L’Europa e il mondo si svegliano ogni mattina sotto un frastuono persistente di esplosioni, bombardamenti, attacchi. Sempre di più l’Europa appare invaghita, innamorata e affascinata dal linguaggio militare. Siamo ripiombati in una retorica nazionalista nella quale i buoni sono quelli che sostengono le armi e i cattivi quelli che difendono l’Articolo 11 della Costituzione italiana. Scrive Daniele Novara: “La leggerezza con cui si affronta questa situazione, spingendo sull’acceleratore dello scontro totale, della vittoria, come in tanti insistono, appare sconcertante, un vuoto di memoria, un richiamo alla resistenza che ha poco a che fare con i valori stessi della nostra Resistenza, dove la componente non militare, come ci hanno sempre ricordato, tra gli altri, Lidia Menapace e gli importanti libri di Ercole Ongaro, risultò decisiva…”
Armi. Armi. Armi. L’Europa e il mondo si svegliano ogni mattina sotto un frastuono persistente di esplosioni, bombardamenti, attacchi, missili e bombe di ogni genere. È la guerra, quella con la G maiuscola. Quella che avevamo lasciato sui libri di storia, quella che a volte abbiamo provato a immaginare attraverso alcuni film. Ricordo in particolare il tragico e drammatico Salvate il soldato Ryan che racconta lo sbarco sulle spiagge della Normandia il 6 giugno 1944, con le immagini crude della carne sulla sabbia. Quella guerra che l’Europa dell’Unione europea, che ha ricevuto il Nobel per la Pace nel 2012, non conosce e non frequenta da tre generazioni.
La nostra Europa che ha favorito al massimo la scelta dell’obiezione di coscienza per giungere poi a un esercito professionale con una funzione più di deterrenza che di minaccia. L’Europa che ha preso una strada decisa verso la pace senza guerra. Una strada che l’Italia ha formalizzato addirittura nella sua Costituzione con lo splendido Articolo 11: l’Italia ripudia la guerra. Ritroviamo questa Europa improvvisamente invaghita, innamorata e affascinata dal linguaggio militare: armi, armamenti, strategie, confini, eroi, bandiere, sacro suolo e sacra patria, attacco e contrattacco, eroismo, sacrificio, sangue sparso per la causa. Una retorica che si impone prepotentemente tramite un mezzo antico che sembrava archiviato: la televisione, quella generalista, che ha ripreso il sopravvento. Sono stati richiamati come opinionisti i Generali di ottanta-novant’anni pur che sapessero qualcosa di guerra.
Siamo ripiombati in una retorica nazionalista dove i buoni sono quelli che sostengono le armi e i cattivi quelli che difendono l’Articolo 11 della Costituzione.
Da una parte tutti, o quasi, dall’altra noi poveri pacifisti ormai in disuso.
Mai avrei pensato di dover tirar fuori la bandiera della pace o i miei libri degli anni Ottanta e Novanta sull’educazione alla pace. Ne avevo scritti tanti davvero. Non pensavo che ci saremmo rivisti alle marce per la pace dove l’età media, rispetto al pacifismo di quei tempi, è decisamente più alta. I ragazzi sembrano intimoriti, spauriti, confusi.
Molti di loro hanno passato gli ultimi due anni sui videogiochi, in genere sui classici “sparatutto” come Call of Duty, ma non solo quello. Videogiochi che non necessariamente preparano alla guerra, ma creano un immaginario che, nel momento in cui il videogioco si sovrappone alle immagini nude e crude della realtà, rende faticoso, per questi adolescenti, capire dove si trovano. Come se ci fosse un filtro, una nebbia che impedisce di leggere la situazione e di fare come quando eravamo giovani noi: scendere per le strade in milioni e chiedere la pace, subito. Azioni che, a loro tempo, portarono addirittura all’abbattimento senza alcuna violenza del muro di Berlino il 9 novembre 1989. È ampiamente riconosciuto che i movimenti per la pace di qua e di là dal muro furono decisivi in un cambiamento che nessuno storico e nessun futurologo aveva previsto.
Rimane, oggi, un’unica soddisfazione: tutti i sondaggi realizzati sull’opinione pubblica continuano a confermare che gli italiani sono contrari a diventare parte della guerra e ad alimentarla con l’invio delle armi. Ma nonostante questo, il Governo segue una sua strada, ritiene che la cittadinanza, in questo frangente, non vada consultata e che sia giusto così. Come se anche su questo versante l’immaginario della guerra prevalesse. Sembra di tornare a quando si diceva à la guerre comme à la guerre: si parte e basta.
