Nel corso del 2021, sono state oltre 28.000 le persone intercettate in acque internazionali dalla sedicente Guardia costiera libica e riportate a terra. Come denuncia l’OIM, la maggior parte di queste persone, dopo le prime formalità allo sbarco, alle quali in alcuni porti sono presenti anche le agenzie delle Nazioni Unite, viene fatta scomparire nel nulla. Oppure restituita ai trafficanti. Già nel 2017 una sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli, organizzazione della società civile, denunciava, a carico dell’Italia e dell’Unione Europea, la commissione di crimini di sistema contro i migranti configurabili come crimini contro l’umanità

1. Da anni le principali agenzie umanitarie come Amnesty International ed Human Rights Watch documentano gravissime violazioni dei diritti umani commesse sui migranti trattenuti in Libia, sui naufraghi “soccorsi” dai libici e riportati a terra, sulla stessa popolazione libica, senza che le autorità di Tripoli riuscissero a garantire sul terreno un brandello di diritti umani. Anche alcuni rapporti dell’UNHCR e dell’OIM hanno confermato nel tempo le violenze subite dalle persone di diversa nazionalità segregate nei centri di detenzione libici, violenze che proseguono ancora oggi. Gli accordi conclusi tra l’Italia ed il governo di Tripoli sono stati lo strumento di cui si è avvalsa l’Unione Europea per esternalizzare i controlli di frontiera ed impedire l’ingresso di potenziali richiedenti asilo. Ma le responsabilità italiane sono dirette. Dalla costituzione di un Comitato misto italo-libico, fino allo scorso anno, nessun politico italiano ha mantenuto le promesse per una revisione del Memorandum del 2017 nella direzione di un maggior rispetto dei diritti umani.
Nel 2017 una sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli, organizzazione della società civile, denunciava, a carico dell’Italia e dell’Unione Europea, la commissione di crimini di sistema contro i migranti configurabili come crimini contro l’umanità. Pochi anni dopo una sentenza della Corte di Assise di Appello di Milano e una successiva sentenza del Tribunale di Messina confermavano le torture subite da migranti che erano stati riportati nei centri di detenzione, come quello di Zawia, controllati dalle stesse milizie alle quali appartenevano esponenti della sedicente Guardia costiera libica da tempo collusi o direttamente partecipi nelle attività di smuggling. Sulle quali stanno adesso indagando le Nazioni Unite e la Corte Penale internazionale. Nel frattempo si avvicina la data fissata per le elezioni presidenziali in Libia, il 24 dicembre, e non si comprende ancora sulla base di quali regole costituzionali si voterà e si potrà poi eleggere (un mese dopo) un parlamento e quindi formare un nuovo governo.
I crimini contro l’umanità non sono necessariamente commessi in un periodo di conflitti armati o di guerra civile, ma possono essere effetto di scelte di governo che non impediscono la commissione di atti compiuti con l’acquiescenza delle autorità statali, come avviene in Libia, che si configurano come “attacchi diffusi e sistematici” a danno della popolazione civile , o di una sua parte rilevante, come la popolazione migrante presente nelle diverse regioni in cui risulta diviso il paese, e quelle parti della popolazione libica che sono state sistematicamente oggetto di persecuzione, al punto da dovere abbandonare i territori in cui abitavano.. Dunque vanno perseguiti non solo gli autori materiali, ma anche i governi che ne permettono la commissione. Tra gli atti che possono rientrare nella nozione di crimini contro l’umanità, se compiuti ai danni di una parte rilevante della popolazione civile, si comprendono : “omicidio; sterminio; riduzione in schiavitù; deportazione o trasferimento forzato della popolazione; imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale; tortura; stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità; persecuzione contro un gruppo o una collettività dotati di propria identità, inspirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di genere sessuale, o da altre ragioni universalmente riconosciute come non permissibili ai sensi del diritto internazionale, collegate ad atti preveduti dalle disposizioni del presente paragrafo o a crimini di competenza della Corte; sparizione forzata delle persone e ancora altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale”.
