Non c’è dubbio che gli interessi geopolitici delle potenze mondiali siano ancora capaci di finanziare e favorire guerre e conflitti sociali. La Siria, l’Afghanistan e altri Stati dilaniati stanno lì a dimostrarlo. Tuttavia la Guerra Fredda, quando ogni azione popolare del pianeta veniva attribuita a una delle due superpotenze, perché indebolendo un campo avvantaggiava l’altro, è finita da decenni. Oggi sostenere che ogni protesta sociale sia manovrata dall’esterno è un esercizio di dietrologia che sfiora la paranoia, quando non è usato in modo demagogico e strumentale solo per rafforzare il consenso di governi in difficoltà. Sta accadendo, ancora una volta, in modo sistematico con i leader politici dell’América Latina, dove l’ecuadoriano Moreno denuncia che le proteste sono frutto delle ingerenze del venezuelano Maduro, accusato, insieme all’eterna Cuba, dall’Organizzazione degli Stati Americani di sobillare rivolte ovunque. Sull’altro versante, c’è il regime del terrore di Daniel Ortega, che continua impeterrito ad attribuire a Washington la profonda avversione che gran parte dei nicaraguensi gli manifesta non appena ne ha la possibilità. Fino all’esplosione delle scorse settimane, anche il governo boliviano del Mas ha usato argomenti simili contro le proteste sociali. E, neanche a dirlo, quella di servire interessi antipatria è la prima delle accuse che fanno oggi ai sostenitori di Morales i nefasti esponenti dell’ultradestra che si sono auto-nominati suoi successori. Naturalmente, interessi e ingerenze esterni esistono eccome, ma l’elemento che più accomuna queste letture “strategiche” è l’incapacità di accettare il fatto che le persone siano capaci di manifestare la propria volontà e che i popoli non siano marionette i cui fili sono manovrati sempre dai grandi paesi o dai vari caudillos. Quel disprezzo elitario per l’autonomia della gente comune – che invece, per esempio in Cile ed Ecuador, si sta manifestando con evidenza – ha fatto e continua a fare danni incalcolabili
Tra i numerosi spropositi e le assurdità di tutti i tipi che girano in questi giorni, alcuni meritano di essere messi in evidenza perché rivelano un tipo di pensiero elitario. Di fronte all’ondata di ribellioni, tumulti e sollevazioni che sta attraversando il continente, i governi attribuiscono sempre ai loro nemici la colpa di fomentarle; la destra accusa la sinistra e viceversa. Gli uni e gli altri non riescono ad immaginare che la gente che manifesta lo fa di propria volontà e che i popoli non sono marionette i cui fili sono manovrati dai grandi paesi o dai vari caudillos. Sottovalutano l’autonomia esistente e riescono a vedere solo l’eteronomia, che esiste anch’essa, ma che non può in nessun modo spiegare le ribellioni in corso.
Il presidente dell’Ecuador, Lenín Moreno, accusa senza prove Nicolás Maduro e l’ex presidente Rafael Correa della rivolta che ha scosso il paese per 12 giorni. Ciò che è successo in questi giorni in Ecuador non è una manifestazione sociale di insoddisfazione e protesta contro una decisione del governo, no. I saccheggi, il vandalismo e la violenza dimostrano che c’è un’intenzione politica organizzata per destabilizzare il governo, ha detto Moreno. In questo modo crede di poter eludere i veri problemi del paese, che hanno fatto riversare centinaia di migliaia di persone nelle strade con rabbia inusuale, forzandolo a fare retromarcia sul suo pacchetto di misure ispirate dal Fondo Monetario Internazionale.
L’ineffabile Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), Luis Almagro, ha denunciato l’esistenza di un disegno di destabilizzazione che proviene dal Venezuela e da Cuba. I venti del regime bolivariano, alimentati dal madurismo e dal regime cubano, portano violenza, saccheggi, distruzione e un proposito tutto politico di attaccare direttamente il sistema democratico tentando di indurre interruzioni nei mandati costituzionali, ha detto Almagro il 24 ottobre scorso.
