di Paolo Cacciari*
Due storie parallele di due cooperative agricole narrate da due libri editi quasi contemporaneamente da Altreconomia (Biologico etico, a cura di Brioschi e Lalia, e: Biologico, collettivo, solidale, a cura di Andreani) ripercorrono la storia del biologico in Italia prima che diventasse un world brand. La Terra e il Cielo nasce trentacinque anni fa nelle Marche e ha sede a Piticchio di Arcevia (Ancona), sulle splendide colline dell’Appennino. Iris, invece, è nel centro della “bassa” Pianura Padana. Nasce negli anni Settanta del secolo scorso, prende casa nella cascina Corteregona a Calvatone, Cremona. I due percorsi sono straordinariamente simili. Giovani amici “capelloni” che nell’onda lunga della rivoluzione culturale antiautoritaria del ’68 decidono di sperimentare forme di vita e di lavoro non disgiunte e coerenti: “zappatori senza padrone”.
Incominciano recuperando fazzoletti di terra acquisiti più o meno rocambolescamente e incontrano i promotori storici dei metodi di coltivazione naturale come Gino Girolomoni e Ivo Totti. La sfida è alta, racconta Bruno Sebastianelli, uno dei fondatori di La terra e il Cielo: “L’autosufficienza, la padronanza del sapere ciò che facevo e come realizzarlo”. Maurizio Gritta è tuttora il presidente di Iris: “Abbiamo fatto ortaggi biologici per primi, messo le siepi quando gli altri tagliavano gli alberi, questi sono tutti atti rivoluzionari”. La questione che dovrebbe fare riflettere economisti e politici è che queste emozionanti esperienze di lavoro, intraprese fuori e contro le “buone regole del business”, funzionano bene e sono replicabili.
Le ragioni del successo sono molte: una crescente sensibilità dei consumatori (dopo Chernobyl) che si organizzano attraverso varie forme di piccola distribuzione; un assoluto rispetto, sia etico che scientifico, nei riguardi della fertilità della terra che permette di raggiungere produzioni di qualità assoluta; una organizzazione aziendale interna fortemente coesa da comuni motivazioni e cooperante lungo l’intera filiera produttiva. Tutti valori che nessun marketing reputazionale potrà mai aggiungere ad aziende di stampo capitalistico. Oggi i rinomati marchi delle due cooperative coprono una vasta gamma di prodotti. Il loro modello di cooperazione ha permesso ai soci di dotarsi di impianti industriali per la conservazione, la trasformazione, il confezionamento senza essere catturati dalle logiche di mercato, rimanendo coltivatori diretti.
La produzione in proprio della pasta è la chiusura del cerchio della filiera cerealicola. Iris tra poco aprirà un nuovo biopastificio da 210 mila quintali/anno (tre volte la produzione attuale). Un terminale per una rete di produttori molto vasta. Ma soprattutto una fabbrica-comunità con asilo, museo, ristorante, biblioteca per il piccolo comune di Casteldidone (seicento abitanti). Non sia mai che le antiche idee di Adriano Olivetti non tornino a partire, non certo più dai computer, ma dalla terra.
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