Ci hanno provato in otto tra ministri ed ex-ministri, primo ministro ed ex-primi ministri, nonché un già presidente della Repubblica; anche il partito di maggioranza relativa di ispirazione islamica En-Nahdha aveva il suo candidato, ma nessuno di loro è arrivato al ballottaggio. Al ballottaggio del 13 ottobre per l’elezione del presidente della Repubblica tunisina vi saranno un giurista costituzionalista conservatore, Kaïs Saïed, e un magnate dei media, Nabil Karoui, già soprannominato “il Berlusconi di Tunisi”, e attualmente in custodia cautelare per riciclaggio di denaro e evasione fiscale, nell’ambito di un’inchiesta partita grazie alle indagini dell’associazione anti-corruzione Anā yaqizh – I Watch.
Questo è bastato a rimettere in subbuglio la società tunisina, che ora deve scegliere tra due candidati anti-Sistema, proprio mentre tra pochi giorni, il 6 ottobre, si recherà alle urne anche per eleggere il parlamento (Majlis Nawāb as-Shaʿb). En-Nahdha e gli altri partiti rappresentati in parlamento hanno iniziato da diversi giorni a negoziare accordi di desistenza per ridurre il numero dei candidati simili, ma rivali nei collegi, e dunque frenare la possibile vittoria di Au coeur de la Tunisie, il partito di Nabil Karaoui, alle legislative. “Sarebbe il fallimento dell’esperienza democratica” dichiarano i dirigenti di En-Nahdha, che riprendono tutti i temi della Rivoluzione dei Gelsomini del 2011 in questi ultimi giorni di campagna per le legislative[1]. Sarà un’impresa ardua quella di recuperare consensi, a leggere i risultati di un’inchiesta pubblicata oggi da Avocats sans Frontières, Forum Tunisien des Droits Économiques et Sociaux ed altri organismi, secondo cui l’81% dei Tunisini ha perso fiducia nei partiti politici, e il 76% nel parlamento stesso[2].
Per la rivista progressista Kapitalis, il numero eccessivo di candidati (erano 26 alle presidenziali, sono 15.500 distribuiti in 220 partiti e liste indipendenti per i 217 seggi del parlamento) e il disincanto democratico che vive la Tunisia obbligano a prendere di petto i nodi socio-economici irrisolti, pena l’avanzata inesorabile del populismo. La rivista li classifica nei seguenti[3]:
- la disoccupazione, con 630 mila disoccupati recensiti ufficialmente (pari al 15,2% della popolazione attiva) ;
- il ridotto potere d’acquisto delle famiglie: dal 2011, il potere d’acquisto è diminuito del 40% a causa del gioco combinato di svalutazione del dinaro sul mercato dei cambi e dell’inflazione, che era del 7,8% al giugno 2019;
- l’indebitamento del Paese, con il servizio al debito che si mangia un quarto del bilancio statale: lo Stato, sotto la pressione dei creditori internazionali, deve pagare annualmente circa 3 miliardi €, e questo strangola gli investimenti in servizi pubblici e infrastrutture;
- l’amministrazione pubblica è lenta ed inefficace, si parla di 800 mila funzionari, di cui i 2/3 sono improduttivi, cosa che richiederà profonde riforme ed impopolari licenziamenti, se il Paese vorrà dare un’immagine di rinnovamento e servizio; anche la cultura del lavoro in generale deve cambiare, e puntare su creatività e motivazione;
- i servizi pubblici stanno perdendo quota in tutti i campi: istruzione, salute, trasporti pubblici o servizi sociali. È questo uno degli effetti negativi più sentiti dalla popolazione, e secondo molti analisti spiega buona parte del disincanto nei confronti della classe politica (hanno votato al primo turno delle presidenziali meno del 50% degli aventi diritto);
- La corruzione, che incide negativamente sul sottosviluppo di molte regioni periferiche, e storna verso reti clientelari e mercati informali il 40% della ricchezza nazionale; e con essa, una diplomazia ancora propria più di un Ancien Régime che di una Repubblica democratica, e incapace di valorizzare le potenzialità del Paese;
- Infine, le diseguaglianze regionali, che minano la coesione nazionale, generano tensioni sociali e bloccano le opportunità di crescita di comunità e mercati locali.
