Il 2024 è stato l’anno in cui la tormenta sistemica ha colpito nelle grandi città: le inondazioni hanno devastato la città brasiliana di Porto Alegre, mentre una tremenda alluvione ha messo in ginocchio Valencia: in entrambi i casi sono morte tantissime persone. Anche gli incendi hanno colpito le metropoli. “Non ci resta che dare l’esempio, diventare un punto di riferimento per quei milioni di persone che non hanno via d’uscita, che sono gli ultimi, che vivono nelle periferie delle città… – scrive Raúl Zibechi – Il miglior esempio che conosco è quello della Teia dos Povos durante le inondazioni di Porto Alegre: hanno organizzato carovane che hanno visitato 14 comunità delle periferie nere, indigene e urbane. Hanno aperto momenti di incontro e di riflessione, oltre a ospitare famiglie sfollate e a sostenerle con cibo e acqua, e nella ricostruzione delle loro case…”

Questo 2024 è stato caratterizzato dall’arrivo della tormenta sistemica nelle grandi città, cosa che di solito non accade, poiché i disastri solitamente si localizzano nelle zone rurali. Il volto più visibile della tempesta, senza considerare guerre o repressioni, sono stati gli incendi e le alluvioni.
Le inondazioni nel Río Grande do Sul hanno fatto crollare la città di Porto Alegre, provocando centinaia di morti e dispersi, colpendo 2,4 milioni di persone e 478 dei 495 comuni dello stato. È raro che le grandi città siano completamente allagate: la regione metropolitana di Porto Alegre conta più di 4 milioni di abitanti. L’aeroporto internazionale è rimasto chiuso per otto mesi, mentre centinaia di migliaia di persone sono state evacuate, rimaste senza acqua né elettricità. La tremenda alluvione che ha colpito Valencia, in Spagna, ha causato più di 200 morti e enormi distruzioni, a cui si aggiungono le inondazioni in diverse regioni dell’Asia.
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Se ci concentriamo sugli incendi in America Latina, i dati sono terrificanti. Solo in Brasile si sono verificati più di 50mila incendi che hanno interessato 37,5 milioni di ettari, ma i fumi tossici hanno coperto il 60 per cento della superficie del Paese, circa 500 milioni di ettari (più del doppio della superficie del Messico). Il Pantanal, la più grande zona umida del mondo, è stato gravemente colpito. La megalopoli di San Paolo, con 24 milioni di abitanti, è stata gravemente danneggiata dall’inquinamento provocato dagli incendi. In Bolivia è andata anche peggio, se si confrontano superficie e popolazione. Entro la metà dell’anno si sono registrate 36.800 epidemie che hanno devastato più di 10 milioni di ettari. In entrambi i casi si è registrata una progressione degli incendi rispetto agli anni precedenti. Gli incendi sono direttamente collegati all’espansione della frontiera agricola, dovuta al desiderio di accumulare di più e a una maggiore velocità. “C’è una dinamica di bestie sciolte, di bestie umane”, dice Silvia Rivera Cusicanqui. La sociologa boliviana allude alla foresta Chiquitano, che ha subito quattro incendi consecutivi, al punto che “non sappiamo più se sarà possibile che quella foresta un giorno si rigenererà”.
L’aumento delle persone che migrano è un’altra faccia della tormenta. Nonostante l’incredibile aumento degli arresti di migranti in Messico (nei primi cinque mesi del 2024 si sono triplicati), le carovane continuano a crescere in quantità e imponenza. È evidente che la mano pesante dei governi Morena non può superare la disperazione di milioni di persone, alimentata dalla miseria e dal clima.
Queste pennellate non bastano a dare un’immagine reale della tragedia, dell’insieme delle catastrofi che si sono già abbattute tra noi. La domanda più importante, per quanto riguarda la resistenza di coloro che sono in basso, è come le persone stanno affrontando questa situazione. Tutte le situazioni descritte sono direttamente collegate alla guerra di esproprio del capitale contro persone e popolazioni. Conosciamo tutti le cause dei disastri climatici, ma una volta passato il momento peggiore, le persone continuano con la loro normale vita di consumo e ulteriore consumo: non c’è la minima tensione per un cambiamento nel modo di vivere, tranne che per piccoli gruppi e poche persone. L’inerzia è più forte delle reazioni alla percezione del disastro. La seconda questione è che la maggioranza continua a fidarsi degli Stati. A Porto Alegre le forze armate si sono mobilitate per “salvare” alcune persone ma, soprattutto, per evitare che la disperazione provochi disordini. Si prendevano più cura della proprietà che della vita. Questo è ciò che accade quando non siamo organizzati, il che porta alla dipendenza dai potenti. Le popolazioni continuano a confidare, attivamente o passivamente, nello stesso sistema che sta distruggendo le loro vite. Data questa realtà, non esiste propaganda o argomento che possa modificare il comportamento.
Non ci resta che dare l’esempio, diventare un punto di riferimento per quei milioni di persone che non hanno via d’uscita, che sono gli ultimi, che vivono nelle periferie delle città intrappolati dalla speculazione immobiliare, uno dei volti peggiori dell’espropriazione. Il miglior esempio che conosco è quello della Teia dos Povos durante le inondazioni di Porto Alegre: hanno organizzato carovane che hanno visitato 14 comunità delle periferie nere, indigene e urbane. Hanno aperto momenti di incontro e di riflessione, oltre a ospitare famiglie sfollate e a sostenerle con cibo e acqua, e nella ricostruzione delle loro case. “Il diluvio viene utilizzato da chi sta al vertice per deterritorializzare, uccidere e trarre profitto. Razzismo ambientale e negazionismo… Ma guardiamo a noi stessi con la consapevolezza che neri, indigeni, poveri e lavoratori vivono questa disperazione da secoli” (teiadospovos.org). Si tratta di rafforzare i cuori collettivi. Come diceva Mãe Preta, donna anziana, quilombola: “Anche quando accadono cose brutte, il peggio non ci capita”. Semplicemente perché sono organizzati.
Pubblicato su La Jornada e qui con l’autorizzazione dell’autore. Traduzione di Comune. Raúl Zibechi ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura.
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