Il Dipartimento di Stato statunitense ha dichiarato che ci sono evidenti segni che alcune persone stanno usando il dibattito per fomentare il conflitto nei paesi sudamericani, principalmente attraverso l’uso e l’abuso delle reti sociali e di sobillatori, puntando il dito contro la Russia e i suoi alleati nella regione.
Sul fronte opposto il progressismo latinoamericano procede esattamente nello stesso modo. Il presidente del Nicaragua Daniel Ortega accusa Washington di ispirare le manifestazioni studentesche contro il suo governo e, incidentalmente, accusa di terrorismo coloro che sono scesi in strada contro il suo regime. Il governo di Vladimir Putin va nella stessa direzione e accusa gli Stati Uniti di destabilizzare i suoi alleati in America Latina, denunciando un nuovo disegno di ingerenze di ogni tipo in questioni interne, tentativi di colpo di Stato illegittimi, cambi di regime.
Il governo di Evo Morales attribuisce a Washington la crisi che sta attraversando la Bolivia a causa delle denunce di brogli durante le ultime elezioni, agendo così in modo simmetrico agli altri governi che accusano l’impero dei loro problemi.
La lista è interminabile e potrebbe persino essere retrodatata a crisi precedenti. Credo che questa logica abbia conseguenze nefaste per la gente. Si tratta di una sopravvivenza della guerra fredda, durante la quale qualsiasi azione popolare veniva attribuita ad una delle due superpotenze, poiché ogni indebolimento di un campo avvantaggiava l’altro. Se tale atteggiamento non ha scandalizzato durante la guerra fredda, adesso non ha nessun senso.
In primo luogo, questo modo di pensare, che antepone la geopolitica all’emancipazione, permette di schiacciare popoli, classi, generi e generazioni, poiché la loro lotta viene considerata come un ostacolo alla risoluzione della “contraddizione” principale (deleterio concetto di Mao), cioè quella che oppone le nazioni all’imperialismo e la classe operaia alla borghesia.
In secondo luogo, rivela una profonda incomprensione delle nuove realtà dei popoli. L’emergere dei popoli originari e del movimento femminista delegittima il colonialismo e il patriarcato e apre orizzonti di autonomia ai settori popolari.
Il rifiuto da parte dei popoli ecuadoriani di farsi usare dal governo di Lenín Moreno o dall’ex presidente Rafael Correa, è un segno di questo nuovo modo di posizionarsi nel mondo. Essi rifiutano che le fazioni politiche sfruttino le loro lotte, cosa che rivela maturità e consapevolezza.
In Cile le donne stanno realizzando i propri consigli autonomi, poiché cercano una profonda trasformazione economica, sociale, politica e culturale che non può trovare spazio solo in un cambio di governo, né tantomeno in un’assemblea costituente; in un momento di crisi politica, infatti, le donne e le dissidenze sessuali sono assalite dalla paura giustificata che si torni a lasciarle fuori.
Siamo di fronte ad una lotta al di sotto della lotta, al tentativo di ogni popolo e ogni settore della società di parlare per se stesso, senza mediatori né rappresentanti.
Fonte: “Un siquiatra para los geopolíticos”, in La Jornada, 08/11/2019.
Traduzione a cura di Camminardomandando
Giovanna Anceschi dice
Grazie Comune, argomento non facilissimo.
Mirco Pieralisi dice
Per un ragazzo del liceo che nel ’68 e nel ’70 aveva manifestato per Praga e per la rivolta operaia di Danzica e Stettino, per uno studente che si è sentito dare del provocatore manovrato nelle giornate dello straordinario ’77 bolognese, le parole di Zibecchi sono musica…
IforMediate dice
Un libro di quest’anno, Violenza ↔ Società (edito da Meltemi), si spiega proprio com la violenza svolga le funzioni di un intermediario, per esplicitare bisogni ed emozioni che, altrimenti, non si saprebbe come esprimere; e, d’altra parte, (paradossalmente) la violenza organizza la convivenza.