In base alla Decisione 2003/335/GAI del Consiglio dell’Unione Europea dell’8 maggio 2003 relativa all’accertamento e al perseguimento del genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, “il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, non devono rimanere impuniti e che la loro effettiva repressione deve essere garantita mediante provvedimenti adottati in ambito nazionale e attraverso il rafforzamento della cooperazione internazionale”. Nella posizione comune 2001/443/PESC del Consiglio, dell’11 giugno 2001, sulla Corte penale internazionale, gli Stati membri hanno affermato che i crimini che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale sono fonte di preoccupazione per tutti gli Stati membri, i quali sono determinati a cooperare alla prevenzione di detti crimini e a porre termine all’impunità di coloro che li hanno perpetrati. Queste previsioni non possono valere soltanto nei confronti delle persone che arrivano in Europa per chiedere asilo. Sono principi che vanno applicati anche nei rapporti tra gli Stati dell’Unione europea ed i paesi terzi. Esistono precise responsabilità che sono al vaglio della Corte Penale internazionale a carico dell’Unione Europea e degli Stati membri. “Per arginare i flussi migratori dalla Libia a tutti i costi … e al posto di operazioni di salvataggio e sbarco sicure come prescrive la legge, l’UE sta orchestrando una politica di trasferimento forzato nei campi di concentramento, come le strutture di detenzione [in Libia]dove vengono commessi crimini atroci“, si legge nell’atto d’accusa presentato da un gruppo di avvocati internazionali, tra i quali Juan Branco e l’avvocato israeliano Omer Shatz,
Rimangono inascoltati gli appelli del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa che da tempo chiede al governo italiano di sospendere la collaborazione con la sedicente guardia costiera libica , e oggi nessun partito politico italiano od europeo prende davvero le distanze dagli accordi con i paesi terzi che non rispettano gli obblighi di soccorso, il diritto di asilo ed i diritti umani.
2. Le responsabilità delle autorità libiche e dei paesi che le sostengono nella lotta contro la migrazione “illegale” permettendo nei fatti la commissione di crimini contro l’umanità si intrecciano con quelle derivanti dalla commissione di reati comuni. Il governo provvisorio di Tripoli e le milizie che lo sorreggono, incluse quelle che controllano il porto industriale e la base petrolifera a partecipazione ENI di Zawia, risultano sempre più coinvolte in attività criminali, oltre lo smuggling, anche il traffico di petrolio. Intanto si stima che almeno 6000 persone siano trattenute nei centri di detenzione ufficiali, mentre altrettante sarebbero sequestrate nei centri di detenzione “informali” alla mercé di milizie che li utilizzano come merce da rivendere sul mercato al migliore offerente. Per chi non ha i soldi per pagarsi un riscatto arrivano le torture più brutali e tutte le donne vengono sistematicamente stuprate, soprattutto quelle più giovani.
Nel corso del 2021, sono già state oltre 28.000 le persone intercettate in acque internazionali dalla sedicente Guardia costiera libica e riportate a terra. Come denuncia l’OIM, la maggior parte di queste persone, dopo le prime formalità allo sbarco, alle quali in alcuni porti sono presenti anche le agenzie delle Nazioni Unite, viene fatta scomparire nel nulla. Oppure, per meglio dire, restituita ai trafficanti. Per altri la sorte meno rischiosa è la sopravvivenza alle dipendenze di un “padrone” libico o la emarginazione ai bordi delle strade che portano alle coste dalle quali si tenta di imbarcarsi verso l’Europa. Ed è qui che trafficanti e scafisti, da non confondere, generalmente legati a reti etniche, costituiscono l’unica possibilità reale di fuga verso l’Europa. Perché di vie legali di fuga dalla Libia, in numero appena corrispondente al numero dei migranti considerati “illegali” in quel paese, ma potenziali richiedenti asilo, non ne esistono.
