di Alberto Zoratti
PARIGI – Da più di un migliaio a 750, fino a poco più di 300. Sono le parentesi quadre in un testo che, quando approvato, dovrebbe porre le basi per le nuove politiche di contrasto al cambiamento climatico. Obiettivo storico, quanto e forse più di quello del Protocollo di Kyoto, sdoganato nella città giapponese nell’ormai lontano 1997, ormai 37 parti per milione (ppm) di CO2 fa. Va sempre ricordato, del resto, che mentre passano i giorni e le parentesi quadre diminuiscono, la concentrazione di CO2 in atmosfera continua a salire arrivando a toccare punte di quasi 401 ppm l’8 dicembre scorso, con una tendenza di crescita che secondo l’Osservatorio statunitense di Mauna Loa nelle Hawaii, è passato da 1.42 ppm all’anno per il decennio 1985/94, a 1.87 all’anno per il 1995/2004 fino a 2.11 all’anno per l’ultima decade. A questo si riferisce la tanto sventolata “ambition“, diventata ormai il feticcio di ogni Conferenza delle Parti che si rispetti.
Ed è proprio l’ambition quella che manca alla nuova bozza di documento finale sdoganato nel pomeriggio del 9 dicembre. Per capirne l’entità è possibile fare uso della creatività enigmistica, cercando e trovando marcatori chiavi del livello di serità ragiunto dal negoziato. Se le parentesi quadre possono essere un indicatore, e oggettivamente hanno un loro significato, vedere che all’articolo sulla finanza gli aggettivi riferiti ai fondi mobilizzati sono ancora ballerini con ben 7 parentesi quadre ([new,] [additional,] [adequate,] [predictable,] [accessible,] [sustained] e [scaled-up]) la dice lunga del reale livello di affidabilità rispetto all’impegno offerto dai Paesi industrializzati sul piano economico e monetario. Quei 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020 promessi nel lontano 2009 e confermati a Cancun alla Cop del 2010 rimangono ancora da raggiungere e una parte di questi rappresentano prestiti e uno storno rispetto ai fondi per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo.
Non è chiaro come sia possibile garantire un efficace adattamento al mutamento climatico senza avere chiarezza sulle fonti di finanziamento e sulla loro reale disponibilità. I 475 milioni di euro promessi ai Paesi Acp (Africa, Caraibi, Pacifico) dal Commissario dell’Ue all’ambiente Canete per sostenere l’azione sul clima sono certamente un passo avanti, ma sono una goccia nel mare magnum delle esigenze e ricordano più una tattica per rompere l’asse Cina, India e G77 più che un reale passo avanti nella giusta direzione.
Ma il livello di ambizione si misura non solo sulla base dei fondi raccolti, ma su quanto si riuscirà effettivamente a tagliare le emissioni al punto da farle diventare sostanzialmente innocue. Rimane ballerino l’obiettivo dell’aumento della temperatura media, ancora a metà tra i 2°C e 1.5°C, quest’ultimo raggiungibile solo in seguito a un drastico cambiamento di rotta che non sembra emergere né tra gli inquinatori storici né tra gli ultimi arrivati come Cina e India. E, del resto, se gli obiettivi di taglio delle emissioni rimangono “impegni nazionali” a rischio di non essere inseriti sotto un accordo vincolante (come vero e proprio Allegato) quello che rimane è sperare nella buona volontà dei Paesi di rispettare gli impegni presi e di verificarli ogni cinque anni. Del resto per chi non rispetta gli impegni non esistono sanzioni, ma la semplice vergogna internazionale che può diventare gogna solo a seconda delle reali dimensioni del Paese in questione. Un po’ poco, vista la posta in gioco di un accordo da molti definito “storico”.
La bozza di accordo finale del 9 dicembre è possibile scaricarla qui
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