L’arroganza del fronte che si oppone al ddl Zan mostra come le norme, imposte e interiorizzate, trasmesse inconsciamente di generazione in generazione e mantenute nell’immobilità delle leggi di natura, sono quelle che hanno garantito finora al sessismo una sorta di “invisibilità”. “Ma c’è un altro aspetto inquietante che è emerso, indirettamente – aggiunge Lea Melandri in riferimento ad alcuni interventi proposti in senato -, cioè lo scollamento tra ciò che si muove e che sta rapidamente cambiando nella vita delle persone e della società e il riscontro, mancato, nelle istituzioni…”
Anche se probabilmente non fermerà il difficoltoso iter parlamentare della legge Zan, la votazione che c’è stata in Senato il 27 ottobre 2021, segna comunque una battuta d’arresto e apre nuovi interrogativi sul variegato fronte che oggi si oppone a riconoscere il salto della coscienza storica del nostro Paese, per quanto riguarda i pregiudizi e le imposizioni di una millenaria cultura patriarcale.
Negli interventi della mattinata non poteva non stupire il richiamo alla minaccia che la legge Zan rappresenterebbe per la “libertà” di chi inneggia ai valori della famiglia tradizionale, alla naturalizzazione del destino del maschio e della femmina, all’imposizione dell’eterosessualità come norma e del ruolo della donna come moglie e madre, garante della continuità della specie e, in particolare, della “specie italica”.
SU DDL ZAN E MOVIMENTI LGBTQUI+: Come eravamo (Paola Guazzo e Roberta Padovano)
Pervertire l’uso di alcuni termini, sperando di volgere e usare a proprio favore le ragioni che hanno permesso alle vittime di liberarsi delle loro catene, è sempre stata l’arma con cui il potere ha legittimato le sue ritorsioni vendicative, le sue rappresaglie, i suoi orrori. Oggi si potrebbe dire che se ne fa un uso generalizzato, dai manifestanti contro il Greenpass a chi si oppone a una legge che dovrebbe, al contrario, garantire sicurezza da soprusi, discriminazioni e violenze.
La parola “libertà” si svincola dai suoi fondamenti storici per assumere il potere di un amuleto da sventolare davanti all’esercito nemico, e riportare, quasi per incantamento, la responsabilità del male su cui lo ha subito. Le norme, imposte e purtroppo interiorizzate, trasmesse inconsciamente di generazione in generazione e mantenute nell’immobilità delle leggi di natura, sono quelle che hanno garantito finora al sessismo una sorta di “invisibilità”, e oggi alle destre più vicine al fondamentalismo religioso, di contrabbandarlo come difesa di valori essenziali dell’umano. A chi sta sostenendo la necessità di una legge destinata a proteggere, più di quanto non si sia fatto finora, l’inviolabilità di donne, omosessuali, lesbiche e trans, e tutti gli atti che si possono riportare all’odio per un sesso considerato di “natura inferiore” o un orientamento sessuale catalogato come “deviante”, viene persecutivamente imputata la volontà malvagia di attentare alle sue scelte esistenziali e alle sue convinzioni. Nelle parole dei senatori contrari alla legge Zan, la paura che il riconoscimento delle “identità di genere” significhi di fatto aprire alle problematiche e all’educazione di genere le porte della scuola, è stata nominata in modo esplicito, così come è stato purtroppo innegabile il supporto che la posizione di alcuni gruppi e associazioni femminili e femministe hanno offerto alle peggiori destre del nostro Paese che siedono in parlamento.
A chi ha conosciuto il lungo percorso che ha portato il femminismo a svelare le tante “illibertà” che hanno fatto forzatamente e loro malgrado delle donne uno degli anelli di trasmissione delle legge dei padri, non può che apparire incomprensibile il fatto che venga scambiata una legge, che intende prevenire la misogina e tutte le forme consequenziali di discriminazione e violenza contro le soggettività che non rientrano nelle norme del binarismo sessuale, per una prevaricazione volta a cancellare il corpo delle donne e la storia dei diritti da loro conquistati. Che l’approfondimento delle analisi e delle pratiche politiche, volto a includere vite, come quelle Lgbtqui+, altrettanto segnate dall’odio, dal disvalore e dalla sofferenza che ne consegue, potesse fare ombra al femminismo, tanto da essere preso per una “cancellazione della donna”, si può ricondurre solo al maternalismo atavico che ha radici profonde nella nostra storia, all’identificazione della donna col corpo capace di procreare, a quel rapporto confuso tra sesso e genere che non ha mai smesso di attraversare il femminismo.
Ma c’è un altro aspetto inquietante che è emerso, indirettamente, solo da alcuni interventi, e cioè lo scollamento tra ciò che si muove e che sta rapidamente cambiando nella vita delle persone e della società e il riscontro, mancato, nelle istituzioni che dovrebbero dargli voce e rappresentarlo. La libertà oggi, che si tratti dei corpi, della salute, della sessualità, dei vissuti soggettivi, dei ruoli e delle identità di genere ereditate come “naturali”, dei rapporti familiari, parla di una cultura, per non dire di un modello di civiltà, che sta mostrando il suo retroterra di barbarie e il suo potenziale distruttivo, per l’umanità come per la natura. Da un salto della coscienza, così radicale e ormai acquisito, è difficile tornare indietro.
Pubblicato, con il titolo completo Hanno paura del genere perché temono a libertà su Il Riformista del 29 ottobre 2021 e qui con il consenso dell’autrice. Altri articoli di Lea Melandri sono leggibili qui. Su Archivio di Lea invece è consultabile un’importante patrimonio di storia e memoria del femminismo anni Settanta.
Nilœlfo dice
Senza parole. Ho partecipato a manifestazioni di piazza con il mio genitore (madre) fin da una tenera età. Ho avuto l’impressione in questi lunghi anni di essere un alieno tra individui che riconoscono solo l’arroganza e l’arrivismo. Questo da parte anche di donne che pretendono di rivendicare ciò che gli è dovuto a discapito di altri. Ho sempre rispettato la sensibilità altrui come umano, a discapito di una posizione lavorativa, ho permesso ad altri di realizzare la propria attività. Non ho lasciato indietro nessuno di coloro con cui mi sono relazionato, eppure ciò non toglie che qualcuno ci rimette (anche la vita) per il benessere di qualcun altro. Arrivederci Mondo