Bisogna prendere un taxi per capire che aria tiri a Tunisi. Il tassista Hātem, ad esempio, si lamentava ancora due settimane fa della Legge di amnistia dei crimini per corruzione e malversazione di fondi che l’ex – presidente Essebsi presentò nel 2015 per chiudere i conti con la burocrazia corrotta di Ben Ali, e che il parlamento approvò nel settembre del 2017, nonostante le proteste di sindacati e società civile, che chiedevano giustizia e riconoscimento delle responsabilità prima di ogni amnistia[4]. È opinion diffusa che questa legge consenta ai funzionari maggiormente coinvolti in fatti di corruzione sotto il regime di Ben Ali di mantenere impunemente le loro funzioni, e ostacoli qualsiasi forma di indagine delle violazioni dei diritti umani legate al sistema di corruzione sistematica che per decenni ha prevalso in Tunisia[5]. Non deve sorprendere quanto riportava il quotidiano Al-Arab, secondo il quale, a pochi giorni dallo scrutinio presidenziale, gli scambi sui Social relativi agli scandali attorno ai candidati animavano il dibattito più di qualsiasi programma elettorale[6].
Nello scontro tra i candidati del Sistema e quelli indipendenti, i secondi hanno prevalso, ma che faranno ora i Tunisini? Il tassista Hossām descrive così i due candidati:
“Kaïs Saïed è un professore di diritto, e la gente ha votato per lui perché è pulito, non ha partiti, né grandi finanziatori dietro di lui. Conosce la Legge ed è competente.
Nabil Karaoui è uno che ha girato la Tunisia in lungo e in largo, è andato nei quartieri popolari e nelle regioni depresse, ed ha aiutato tanta gente povera. Inoltre, ha amicizie influenti all’estero, che non guastano”. Ho pensato subito a Barlusconi, perché Karoui ha fatto fortuna con la catena televisiva Nessma TV.
“Ma per la Tunisia sarebbe meglio il Professore o il Magnate?” chiedo a Hossām.
“Per il bene delle istituzioni, Saïed è la scelta migliore; per il popolo, però, Karoui farebbe di più”. Da dove viene questa fede peronista? Per capirlo, bisogna guardare su Nessma TV il famosissimo programma diario خلال تونس – Khalil Tunisia, che prende il nome dal giovane figlio di Nabil Karaoui prematuramente scomparso nel 2016; in suo onore, il papà ha montato un programma attraverso il quale raggiunge i più svantaggiati e poveri, e offre loro aiuti e denaro. Con questo sistema di copertura mediatica dei contesti più difficili e di raccolta fondi in loro favore, Karoui è diventato il Robin Hood della Tunisia, che ha portato in molte case sedie a rotelle, frigoriferi, medicinali, mobilio o derrate alimentari. In un contesto permeato dalla corruzione e dalla disgregazione dei servizi pubblici, Karoui ha mostrato di fare per i non privilegiati quello che lo Stato non riesce a fare. Ma è veramente un disinteressato Robin Hood questo signore?
“Liberarlo? Ma state scherzando? Come può l’Unione europea venire qui in Tunisia con una missione di osservazione elettorale trattandoci di paria della democrazia, e chiedere che venga liberato Karoui perché possa svolgere regolarmente la sua campagna elettorale?” si chiede Thāmeur Mekkī, giornalista di Nawaat, magazine online alternativo nato nel 2014 ed in costante crescita, presto anche in formato cartaceo. Thāmeur se la prende in particolare con il capo della missione elettorale UE, Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare dei 5 Stelle. “Ci ha chiesto un incontro, gli abbiamo detto di no. Lo sa che Karoui ha portato i suoi capitali in Lussemburgo? Invece di darci lezioni di democrazia, perché non ci consegnano i files delle banche del Lussemburgo ?” incalza Thāmeur. È di fretta, mi offre il caffè e mi lascia, deve consegnare le bozze del primo numero cartaceo all’editore.
Ma chi vincerà ? Nei miei sondaggi tra i tassisti, vince Kaïs Saïed.
“Io voterò Karoui, perché è con la gente, ma vincerà Saïed” mi risponde il tassista Hēdi. “Incontrerà molte difficoltà come presidente, perché non ha un partito a cui appoggiarsi, ma è competente e intelligente, e noi vogliamo uno che non appartenga al Sistema; mi pare che il messaggio elettorale del primo turno sia stato chiaro, no?” aggiunge. Ed anche se Karoui dovesse essere rilasciato per la campagna elettorale, cosa non ancora autorizzata dalla Giustizia tunisina, sono in molti a credere che l’esito del confronto non cambierà.
