Fallito miseramente il farsesco tentativo di golpe orchestrato da Guaidò, con il sostegno di Trump e l’approvazione iniziale di molti “democratici”, il Venezuela è uscito dai riflettori dell’attenzione mediatica. Un certo clamore ha suscitato, però, a inizio luglio il Rapporto dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet. Raúl Zibechi, che denuncia da tempo lo scontro sanguinoso tra due élite venezuelane, così come la lotta tra i devastanti interessi geopolitici su Caracas e il disegno di una possibile “invasione degli aiuti umanitari”, spende oggi parole durissime contro gli “intellettuali” e gli esponenti della sinistra politica pronti a scagliarsi contro la ex presidente del Cile, colpevole oggi di fare il gioco dell’opposizione interna e internazionale a Maduro. Zibechi non nutre la minima simpatia politica per la Bachelet, e non è certo un fervente sostenitore del ruolo dell’Onu sui diritti umani (i cui documenti, tra le altre cose, ignorano quasi sempre le cause profonde delle violazioni esercitate), ma condanna duramente la reticenza di quella “sinistra” che separa i mezzi dai fini come l’etica dalla politica e, soprattutto, ignora la repressione popolare quando viene attuata dai governi che si dicono della stessa parte politica. Casi esemplari sono stati, ad esempio, proprio quello del comportamento del governo cileno di Bachelet con il popolo mapuche, oppure quello dell’orrendo Nicaragua odierno di Ortega. Un secolo di storia insegna che quella reticenza finisce per produrre mostri e danni profondi, duraturi e incalcolabili
Le sinistre e i progressismi egemonici non hanno mai criticato la ex presidente del Cile per le sue politiche nei confronti del popolo mapuche o per il suo allineamento con gli imprenditori neoliberisti. Durante i suoi due mandati presidenziali, Michelle Bachelet è stata invece severamente criticata per aver applicato la legge anti-terrorista nel conflitto tra lo Stato cileno e la nazione mapuche da parte dei relatori speciali sui diritti degli indigeni e dalle Nazioni Unite.
Adesso, sulla Bachelet, divenuta lo scorso anno Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, piove una cascata di critiche di “intellettuali” affini al progressismo per aver denunciato, con dati credibili, la violenza sistematica di un regime che, in media, colleziona 500 assassinii extragiudiziali al mese ad opera degli apparati di sicurezza dello Stato (e dei gruppi informali sostenuti da quegli stessi apparati). Il Rapporto firmato dalla Bachelet denuncia torture, detenzioni arbitrarie, violenza sessuale e l’uso di una forza eccessiva e letale contro i manifestanti che si oppongono al governo di Maduro.
Buona parte dei critici della Bachelet – per la quale non nutro la minima simpatía política – sono rimasti in silenzio quando venivano repressi i popoli ma adesso accorrono precipitosamente a difendere uno Stato e i suoi apparati repressivi. Lo fanno per ragioni geopolitiche, perché nei loro calcoli meschini il Venezuela è un pezzo chiave nella lotta contro l’egemonia statunitense nella regione sudamericana e nel mondo.
A rigore, va detto che non smentiscono nessuna delle affermazioni del rapporto, si limitano a screditare la persona che lo firma. Se collocare lo Stato avanti o sopra la gente comune organizzata in movimenti, è già di per sé grave, denigrare senza rispondere alle accuse rimanda a una storia ben nota dalle sinistre del mondo. È la politica che ha utilizzato Stalin, fino alla paranoia, contro i suoi avversari politici. Migliaia di comunisti e milioni di sovietici caddero nelle sue grinfie, con il silenzio complice dell’immensa maggioranza dei comunisti del mondo.
Si dirà che quelli di noi che si appellano all’etica come malta della política sono degli incorreggibili ingenui, destinati a cadere sotto i proiettili del realismo dei nemici. Quelli che sostengono questo argomento dimenticano, tuttavia, che le migliori tradizioni nel campo ribelle, e alcune delle sue creazioni più rilevanti, furono divorate proprio da un pragmatismo squallido che riuscì a trasformare le forze del cambiamento in oppressori capaci di screditare ogni tentativo di fare del mondo un luogo migliore.
I disastri dello stalinismo (dalla rivoluzione spagnola fino a Sendero Luminoso, pasando per i crimini su Roque Dalton e la comandante Ana María nel Salvador) non sono mai stati analizzati a fondo dalle penne mercenarie. C’è ancora oggi chi difende un violentatore e genocida chiamato Daniel Ortega, sempre con la scusa dell’imperialismo e altre stupidaggini.
Siamo di fronte a una svolta della storia che dovrà cambiare il mondo per sempre. Una via è segnata a fuoco dal conflitto tra nazioni imperialiste (Stati Uniti, Cina e Russia) che si contendono l’egemonia mondiale. L’altra è percorsa dalle femministe e dai popoli originari che, con il loro impegno anti-patriarcale e anti-coloniale, aprono brecce profonde nella dominazione.
Non si può stare con un piede in ognuna delle due vie. Quelli che hanno scelto il potere dello Stato e l’azione dall’alto o saranno messi in un angolo dai movimenti del basso o si trasformeranno, come in Nicaragua e in Venezuela, nei loro carnefici.
fonte: Brecha
Traduzione per Comune-info: marco calabria
Roberto Renzoni dice
Bell’articolo, principalmente in virtù di giudizi assai centrati sulla Bachelet, Ortega e Stalin sul quale, però, occorrerebbe diffondersi ben di più. C’è da dire che dopo la caduta di Allende, voluta da chi si sa, il Cile non ha mai avuto un governo di sinistra. Un capolavoro americano del premio Nobel Kissinger….. fino a che dura, le repressioni non sono eterne anche se si posson ripetere da parte chi chi prende il potere.
Nicola dice
Muy bien Raùl! Defender el terror de los gobiernos amigos solo porquè enemigos de nuestros enemigos, es un antiguo vicio. Tanto del imperialismo, cuanto de los presuntos antimperialistas.