Il report 2023 di Centri d’Italia redatto da ActionAid e Openpolis già nel titolo anticipa il risultato dell’inchiesta: “Un fallimento annunciato”. Nonostante sia stato diffusamente riconosciuto che il Sistema di accoglienza e integrazione sia efficace i migranti e per le comunità accoglienti, di fatto – soprattutto dal 2018 in poi – il circuito pubblico dell’accoglienza è stato svilito e stravolto sottraendo alle sue competenze persino l’accoglienza dei richiedenti asilo. Si è invece preferito rafforzare il ruolo dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) gestiti dalle prefetture favorendo le grandi concentrazioni di persone e tagliando i servizi. Gestioni poco trasparenti nell’assegnazione dei bandi pubblici per servizi alla persona e numerosi interventi normativi, uniti alla dichiarazione dello stato di emergenza, hanno agevolato l’utilizzo di procedure ristrette, se non proprio di affidamenti diretti.
L’indagine di Centri d’Italia oltre alla disamina dei centri di accoglienza, analizza i contratti pubblici con cui viene assegnata la gestione delle strutture che già in passato aveva evidenziato delle gravi criticità. Nel rapporto, tra l’altro, si legge: “Caos amministrativo, bandi deserti e ripetuti, crescita esponenziale degli affidamenti diretti che passano dal 35% nel 2020 al 66% nel 2023, per contratti da 83,1 milioni di euro nei soli primi 8 mesi del 2023 a scapito della trasparenza. Nel 2020 si fermavano a 16,3. Con un fatto inedito e preoccupante: nei primi mesi del 2023 sono stati 50 i bandi Cas per minori stranieri non accompagnati (nel 2020 erano solo 3). Un ritorno alle criticità riscontrate dopo il Decreto Sicurezza del 2018 ma senza nessuna emergenza rispetto agli arrivi: secondo dati del Ministero dell’Interno, infatti, le persone in accoglienza non hanno mai superato le 141mila persone nel 2023 (0,18% della popolazione italiana), e nel 2023 sono stati attivati solo 20/30.000 nuovi posti nei Centri. I decreti del Governo Meloni in materia di immigrazione e lo “Stato d’emergenza” hanno trasformato in legge le consuetudini illegittime che ledono i diritti delle persone e dei minori, facendo di prassi eccezionali nuove norme. A un anno di distanza manca ancora lo schema di capitolato che dovrebbe regolare i servizi e costi, così in assenza di indicazioni le prefetture agiscono arbitrariamente.”
Se non si fosse volutamente depotenziato il sistema pubblico di accoglienza, questa modesta quota di persone avrebbe dovuto trovare accoglienza nei comuni, diventare parte del tessuto sociale, produrre un impatto positivo sui territori accoglienti come ampiamente documentato dalle realtà ancora presenti sul territorio nazionale. È bene a questo punto ricordare come la presenza di migranti accolti dai comuni inseriti nel circuito SAI abbia ripopolato comuni destinati all’estinzione, riaperto scuole, dato la possibilità a giovani del territorio di lavorare nell’accoglienza e permettere agli ospiti di ricrearsi una vita dignitosa, trovare un lavoro e contribuire al benessere della collettività.
Nel circuito oggi noto come SAI sarebbero dovute approdare persone titolari e richiedenti protezione, e le prefetture avrebbero dovuto attivare centri straordinari (Cas) solo in via temporanea, a fronte all’indisponibilità di posti nel circuito ordinario.
Il sistema pubblico di accoglienza ha oltre vent’anni di storia ed è stato studiato e apprezzato in tutto il mondo: un sistema basato su una logica abbastanza semplice che prevede la distribuzioni di piccoli numeri di migranti sul territorio nazionale attraverso l’adesione volontaria dei comuni che si impegnano ad accoglierli nelle proprie comunità, fornendogli case e assistenza per un periodo limitato finalizzato alla completa autonomia delle persone. A fronte di costi contenuti, il ritorno sulle comunità è evidente: rispetto delle persone, inclusione sociale, miglioramento delle collettività. Oggi invece, spiega il rapporto ActionAid e Openpolis, si tende a legittimare una visione dell’accoglienza come concessione e non come diritto.
Lascia un commento