di Antonio Tricarico*
Sarebbe grave pensare che con le dimissioni della ministra Federica Guidi lo scandalo delle trivelle corrotte rimanga relegato alla Val d’Agri e alle aule processuali. Sin dal suo insediamento il governo guidato da Matteo Renzi è stato ossessionato dalla difesa delle trivelle e dei trivellatori, anche se tinti di corruzione, nazionale o internazionale che sia.
Nel settembre 2014, a pochi mesi dalla sua nomina ad amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi è finito sotto indagine da parte della Procura di Milano per corruzione internazionale nell’ambito della dubbia acquisizione della licenza petrolifera per il gigantesco blocco offshore OPL245 in Nigeria. Il baldo premier non aveva esitato a twittare subito la sua convinzione che avrebbe rinominato Descalzi senza alcun ripensamento, prendendosela poi con il protagonismo dei magistrati.
Peccato che da quel momento in poi sul caso Opl 245 si sia sviluppata un’indagine internazionale senza precedenti anche in Nigeria e negli Stati Uniti e che oggi l’Eni rischi di perdere la licenza, almeno a detta dei media nigeriani. E che il partner di (s)ventura Shell il mese scorso sia finito anch’esso sotto inchiesta dopo una spettacolare perquisizione del quartier generale all’Aja da parte delle autorità italiane e olandesi.
Appena insediato, il governo Renzi ha felicemente stretto la mano al presidente azero Ilham Aliyev, siglando con lui accordi per la costruzione del Corridoio Sud, che promette di portare il gas di Baku dal Mar Caspio alle coste del Salento, poste a rischio ambientale e non solo. Il testa a testa tra Renzi e gli amministratori pugliesi continua da quasi due anni tra aule di tribunale, incontri a porte chiuse e dichiarazioni al vetriolo, mentre tra la popolazione salentina lo scontento e la sfiducia nei confronti della macchina-Stato e di un concetto svuotato di democrazia sono in aumento. Dal 2014 la macchina repressiva del governo Aliyev si è rivelata in tutta la sua brutalità, incarcerando in maniera arbitraria centinaia tra giornalisti, avvocati e attivisti per i diritti umani. Inclusi quelli che avevano messo il naso nel sistema di scatole societarie usate dagli Aliyev per far rientrare nelle casse di famiglia i proventi di petrolio e gas estratti nel Paese.
Coincidenza del caso, proprio in questi giorni l’Huffington Post rivelava la sua indagine sulla Unaoil, veicolo registrato nel principato di Monaco della famiglia del presidente azero, che avrebbe facilitato una gigantesca corruzione internazionale. Eppure il governo italiano affida la sua sicurezza energetica ed emancipazione dal gigante russo violento e corrotto all’ “integerrimo e pacifico” Aliyev…
Proprio per costruire il Tap, ossia la sezione finale del gasdotto che arriva in Italia, il governo si è fatto forte delle clausole dello Sblocca Italia, andando contro la Regione Puglia e i comuni locali. Le stesse clausole di cui il compagno del ministro Guidi sembra si facesse bello con la multinazionale francese Total per incassare qualche contratto in più. La storia dell’oro nero – e del fratello blu gas, che non serve alla transizione ma ad arricchire le stesse cricche affaristiche tra industria, finanza, intermediari e affini, è sempre stata macchiata da corruzione, fondi neri e da tutto quello di poco lecito che rientra in una zona grigia sempre mai esplorata abbastanza. Come racconta bene il libro di inchiesta sull’Eni dal titolo “Lo Stato parallelo”, appena pubblicato a firma dei giornalisti Andrea Greco e Giuseppe Oddo.
Tuttavia il governo Renzi e le nuove classi dirigenti nostrane sembrano legarsi mani e piedi al grande gioco corrotto del petrolio, rischiando di affondare nelle dodici o più miglia in cui si ostinano a voler trivellare. Speriamo che sia solo l’inizio di una vera trivellopoli, che finisca così per lasciare nel sottosuolo il maledetto petrolio e i suoi simili.
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