3. Una protesta durata diverse settimane davanti alla sede UNHCR di Tripoli, dispersa con la forza dalla polizia “diplomatica” libica, una milizia speciale addetta alla sicurezza delle ambasciate, non ha sortito alcun effetto e nessuna richiesta di evacuazione è stata accolta, salvo alcune decine di persone (93) particolarmente “vulnerabili” trasferite in Italia con un corridoio umanitario”, ed altre poche centinaia trasferite addirittura in Ruanda. Altre 3500 persone sarebbero state evacuate quest’anno verso il Niger, dove la situazione sul terreno peggiora giorno dopo giorno. In questo quadro, gli sforzi dell’Unione Europea, tramite l’agenzia Frontex ed i contributi economici, destinati agli stati costieri, come l’Italia e Malta, da riversare poi sugli accordi con i paesi terzi che non rispettano i diritti umani, sono stati rivolti esclusivamente al blocco dell’immigrazione “illegale”. Adesso, visto il fallimento dei tentativi di contenimento delle partenze dalla Libia fioccano i progetti per il controllo elettronico delle frontiere meridionali della Libia, e si instaura con i paesi di origine un clima di minaccia, se non di ricatto, qualora non riescano a fermare le partenze dei migranti.
Con il contributo economico delle Nazioni Unite, soltanto quest’anno, l’OIM ha riportato indietro dalla Libia nei paesi di origine altre migliaia di persone (oltre 50.000 dal 2015 a novembre di quest’anno. Nel 2019, mentre in Libia si accendeva il conflitto civile, l’UNHCR aveva chiesto l’evacuazione dei migranti intrappolati nei centri di detenzione, oggi questa richiesta non arriva. Sarebbe tempo che le Nazioni Unite, che da tempo indagano sui crimini contro l’umanità commessi in Libia, prendessero una chiara posizione con l’UNHCR e con l’OIM per garantire una evacuazione rapida da quel paese per tutte le persone che sono a rischio di subire torture o altre violazioni gravissime dei propri diritti fondamentali, senza fornire ulteriori albi alle politiche di esternalizzazione del diritto di asilo. Secondo la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo (art.14) ogni individuo ha diritto a fuggire da un paese nel quale viene perseguitato, e il principio di sovranità non può impedire che chiunque arrivi alla frontiera in territorio europeo, seppure dalle acque internazionali, possa presentare una richiesta di asilo senza essere considerato un migrante “illegale”. Il governo italiano invece, secondo quanto denunciato da Amnesty International “ continua, inoltre, a strumentalizzare la presenza di UNHCR e OIM in Libia sostenendo che tali agenzie siano in grado di offrire garanzie in merito al rispetto dei diritti umani in Libia, pur sapendo che non rientra assolutamente nelle loro capacità la possibilità di fermare detenzioni arbitrarie, torture, violenze sessuali, sparizioni forzate e sfruttamento nei centri di detenzione, né di chiudere i centri di detenzione o liberare le migliaia di persone illegalmente detenute negli stessi – poteri e responsabilità che spettano unicamente alle autorità libiche. Le stesse agenzie dell’ONU hanno ribadito chiaramente che il loro intervento umanitario non può sostituire la necessità di porre fine alla politica di detenzione arbitraria e a tempo indeterminato nei centri.”
La Libia non riconosce ancora la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, e già questo basterebbe a rendere illegali non gli attraversamenti del Mediterraneo ma gli accordi con il governo di Tripoli per riportare indietro le persone intercettate in acque internazionali. Come era stato già riconosciuto da una importante sentenza del Tribunale di Trapani che la Corte di Appello ha modificato, senza intaccare questo importante riconoscimento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria ad in giovane, minore non accompagnato quando era giunto in Italia per ragioni di soccorso dalla Libia, originario del Senegal, sulla base delle violenze subite in Libia, nel suo viaggio di avvicinamento al Mediterraneo. Eppure, malgrado questi importanti interventi della Giurisprudenza, il governo italiano continua a supportare la Guardia costiera libica, ed a trasferire sulle milizie che la controllano un fiume di denaro, anche per la manutenzione delle motovedette donate nel tempo al governo di Tripoli.
