teatro Carcano di Milano. Sulle prime pagine dei giornali si parla della Cina, ma tra gli argomenti più seguiti ci sono le Sardine che scendono in piazza e la campagna elettorale. Domenica 26 si vota in Emilia Romagna. Matteo Salvini è sicuro di vincere e conquistarsi la regione più rossa d’Italia.
25 gennaio Sulla prima pagina di Repubblica due terzi dello spazio è occupato dall’articolo che anticipa la giornata della memoria. Una foto con la scritta su una porta. È la casa di Mondovì dove vive il figlio di una partigiana deportata nel lager. “Juden hier” c’è scritto con la vernice spray. Quasi tutti i giornali parlano della Cina, ma non è la notizia più importante. Qualcuno mostra la foto di un grande ospedale in costruzione a Wuhan che sarà pronto in sei giorni.
Vespignani * dice che il numero di infetti è sottostimato, ma “il pericolo in Italia è basso”.
* Alessandro Vespignani, fisico esperto di sistemi complessi, direttore del Network Science Institute della Northeastern University di Boston.
29 gennaio Nelle farmacie, le mascherine non si trovano più. Oppure costano 5 euro ciascuna, invece di 1 euro, come una settimana fa. 200.000 turisti italiani ogni anno vanno in Cina. Il 29 gennaio il ministro della Salute italiano Roberto Speranza sconsiglia ufficialmente “i viaggi verso la Cina se non strettamente necessari».
31 gennaio Il premier Conte annuncia la chiusura del traffico aereo da e per la Cina, Macao, Hong Kong e Taipei.
Alle 10 finisco di caricare il furgone e passo a prendere Andrea alla fermata metro Anagnina. 653 chilometri fino al Palamostre per la stagione teatrale del CSS.
1 febbraio Angelo Borrelli, capo della Protezione civile, è nominato commissario straordinario per questa malattia cinese. Gestirà i 5 milioni stanziati dal Consiglio dei ministri e dovrà predisporre un piano operativo che potrebbe prevedere, tra l’altro, la possibilità di requisire alberghi per sistemare le centinaia di turisti cinesi che aspettano di essere rimpatriati. Creata una unità speciale che si occuperà, tra l’altro, dei 500 italiani che vogliono rientrare dalla Cina.
Con Andrea e Gianluca viaggio da Udine a Trieste. Negozi chiusi nella periferia della città. Aperta un’osteria. Verdure, bollito e baccalà mantecato. Domani andiamo a Rimini dove hanno riaperto il teatro Amintore Galli, sventrato da un bombardamento il 28 dicembre del 1943 e riaperto il 28 ottobre di due anni fa. Dopo quasi vent’anni torniamo a Rimini con Radio Clandestina. In piazza Cavour c’è la nebbia e le musiche di Nino Rota in filodiffusione. Si celebrano i 100 anni dalla nascita di Fellini.
7 febbraio Dopo tre giorni a Genova andiamo a Verbania. A pochi metri dal Lago Maggiore c’è il teatro. Strana architettura. Delle grosse palle un po’ sgonfie ospitano uno spazio teatrale moderno e polifunzionale. Paesaggio marziano a primavera.
Ieri mattina, alle 5:35, il Frecciarossa AV9595 ha deragliato a Ospitaletto Lodigiano, in località Cascina Griona. Muore il macchinista Giuseppe Cicciù e un altro ferroviere, Mario Di Cuonzo.
Uno dei 56 italiani rientrati dall’area di Wuhan lunedì scorso con un volo militare ha contratto il contagio da coronavirus. Non si conosce il nome ma dovrebbe avere un’età fra i 30 e 40 anni. Trasferito all’Istituto per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” viene sottoposto a nuovi esami fino alla conferma.
3711 passeggeri a bordo della nave da crociera Diamond Princess ferma nel porto giapponese di Yokohama. Da tre giorni sono in quarantena. Un ottantenne sbarcato poche ore prima a Hong Konk è stato ricoverato con il Covid-19. Così hanno chiamato il virus cinese. Si tratta di una cittadina galleggiante che può contenere più di tremila passeggeri. Quando il capitano italiano Gennaro Arma scenderà (2 marzo), per ultimo, si conteranno 705 casi di contagio e sei morti al quale se ne aggiunge un settimo morto dopo lo sbarco.