Ci si arma, ci si organizza e ci si prepara all’austerità bellica. Il presidente del consiglio ha annunciato che i climatizzatori quest’estate saranno un lusso e probabilmente anche il riscaldamento in inverno. Difficile, dopo queste dichiarazioni, continuare a credere che l’Articolo 11 faccia ancora parte della nostra Costituzione e che noi non siamo in guerra contro la Russia. La Russia… la seconda potenza nucleare al mondo. Pare che Putin si sposti sempre con due assistenti che lo accompagnano con la micidiale valigetta di comando: il famoso grilletto nucleare che eliminerebbe l’intera specie umana.
Purtroppo, tanti politici hanno una conoscenza storica molto limitata. Potrei invitare Le iene a fare un test fuori dal Parlamento: A cosa associ la parola Nagasaki? Sarei curioso di sentire la risposta: una moto giapponese o la seconda bomba atomica sul Giappone? Che si andò ad aggiungere con migliaia di morti a quella di Hiroshima (la stima è difficile, ma dovrebbero essere più di 200 mila).
La leggerezza con cui si affronta questa situazione, spingendo sull’acceleratore dello scontro totale, della vittoria, come in tanti insistono, appare sconcertante, un vuoto di memoria, un richiamo alla resistenza che ha poco a che fare con i valori stessi della nostra Resistenza, dove la componente non militare, come ci hanno sempre ricordato, tra gli altri, Lidia Menapace e gli importanti libri di Ercole Ongaro, risultò decisiva.
Una amnesia storica che cancella le grandi esperienze di resistenza con la nonviolenza: Gandhi sembra il convitato di pietra nei nostri dibattiti televisivi così come il suo ispiratore teorico Lev Tolstoj. Il quale, purtroppo, ha un difetto: era russo, forse il più grande scrittore russo e teorico della non violenza evangelica.
Lo stesso Nazismo, di cui si blatera in continuazione con scarsa conoscenza storica, venne bloccato in Norvegia, in Danimarca e anche in altri Paesi europei, proprio grazie alla realizzazione di campagne di resistenza non violenta, basate sulla non collaborazione, sul boicottaggio e su forme di insubordinazione passiva. Nella storia troviamo tutti gli elementi per poter compiere scelte diverse da questa esaltazione aprioristica delle armi e del militarismo. Si può resistere in altri modi e si deve farlo perché l’Europa non è più, per fortuna, l’Europa degli imperi, quelli che si scontrarono nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale.
La Prussia non esiste più, cancellata dalle cartine geografiche e dai trattati diplomatici fra le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale perché ritenuta una concezione geopolitica foriera di tutto quell’orribile militarismo che aveva messo a ferro e fuoco la prima parte del nostro splendido Novecento.
Che altro si può dire? Che la povertà di ragionamenti in cui l’Europa tutta è incappata lascia veramente uno sbigottimento e un imbarazzo in chi ha vissuto le vicende degli ultimi decenni quasi una vera e propria regressione antropologica.
Ripongo la speranza in un ravvedimento politico, culturale, sociale e religioso, anche all’ultimo momento. Non ci salveremo con le armi e facendo la guerra a qualcuno, ma ribadendo i moderni valori di pace, di convivenza e di non violenza su cui si fonda la nostra Europa.
L’invito è a partecipare, il 24 aprile prossimo, alla Marcia Perugia-Assisi Fermatevi! La guerra è una follia, con la speranza che la voce di tanti potrà portare a ciò che già fu possibile quel 9 novembre 1989.
Daniele Novara è direttore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti (nel cui sito questo articolo è apparso con il titolo Io pacifista spiazzato e ostinato).
Nicola dice
Credo che l’Europa si sarebbe astenuta piacevolmente dal parlare di armi se non ci fosse stato un criminale che, ebrio da 23 anni di potere assoluto, ha deciso che l’unica prova di esistenza in vita della Russia sia contrapporsi (con una bella guerra vecchio stile) alle imperfettissime democrazie occidentali. Non c’è Russia senza Europa e non c’è Europa senza Russia. La Russia non merita di restare chiusa dentro un’immagine di se stessa che, posto che lo avesse prima, oggi non ha più alcun senso.