Chi non vuole essere governato trova nel libro Che cos’è la critica? di che respirare
L’auspicio di una ripresa di interesse per l’opera di Michel Foucault, in occasione delle recenti edizioni francesi dei corsi precedenti all’insegnamento al Collège de France, trova una prima concreta realtà nell’intelligente pubblicazione da parte della casa editrice DeriveApprodi della conferenza del 1978 Che cos’è la critica?, seguita da una conferenza fino ad ora inedita in Italia, tenuta a Berkeley nell’aprile del 1983.
Il testo sulla critica, già edito a cura di Paolo Napoli nel 1997 e seguito dalla discussione con i partecipanti della Societé Philosophique Francaise all’anfiteatro “Michelet” della Sorbona, è arricchito dallo scavo dell’archivio Foucault presso la Biblioteque National che, avvertono i curatori Andrea Di Gesù e Matteo Palleri, ha portato alla luce passaggi inediti tratti dai manoscritti che Foucault decise di non pronunciare.
Il secondo testo è la traduzione di una delle conferenze statunitensi degli anni Ottanta, seguita da tre dibattiti presso i dipartimenti di filosofia, storia e francese dell’Università di California, che costituirono materia del lavoro di Dreyfus e Rabinov, La ricerca di Michel Foucault, importante perché testimonia il passaggio delle generazioni foucaultiane al tornante del secolo.
La notizia non riveste solo un interesse filologico e ha una certa importanza per almeno due ragioni. La prima è che la questione della critica e la connessa questione dell’Illuminismo come a priori storico della modernità apre l’archeologia dei saperi ai ritorni non accademici dell’opera di Foucault nella dimensione sempre possibile delle resistenze e dei contrasti all’attualità del presente. La seconda ragione è che la linea operativa che corre lungo l’opera del genealogista dissolve la pretesa divisione in “fasi” separate dell’opera di una vita. Come scrivono giustamente Daniele Lorenzini e Arnold Davidson nell’Introduzione, il pensiero di Foucault si è trasformato mantenendo la stessa voce, il cui tono, aggiungiamo, fa ben percepire il nucleo infuocato delle relazioni tra saperi, poteri e soggetti. Questa costatazione mette al riparo la critica dai pretestuosi tentativi di lettura “liberale” dei Corsi, che, anche nel caso di queste due conferenze, si scontra con la lettera dei testi. Entrambe le ragioni ineriscono alla critica che disegna il perimetro di una speciale circoscrizione di metodo e che, oggi come ieri, assume il valore di una pratica. Il suo nome è archeologia del presente, una pratica in cui si raccoglie e si decompone l’archivio del mondo rovinato.
Incastonata tra il soggiorno in Giappone ove Foucault tenne diverse conferenze sull’analitica del potere e i reportage sulla rivoluzione iraniana per il Corriere della Sera, Che cos’è la critica? segna in qualche modo l’apogeo di metodo delle ricerche intraprese tra La volontà di sapere (1976), il primo volume della Storia della sessualità, e il terzo, La cura di sé, pubblicato nel 1984, e che è oggi accompagnato dalla pubblicazione di un quarto volume Le confessioni della carne, sulla “carne” cristiana, la verginità e il matrimonio, la cui stesura risale al 1980-’81.
La conferenza riporta l’insieme delle questioni del grande corso Sicurezza, territorio, popolazione (1978) alla decisiva trasformazione delle tecnologie di governo tra la metà del XVII e la metà del XVIII secolo, da cui emerge la nuova arte di governare basata sul calcolo, sulla razionalità economico-politica e sulla formazione di dispositivi disciplinari di sicurezza come la polizia, la demografia, il carcere, la ristrutturazione urbanistica.
A partire dal significato della critica Foucault dipana l’insieme delle ricerche che delineano una storia dell’attualità. È il campo di indagine dell’“ora”, del “chi siamo noi ora” del “che cos’è l’oggi”, ben presente in Kant ma dislocato rispetto all’Aufklarung, all’Illuminismo.
Il primo spostamento del fare critico consiste nella valutazione della storia in rapporto al pensiero, alla filosofia e alla conoscenza. La domanda intorno al presente, al “sapere cosa sta accadendo ora” e al “chi siamo noi ora”, è stato Nietzsche a porla, e lo ha fatto risalendo alla provenienza dei fenomeni storici, non a una presunta origine che sarebbe comunque inaccessibile al sapere. Nella prefazione all’edizione statunitense dell’opera maggiore del grande storico della scienza Canguilhem, Il normale e il patologico, Foucault indica nel “giornalismo filosofico” quel genere di critica in grado di praticare il pensiero nel “qui e ora” storico che, appena al di sotto dell’attualità, percorre e forma la soggettività. Lo sguardo genealogico attraversa questo campo in cui le forme di sapere-potere manifestano la verità soggettiva mentre fanno apparire regimi discorsivi che interrogano, discriminano, escludono.