4. In questo quadro si registra il sostanziale disimpegno dell’agenzia Frontex, prima presente nel Mediterraneo centrale con diverse unità navali, ed oggi operativa in quest’area soltanto con assetti aerei che segnalano le imbarcazioni cariche di persone in fuga dagli “orrori inimmaginabili della Libia” (secondo le Nazioni Unite) alle motovedette libiche, che arrivano ad intercettarle in quella vasta zona di responsabilità di soccorso (SAR) che spetterebbe a Malta. Ma anche il governo de La Valletta ha stretto accordi con Tripoli per delegare ad un paese terzo quelli che sarebbero altrimenti considerati respingimenti collettivi, vietati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dal Quarto Protocollo allegato alla CEDU (art.4).
Per effetto della invenzione a tavolino della cd. zona SAR libica, dichiarata nel 2018, sono state abbandonate in mare ed hanno fatto naufragio, se non sono finite nei lager libici, migliaia di persone. La Guardia costiera libica è stata per anni coordinata, rifornita e formata da personale italiano ed europeo ( delle missioni Eunavfor Med Sophia ed Irini). Quelle stesse autorità marittime libiche che i precedenti ministri dell’interno italiano hanno lodato come alleati fidati sono oggi sul banco degli imputati con la pesante accusa di avere concorso alla commissione di crimini contro l’umanità, oltre che di reati ordinari come il contrabbando di petrolio e il traffico di persone. Sarebbero queste già ragioni sufficienti per denunciare gli accordi di collaborazione con la sedicente Guardia costiera libica. Alla vigilia di una scadenza elettorale dall’esito incerto, ed incerta persino nel suo svolgersi secondo regole legali, le autorità italiane rilanciano invece i loro rapporti di collaborazione con il governo di Tripoli sul fronte della lotta all’immigrazione “illegale” senza preoccuparsi minimamente della sorte che subiscono le persone intercettate in mare e riportate a terra dai guardiacoste libici, e senza alcun rispetto degli obblighi di coordinamento e soccorso in alto mare imposti dalle Convenzioni internazionali, Convenzioni che dovrebbero impedire ad un paese firmatario come l’Italia di collaborare con autorità marittime che non sono in grado di garantire né azioni immediate di soccorso, né tanto meno lo sbarco in un porto sicuro, al punto da consentire alle milizie che le sostengono la commissione sistematica di atti configurabili come crimini contro l’umanità..

5. Una grossa nave della Marina militare italiana, la San Giorgio, ha trasportato nel porto militare di Abu Sittah a Tripoli, già sede dell’operazione NAURAS, rientrante nelle attività operative in acque internazionali della stessa Marina militare, definite come operazione Mare Sicuro, alcuni containers che a detta dei giornalisti de la Repubblica conterrebbero una “unità antiscafisti” da consegnare ai libici. Di fatto si tratterebbe di attrezzature che permetterebbero ai libici di avere una Centrale di coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio in mare (MRCC), mentre fino ad oggi hanno operato soltanto con un Centro congiunto di coordinamento, definito JRCC, a seconda delle forze che potevano essere chiamate in soccorso e delle zone dove si verificavano gli eventi SAR. E fino al mese di luglio del 2020 il coordinamento principale avveniva da bordo di una nave della missione NAURAS (Capri, Gorgona ed altre) presente a turno nel porto militare di Abu Sittah a Tripoli. Si ha così l’ennesima prova che i libici non dispongono ancora oggi di una centrale di comando unificato (MRCC), siccome non esiste neppure una autorità statale che controlla l’interno territorio,. Dunque si ha la conferma che non ci sono le condizioni minime per il riconoscimento di una zona SAR ad un paese costiero. Fino a quando l’IMO continuerà ad essere complice del riconoscimento di una zona SAR “libica” che non è finalizzata al soccorso ma esclusivamente alla intercettazione di chi fugge dai lager gestiti dalle milizie ?
