Milton Friedman, padre delle teorie neoliberiste, nella lettera intitolata “Protesta di un economista”, lo diceva con estrema chiarezza: le soluzioni governative a un problema sono solitamente cattive quanto il problema, spesso rischiano di peggiorarlo. Friedman predicava la religione della “libertà” dei mercati ma in una cosa non aveva certo torto: le componenti essenziali del problema non vanno confuse con le soluzioni. I rappresentanti dei 20 Paesi più industrializzati del mondo, riuniti in questi giorni a Roma con i loro banchieri, sono responsabili del 75% delle emissioni globali. Non indicheranno mai quella che è probabilmente la sola via per uscire dalla catastrofe ecologica in cui ci hanno cacciato: sono l’organizzazione sociale ed economica che devono adeguarsi alle leggi geo-bio-fisiche che regolano la vita sulla Terra. Loro proporranno altri rinvii e, tutt’al più, improbabili quanto artificiose e false soluzioni tecnologiche. La distruzione dell’ambiente è insita al modello industriale di produzione e consumo dominante, che considera la natura e l’ambiente non necessari alla vita ma all’accumulazione di denaro e capitali e che non sembra aver più alcun bisogno di consenso sociale. Per questo gli studenti, nella mattina di venerdì 29, i partecipanti al grande corteo di sabato 30, al Climate Camp e all’assemblea del 31 ottobre non potranno che recuperare l’idea e la pratica del conflitto. Dovranno però restare ben lontani dalle trappole (e provocazioni) che, immancabili, saranno tese per provare a ridurre la protesta alla dimensione neo-sanitaria dell’ordine pubblico, ma soprattutto dovranno rivolgere finalmente il conflitto non verso i falsi obiettivi creati ad hoc ai piani bassi della piramide societaria ma verso i cieli elitari del dominio e le eleganti nuvole del potere. Tutto si tiene nel capitalismo del nostro tempo, ma la narrazione corrente distrae, crea nuovi nemici e divide, mentre i rapporti di forza restano cristallizzati alimentando conflitti orizzontali

Alcuni fatti sono veri e propri sintomi, che descrivono una realtà sottostante che rischia di non essere visibile ai più, soprattutto nel momento in cui, in quest’epoca del just in time e della velocità digitale, le cose si manifestano e spariscono dalla memoria nell’arco di pochi giorni.
Nella società dell’on-off e del connesso-disconnesso, il pericolo è quello di non riuscire a unire i punti non potendo così arrivare a una diagnosi e, di conseguenza, a una cura adeguata. Ed è così che la morte di un lavoratore di settant’anni mentre controllava un tetto o di un giovane interinale di soli 22 anni, o di una lavoratrice uccisa di lavoro per aumentare la produzione dell’8% non si riescono a collegare con una crescita dell’occupazione sempre più precaria ed escludente per donne e giovani o con il recente attacco alle pensioni.
Succede che la tragedia di Catania e dei suoi eventi atmosferici estremi non venga inserita nell’analisi di un clima sempre più impazzito a causa di un’economia che continua a esternalizzare i costi, nonostante la COP26 di Glasgow sia alle porte dove già pare si ipotizzino soluzioni non all’altezza dei rischi che corriamo. O che la distruzione di posti di lavoro e la loro delocalizzazione verso zone a misura di profitto non si leghino a un’economia sempre più finanziarizzata, causa delle ultime crisi mondiali a cominciare da quella dei subprime.

Tutto si tiene, nel capitalismo 2.0. Ma se la narrazione corrente distrae, crea nuovi nemici e divide, i rapporti di forza rimangono cristallizzati alimentando un conflitto orizzontale. E in un periodo di shock economy post pandemica tutto questo porta a un’ulteriore redistribuzione dal basso verso l’alto.
Nonostante la normalizzazione forzata di questi anni però qualcosa sta sfuggendo ai calcoli, perché i graduali percorsi alimentati dalla convergenza delle lotte, delle vertenze, dalle donne e dagli uomini che hanno costruito alternativa e conflitto stanno riuscendo a mettere assieme i tasselli, ridando ordine alle cose.

A Genova, nel luglio 2021, quel quadro di insieme ha cominciato a comporsi e si è alimentato e si è rafforzato grazie a processi reali come la lotta degli operai Gkn a Campi Bisenzio e Whirlpool a Napoli, al graduale lavoro di connessione della Società della Cura, all’attivismo di migliaia di giovani dei Fridays for Future o di chi ha alimentato il Climate Camp o alla determinazione delle donne di piazza del Popolo del 25 settembre.
Roma il 30 ottobre sarà la prima tappa di passaggio verso quella saldatura ormai necessaria tra movimenti e soggetti sociali, perché a una globalizzazione complessa e alle politiche insostenibili che la sostengono va opposta una narrazione e un’agenda altrettanto articolata e complessa.
Il G20 è la dimostrazione plastica di quella insostenibilità, a maggior ragione nel momento in cui la presidenza italiana a guida Draghi sta accendendo i motori per rendere concrete le ricette che già nel 2011 spedì in lettera a busta chiusa e a doppia firma con Trichet al Governo italiano, con destinatario Berlusconi.