Il secondo spostamento riguarda la domanda Che cos’è l’Illuminismo? alla quale Kant risponde che è l’uscita dallo stato di minorità del genere umano a condizione che il passo della modernità compiuto dalla ragione rimanga nei limiti della conoscenza. «Che ragionino quanto vogliono, purchè obbediscano» dichiara l’illuminato Federico II di Prussia. Per Kant il soggetto della conoscenza deve prevedere questi limiti e deve porsi la domanda: “Fino a che punto puoi sapere, senza pericolo, senza rischi?”.
Il terzo spostamento riguarda il criterio che differenzia le diverse epoche storiche della critica e che consiste nell’esercizio critico come scelta di vita, come forma di esistenza in cui si costituiscono le resistenze e le diserzioni. La critica è una pratica di vita nella presa di posizione assunta in rapporto alle forme di potere e ai regimi vigenti di verità. Questa assunzione è storica nel senso che dalle eresie e dalla a mistica nel medioevo alla Riforma, alle comunità pietiste nel XVII secolo, ai rivoluzionari, la critica dei poteri si è alimentata della cruciale domanda “come non essere governati?”. L’arte di non essere eccessivamente governati è la contro-condotta dell’arte di governo che si sviluppa tra la seconda metà del XVI e la seconda metà del XVII secolo, con le trasformazioni dovute all’aumento demografico, alla razionalizzazione dell’amministrazione e la calcolo del rapporto costi-benefici nella gestione economico-politica della popolazione. Come non essere governati? La questione del governo e non del potere, la governamentalità che ha forgiato le diverse tecnologie di potere, è oggetto della ricerca storico-politica in cui rinviene il panorama dei dispositivi di disciplina e di controllo che operano sia assoggettamento che soggettivazione. Da questo angolo visuale l’esercizio della critica è assunto nel profilo dell’inchiesta delle forme di potere; la critica assume «la funzione di disassoggettamento nel gioco che si potrebbe chiamare in una parola la politica della verità».
Nel corso del 1979-’80 Del governo dei viventi, Foucault conia un termine, anarcheologia, per formulare la questione del “non essere governati”. Se l’archeologia è la ricerca delle formazioni discorsive che manifestano la verità del potere in rapporto ai saperi, l’anarcheologia è la strategia che, partendo dal fatto che “il potere non va da sé”, che il potere non è necessario, chiede alla critica di destituirne il senso, di sospenderne i dispositivi, di costituire “sé” come soggetto etico, di resistenza, di contrasto, di sottrazione, di defezione. Essere critici è quella forma di vita in cui si è scelti per il sapere non per la conoscenza, in cui si sperimenta la trasformazione di sé attraverso la cura e in cui si orientano i rapporti tra soggettività e verità.
Dall’epoca greco-romana ad oggi, dalla “cura di sé” socratica alle “tecnologie del sé” ellenistiche e quindi cristiane fino ai processi moderni di soggettivazione filosofica, artistica, rivoluzionaria, il “sé” in questione non è l’individuo e “occuparsi di sé” non è ripiegarsi nella sfera privata, non è rinchiudersi nella prigione dell’io; al contrario, il “sé” in questione nella cura è l’insieme delle relazioni che costituiscono e destituiscono un’identità soggettiva ritenuta inscalfibile. Il “sé” in questione negli esercizi e nelle tecniche – meditare, pensare, scrivere, pregare, sognare, fare festa, cantare, suonare, amare, contestare, rivoltarsi – è una forma di vita in continua trasformazione.
Presso gli antichi la cura è una terapeutica dell’anima per raggiungere la sovranità su di sé; diviene poi rinuncia a sé nell’ascesi, quindi negli esercizi spirituali che dalle comunità cristiane trapassano nella chiesa medioevale che le canonizza; nella ulteriore trasformazione moderna la cura scompare, integrata in strutture di autorità con obblighi, coercizione, istigazione all’identità individuale, alla coscienza e alla sessualità.
Discipline che assoggettano e dispositivi di governo della vita, genealogia dell’etica e delle relazioni, decidono la servitù e la libertà, oggi imposta e sottratta a pratiche di liberazione. La lezione di Foucault è orientata a questo presidio. Leggerla e rileggerla, dentro e fuori dai luoghi di produzione del sapere è necessario per qualcosa più che prendere una boccata d’aria pura, come faceva lo “schizo” di Deleuze e Guattari. Chi vuole infatti può divenire un archeologo che si aggira in città; e chi non vuole essere governato trova in quell’opera di che respirare.
Lascia un commento