Dopo un anno di pausa, con un supporto più diretto fornito dal cielo ai libici dalle unità aeree di Frontex, che ha contribuito ad aumentare il numero delle persone intercettate dai libici in acque internazionali, proprio alla viglia delle elezioni ( se si terranno), l’Italia riafferma così la sua presenza militare in Libia, di nuovo in prima linea nella lotta contro gli “scafisti”, tanto utile in campagna elettorale, mentre prosperano indisturbate le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico all’ombra di rapporti privilegiati con il governo provvisorio.
Con la missione “segreta” a Tripoli affidata a nave San Giorgio, il governo italiano rafforza la sua collaborazione con le autorità libiche, con assetti operativi già previsti dai Protocolli operativi del dicembre 2007 ( governo Prodi), dal Trattato di amicizia Berlusconi-Gheddafi, dal Protocollo Cancellieri del 2012 ( governo Monti) e dal Memorandum d’intesa del 2017 firmato da Gentiloni con il precedente governo libico di Serraj. Resta da vedere che cosa permetteranno davvero di controllare le autorità turche, che di fatto sostengono il governo di Tripoli e sono presenti nei principali porti del paese, dispiegando un ingente quantitativo di mercenari, e quali saranno gli equilibri che si andranno a costituire in Libia dopo le scadenze elettorali, ammesso che si arrivi davvero a votare e non prevalga di nuovo il ricorso allo scontro armato. Di certo però, per ogni persona che sarà intercettata in mare e riportata indietro con il concorso sostanziale dei mezzi e del personale fornito dall’Italia, magari di nuovo con il coordinamento SAR italiano, con il sostegno economico dell’Unione Europea e con la sorveglianza elettronica dall’alto affidata all’agenzia Frontex, sarà sempre più chiara la catena delle responsabilità dei sequestri e delle torture che saranno inflitte alle persone rinchiuse nei centri di detenzione libici, mentre i governanti europei continuano a rinforzare soltanto gli strumenti repressivi da schierare contro i migranti in fuga, non certo per combattere con successo i trafficanti di esseri umani. Una risposta immediata e opposta arriva così dal governo italiano, rispetto agli appelli lanciati appena pochi giorni fa dal Papa a Lesvos, dove pure si verifica da tempo, seppure con modalità diverse, analoga sinergia repressiva tra le autorità greche e le Unità di intervento rapido alle frontiere esterne (RABIT) di Frontex.
I richiami del Papa contro la corruzione ed il furto di democrazia, legati alla moltiplicazione di muri e frontiere che mettono sotto critica le politiche di esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo, non saranno comunque dimenticati, anche se i governi europei, incluso quello italiano, continuano a non tenerne conto. I fronti di impegno sui quali i cittadini e le reti solidali continueranno a battersi sono molteplici. Soltanto l’apertura di canali legali di ingresso in Europa, anche con visti umanitari, e la evacuazione di tutti coloro che sono trattenuti in Libia contro la loro volontà, sia nei centri ufficiali che nei cd. centri informali, potrà garantire i diritti fondamentali delle persone migranti e un effettivo successo contro le organizzazioni criminali, sempre che venga meno qualsiasi sostegno loro offerto dalle autorità statali centrali.
Un contributo di Vittorio Alessandro, già Contrammiraglio della Marina militare italiana
#IlContainerDiNatale. Nave San Giorgio ha sbarcato a Tripoli un bel regalo da sistemare sotto l’albero. Secondo Repubblica (o chi ha suggerito al quotidiano questo pezzo insulso) con i misteriosi arnesi contenuti nei container spediti dall’Italia, la Libia potrà finalmente costituire un MRCC, un centro di coordinamento del soccorso in mare (“unità anti scafisti”, dice l’inqualificabile titolo).Dunque l’introvabile ufficio cui Italia e Frontex delegavano la ricerca e il soccorso non era un MRCC, chissà cos’era. Dice Repubblica che quella tana misteriosa potrà finalmente “incrementare la sicurezza della navigazione nel Mediterraneo e in particolare nel canale di Sicilia”, nonché “potenziare gli interventi della Guardia costiera di Tripoli anche nelle attività contro l’immigrazione clandestina” (com’è noto, le guardie costiere soprattutto a quest’ultima cosa si dedicano).Repubblica non sa che, per creare il MRCC italiano, è stato necessario ben altro che un container di Natale: elaborati sistemi di gestione del traffico marittimo, e non solo. Anni di sofferta esperienza sotto lo sguardo di una vigile magistratura e soprattutto una grande passione professionale: quella, per intenderci, che ti spinge a salvare vite umane senza mai guardare a chi appartengano.