9 febbraio In televisione e sui giornali il festival di San Remo è onnipresente. Vince Diodato, ma si parla ancora della lite tra Morgan e Bugo. Sulla prima pagina di Repubblica “Visco: rischio virus per l’economia”. Ieri è stato arrestato uno studente egiziano che studia a Bologna. Si chiama Patrick George Zaky, 28 anni. Si ripete la storia di Giulio Regeni. Speriamo che alle torture non segua l’omicidio.
10 febbraio Rientrano 8 italiani da Wuhan. Il virus ha fatto già 902 morti superando i decessi della SARS che in due anni raggiunse il numero di 8.096 casi con 774 decessi, con un tasso di letalità del 9,6%. “La Cina si arrabbia con noi” è il titolo di Repubblica. L’Italia è l’unico paese europeo che ha tagliato i collegamenti aerei con i cinesi.
12 febbraio Il Senato autorizza il processo a Matteo Salvini. È accusato di sequestro di persona aggravato per aver impedito per più di tre giorni lo sbarco di 131 immigrati. Erano stati salvati dalla nave della marina militare Gregoretti.
Sabato scorso siamo stati a Arquata Scrivia. L’albergo è in mezzo a un cantiere. Lavorano per il Terzo Valico, l’alta velocità che da Tortona porterà a Genova. Per adesso c’è un gran buco, una campagna sventrata. Quando ci passeremo col treno a trecento chilometri orari non ce ne accorgeremo, ma visto da fermi questo panorama fa accapponare la pelle. Soprattutto a quelli che l’hanno conosciuto quando era integro. A Arquata, in una sala arancione dove un gruppo di persone cerca di tenere aperto uno spiraglio di teatro, un’utopia possibile, ho fatto l’ultima replica di Radio Clandestina con la scenografia di vent’anni fa. Oggi non è più a norma. Compro cavi e portalampade nuovi. Vado dal fabbro e sostituisco col ferro le parti in legno che hanno lavorato abbastanza. Con questo spettacolo ho debuttato a fine ottobre del 2000 in una stanza del carcere nazista di Via Tasso. Carico il furgone. Sabato saremo a Colleferro con Barzellette. E poi con lo stesso spettacolo a Firenze il 21 e 22. Due giorni di pausa e partiamo per Torino. Prima settimana di Radio Clandestina con la scenografia nuova. Siamo in tournée fino alla fine di maggio. Prima di giugno faremo almeno quaranta repliche. “Quest’anno mi fermo per un po’” dico. Andrea mi fa “lo dici da vent’anni, ma non ti fermi mai”. È vero. Cambio le gomme al furgone. Pneumatici estivi, tanto c’abbiamo le catene se nevica. Mauro, il gommista, rabbocca l’olio e controlla l’acqua al radiatore. “Ti ci do una lavata” dice. Adesso siamo pronti per ripartire. Come Bob Dylan, Never Ending Tour.
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Condivido. Aggiungo: la natura, gli animali sfruttati, un pianeta in sofferenza ci stanno presentando il conto. La nostra opulenza, il nostro senso di onnipotenza si stanno ridimensionando, assieme al nostro egoismo: ” O ci salviamo tutti o nessuno”.
Verissimo…
Sì, il virus “è indifferente al denaro dei ricchi e alla miseria dei poveri”, ma non lo è la possibilità di cacciarlo via dal corpo dei ricchi o da quello dei poveri. America docet : i tamponi costano troppo per essere alla portata di tutti 🙁
Il nuovo virus è contagiosissimo ma non fa più morti (anzi ne fa meno) di quanti non ne abbia fatti solo in Italia l’influenza nell’inverno 2017/18, cioè 18.000, ma senza strepiti mediatici.
Combattiamo questo virus come possiamo, ok, ma non dimentichiamo i numeri come comparazione per capire un po’ meglio la pericolosità di questo nemico, altrimenti rischiamo di cadere in quel classico sofisma per cui data la premessa la conclusione è logica…anche se sbagliata 🙂
finalmente una persona intelligente che usa il cervello. difendetevi ma guardate i numeri, tutti i numeri.
Rispettiamo le misure governative che qualche effetto dovrebbero averlo. Però non riduciamo tutto alla fatalità, al virus che, come la peste trecentesca, non distingue tra ricchi e poveri. Chi ha distrutto la sanità pubblica a vantaggio di quella privata deve essere individuato e deve pagare, non beccandosi il virus ma finendo in galera!