Dicono che Kaïs Saïed è modesto, discorre di leggi perché le conosce, parla in modo forbito, legge, vive senza lussi e non dà mai in incandescenza. Forse per questo lo apprezzano. Restano numerosi, però, gli scettici. “Molti miei amici di Sinistra mi hanno confessato che tra due mali, sceglieranno quello che ritengono il minore” mi racconta un’attivista dell’Associazione delle donne democratiche tunisine. “E quale sarebbe il male minore?” chiedo. “Nabil Karoui, perché l’altro è vicino agli islamisti, considera la Shariʿa la fonte del diritto”. Ecco di nuovo la frattura tra laicisti e il resto! Manifesto all’attivista i miei dubbi su questo ragionamento, che porterebbe dei progressisti a votare per un evasore fiscale nonché media tycoon, piuttosto di sentire parlare di Shariʿa. Ritrovo sulla Rete un’intervista a Sofiane Zribi, eminente psichiatra tunisino e amico di Saïed: “Kaïs Saïed non è né salafista né nahdhaoui, ma solo un musulmano come la maggior parte di noi, rispettoso della religione senza eccessi o fanatismo. È un democratico e non ho dubbi al riguardo”[7].
La campagna elettorale, con uno dei candidati dietro le sbarre, non ammette esclusione di colpi, ed ecco che l’istanza pubblica che veglia sugli abusi radiotelevisivi (HAICA) ha inflitto ieri una multa di 25 mila € alla TV di Nabil Karoui per aver rappresentato Kaïs Saïed come il candidato di En-Nahdha, il partito di ispirazione islamica[8]. D’altro lato, la pagina Facebook di Al-Hiwār Ettounsi, altro canale televisivo privato, in meno di un giorno ha perso un milione di abbonati, dopo aver lanciato una campagna squalificante nei confronti di Saïed all’annuncio dei risultati del primo turno [9].
Per averci lavorato insieme, conosco personalmente Hātem Mlīkī, grande esperto di decentramento amministrativo, ora il portavoce di Nabil Karoui, ma ho preferito non sentirlo per chiedergli di rilasciare qualche dichiarazione. Quando lo abbiamo visto in televisione nelle sue nuove vesti, molti dei miei colleghi non se l’aspettavano. Karoui dà l’immagine dell’uomo delle sorprese, dei grandi progetti, che sa trasformare le persone e portarle con te o contro di te.
Oggi, si apre ufficialmente la campagna elettorale per il ballottaggio delle presidenziali. I Tunisini sceglieranno pare il loro nuovo presidente in base innanzitutto ai principî di integrità, onestà e rispetto della Legge[10]. Sono queste forse in assoluto le prime elezioni di un paese arabo, in cui dei candidati non espressione diretta del Potere costituito si contendono la Presidenza. Intanto, stiamo tutti aspettando di seguire il dibattito televisivo tra il Professore e il Berlusconi di Tunisi, che la Televisione pubblica si è detta disponible di registrare pure in carcere, se Karoui non verrà rilasciato. Sarà più divertente di una finale di Champions’ League. Già mi immagino gli operai a inventarsi uno stage appropriato al grande pubblico tra sbarre e secondini.
Tunisi, 3 ottobre
[1] « Ennahdha choisit déjà ses alliés », La Presse, 30 settembre 2019.
[2] « Enquête auprès des Tunisien/nes sur leur perception de la justice transitionnelle », ftdes.net, 3 ottobre 2019.
[3] Moktar Lamari, Najah Attig, Samir Trabelsi, « Elections législatives en Tunisie : enjeux et défis d’un scrutin incertain ! », Kapitalis, 30 settembre 2019.
[4] Pubblicata come Legge organica n° 2017-62 del 24 ottobre 2017, relativa alla riconciliazione nel campo amministrativo.
[5] Cfr. Amna Guellali, « La Loi Sur La Réconciliation Administrative, Dangereuse Pour L’avenir De La Démocratie Tunisienne », Instance Vérité et Justice, 26 dicembre 2017.
[6] Emna Jabrān, « منافسة حامية بين مرشحي الشارع و مرشحي السيستام لرئاسة تونس », Al-Arab, 6 settembre 2019.
[7] Sofiane Zribi, « Un psychiatre tunisien de renommée témoigne sur Kaïs Saïed », Espace Manager, 24 settembre 2019.
[8] Fonte : La Presse de Tunisie, pag. 4, 3 ottobre 2019.
[9] « A cause de Kaïs Saïed, Al Hiwar Ettounsi perd près d’un million d’abonnés en quelques heures », Réalités Online, 18 settembre 2019.
[10] È un altro dei risultati dell’inchiesta di Avocats sans Frontières ed altri citata poco sopra.
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