Premesso che concordo con le conclusioni finali per cui solo l’apertura di efficaci canali legali può togliere potere ai trafficanti, vorrei precisare che in base alla normativa internazionale la dichiarazione di una Regione SAR può essere legittimamente fatta con atto unilaterale di uno Stato e non è soggetta a ratifica da parte dell’IMO: il rappresentante ufficiale dello Stato dispone di credenziali per inserire autonomamente i dati sul portale GISIS dell’IMO purchè rispettino determinati requisiti formali. Solo l’Assemblea dell’IMO (composta dai rappresentanti degli Stati!) e non già il Segretariato potrebbe contestare il mancato rispetto sostanziale dei requisiti previsti dalla Convenzione SAR.
Ciò detto, non va buttato il bambino con l’acqua sporca, perchè è l’uso strumentale distorto dell’area SAR – per fare intercettazioni camuffate da soccorsi – che va contestato, non già l’esistenza dell’area SAR in sè, che è comunque necessaria, perchè non naufragano solo migranti! Fermo restando che per assicurare un efficace soccorso in un’area così vasta non bastano certo 4 vedette d’altura! Più probabile, quindi, che il centro operativo mobile contenga soprattutto apparati telematici e di comunicazione in grado di assicurare contatti stabili con le unità della LCG e Marina libiche, ma anche per dirottare navi mercantili e ricevere direttamente informazioni da navi ed aerei Frontex, ENFM, ecc. Non è lo strumento cattivo in sè, ma l’uso che se ne fa!
Nel mio articolo non ho parlato di “ratifica” in senso formale della zona Sar “libica” da parte dell’IMO, ma della mancanza dei requisiti richiesti per la istituzione di tali zone, mancanza di requisiti operativi e di coordinamento che gia’ nel dicembre del 2017 costrinse i libici al ritiro della “notifica” all’IMO della cd. zona SAR “libica’ effettuata per la prima volta sei mesi prima. Zona Sar “libica” che venne notificata all’IMO una seconda volta nel giugno del 2018 e da allora ritenuta esistente dalle autorita’ italiane, che in base a documenti inoppugnabili, e con la missione Nauras a Tripoli, ne diventarono in parte corresponsabili, assumendo il coordinamento di operazioni di soccorso.
Questo per ricordare le modalita’ dell’invenzione a tavolino, perché di questo si tratta, della zona Sar “libica” che non e’ servita a salvare vite in mare, come le precedenti missioni Mare Nostrum e Triton di Frontex, nel periodo 2014-2015, ma a garantire intercettazioni e respingimenti collettivi in acque internazionali su delega italiana ed europea. Purtroppo gli unici dati certi vengono da articoli di stampa perche’ dal 2018 la Guardia costiera italiana non pubblica più i Report annuali con i quali in precedenza forniva informazioni sulle attivita’ Sar nel Mefiterraneo Centrale e non fornisce neppure le informazioni sulle operazioni di ricerca e salvataggio in acque internazionali, quando le svolge ancora, che sarebbero attivita’ dovute in base ai Piani nazionali Sar del 1996 e del 2020 ed al Manuale Iamsar.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/12/18/libia-rinuncia-alla-sar-nel-mediterraneo-adesso-litalia-dovra-fare-piu-salvataggi/4046662/