Il corteo di sabato e l’assemblea di domenica a Garbatella sono due passaggi obbligati per consolidare e ampliare le connessioni, per rilanciare tutte e tutti assieme una nuova stagione di opposizione sociale al Governo. Sciopero generale e mobilitazioni generalizzate contro la precarietà, per sostenere una legge sulle delocalizzazioni appena depositata in Parlamento e nata grazie al lavoro tra un collettivo di fabbrica e dei giuristi democratici, contro politiche che abbattono i salari e diminuiscono la sicurezza sul lavoro.
E per garantire che la transizione ecologica sia reale, concreta, capace di cambiare strutturalmente il sistema economico tutelando i diritti di lavoratrici e lavoratori.
L’asse del conflitto va spostato da orizzontale a verticale, spingendo tutti assieme come fratelli e sorelle in lotta e riannodando i fili di una trama ancora invisibile.
E’ necessario, ora più di prima, lasciare un segno. Il 30 e il 31 ottobre sono il primo passo in quella direzione, una prima tappa per condividere un’agenda di lotte capace di modificare profondamente la deriva di questo Paese.
Si mi sembra una analisi ben fatta tranne per il fatto gravissimo che non accenna minimamente alle migliaia di persone (dette una minoranza) che sta manifestando per il ripristino delle libertà di scelta e di cura e contro il ricatto sul lavoro e tutto quel che ne consegue. Tutto è legato e dovreste essere al fianco e solidali cin tutte le categorie che chiedono autentica democrazia ma se si rende volutamente invisibile una parte come qui accade allora perderemo tutti.
Condivido pienamente il pensiero di Mariagrazia
Da vaccinata convinta, condivido anch’io quello che dice Maria Grazia, facciamoli tutti i collegamenti!
Il sistema confonde, vuole disorientare il pensiero, il suo obiettivo è scambiare l’effetto con la causa. Parla di transizione ecologica, usa il “green” in ogni dove quando i sintomi della crisi ecologica sono appunto l’effetto della malattia sistemica. Se usasse il linguaggio appropriato dovrebbe parlare di transizione di sistema economico perché questa è la malattia. Tutto serve ad un bla bla bla inconcludente. Questo sistema economico produce merci non per soddisfare bisogni ma per soddisfare sempre più il bisogno di maggior profitto. Questo è la causa di una sempre più indiscriminata estrazione dall’ambiente aria, acqua, terra e nel contempo una sempre maggiore quantità di scarto nell’ambiente aria, acqua,terra. Il sistema economico che si è affermato negli ultimi due secoli ad un ritmo via via sempre più alto è come il cartoon ” L’apprendista stregone” di Disney. Nel cartoon il vero stregone interviene in tempo per evitare il tracollo. Qui non sarà certo il Cop 26 a risolvere!
Mi chiedo come sia possibile opporsi alle politiche neoliberiste draghiane senza affrontare una delle sue manifestazioni più discriminatorie come il green pass per il diritto al lavoro e istruzione. Lanciare slogan in piazza il sabato e poi sottostare a questa regola per fare l’assemblea di domenica mi pare profondamente perdente, non riesco ancora a capacitarmi di questa scelta politica da parte dei movimenti.
Prendo atto che questo spazio è diventato NO PASS e NO VAX
Scusa Marco, ma intanto essere contrari al lasciapassare “green”, che discrimina sul lavoro, quindi tocca la sopravvivenza delle persone, non significa essere novax ( infatti io sono vaccinata e farò anche la terza dose, in barba a chi non ha fatto neanche la prima chiaramente). Poi anche questa formula “no vax” mi pare usata in modo arbitrario, dato che il mondo di chi non si è vaccinato comprende situazioni diverse tra loro che non possono essere ridotte a un’etichetta.
Questo è un posto Libero.
Ti suona strana quella civile parola?
moondo.info/social-e-politica
Scusa Marco, ma intanto essere contrari al lasciapassare “green”, che discrimina sul lavoro, quindi tocca la sopravvivenza delle persone, non significa essere novax ( infatti io sono vaccinata e farò anche la terza dose, in barba a chi non ha fatto neanche la prima chiaramente). Poi anche questa formula “no vax” mi pare usata in modo arbitrario, dato che il mondo di chi non si è vaccinato comprende situazioni diverse tra loro che non possono essere ridotte a un’etichetta.
Specifico che “in barba a chi non ha fatto la prima” si riferisce ai paesi del mondo che non hanno i soldi per comprarli, i vaccini