“Da tempo immemorabile gli oppressi e/o ignorati dai potenti si sono opposti ai detentori dell’autorità. Tale opposizione ha spesso cambiato le cose, ma solo a volte… – scrive Immanuel Wallerstein – L’anno scorso, di fronte alla realtà del successo di Trump, è emerso negli Stati Uniti e altrove un contro-movimento che ha assunto il nome di Resist. Gli aderenti hanno compreso che la sola cosa che può forse contenere e alla fine sconfiggere il trumpismo è un movimento sociale che si schieri per valori differenti e priorità differenti. Questo è il perché di Resist. Quello che è più difficile è il come di Resist…”. Due cose sono certe, secondo Wallerstein: “Qualsiasi movimento che speri di prosperare deve aiutare le persone a sopravvivere… Non esistono compromessi: non c’è una versione riformata del capitalismo che possa essere costruita…”
di Immanuel Wallerstein
Da tempo immemorabile gli oppressi e/o ignorati dai potenti si sono opposti ai detentori dell’autorità. Tale opposizione ha spesso cambiato le cose, ma solo a volte. Che si consideri virtuosa la causa degli oppositori dipende dai valori e dalle priorità individuali.
Negli Stati Uniti, nell’ultimo mezzo secolo, è emersa un’opposizione latente a quella che era considerata un’oppressione da parte delle élite che aveva attuato cambiamenti nelle pratiche sociali offensiva per certi gruppi religiosi e che aveva ignorato le popolazioni rurali e le persone la cui qualità della vita andava declinando. All’inizio l’opposizione ha intrapreso la via del ritiro dall’impegno sociale. Poi ha assunto una forma più politica, prendendo alla fine il nome di Tea Party.
Il Tea Party ha cominciato ad avere dei successi elettorali. Ma era disperso e senza una strategia chiara. Donald Trump ha colto il problema e l’opportunità. Si è offerto come capo unificatore di questo “populismo” di destra e ha catapultato il movimento nel potere politico.
Ciò che Trump ha compreso è che non c’era alcun conflitto tra il guidare un movimento contro il cosiddetto Sistema e perseguire il moderno attraverso il Partito Repubblicano. Al contrario, l’unico modo in cui egli poteva realizzare i suoi malefici obiettivi consisteva nel combinare le due cose.
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Il fatto che egli ci sia riuscito nella potenza militare più forte del mondo ha galvanizzato gruppi di analogo orientamento di tutto il mondo, che hanno proceduto a intraprendere percorsi simili con un numero costantemente crescente di aderenti.
Il successo di Trump è ancor oggi non compreso dalla maggioranza dei leader di entrambi i partiti statunitensi dominanti, che cercano segnali che egli diventerà quello che definiscono “presidenziale”. Cioè vogliono che egli abbandoni il suo ruolo di leader di un movimento e si limiti a essere il presidente e leader di un partito politico.
Si attaccano a ogni piccolo segnale che lo farà. Quando ammorbidisce per un momento la sua retorica (come ha fatto nel suo discorso del 28 febbraio al Congresso) non capiscono che si tratta esattamente della tattica ingannevole del leader di un movimento. Invece si sentono incoraggiati o speranzosi. Ma egli non rinuncerà mai al suo ruolo di leader di un movimento perché il momento in cui lo farebbe egli perderebbe il potere reale.
L’anno scorso, di fronte alla realtà del successo di Trump, è emerso negli Stati Uniti (e altrove) un contro-movimento che ha assunto il nome di “Resist” [resistere, opporsi, ndt]. Gli aderenti hanno compreso che la sola cosa che può forse contenere e alla fine sconfiggere il trumpismo è un movimento sociale che si schieri per valori differenti e priorità differenti. Questo è il “perché” di Resist. Quello che è più difficile è il “come” di Resist.
Il movimento Resist è cresciuto con rimarchevole rapidità, a volte in modo così impressionante che la stampa convenzionale ha cominciato a parlare della sua esistenza. È questo il motivo per cui Trump inveisce costantemente contro la stampa. La pubblicità alimenta un movimento e lui sta facendo quello che può per schiacciare il contro-movimento.
Il problema di Resist è che ancora in uno stadio in cui le sue molte attività sono disperse e prive di una strategia chiara o almeno di una strategia che sia già stata adottata. Né vi è alcuna figura unificante che sia in grado a questo punto di fare quello che Trump ha fatto con il Tea Party.
Resist si è impegnato in una molteplicità di iniziative diverse. Ha tenuto marce, contestato rappresentanti locali al Congresso nelle loro riunioni pubbliche, creato rifugi per persone minacciate di espulsioni ordinate dallo stato, interferito con trasporti, pubblicato denunce, firmato petizioni e creato collettivi locali che si riuniscono sia per studiare sia per decidere altre iniziative locali. Resist è stato in grado di trasformare molte persone comuni in militanti per la prima volta nella loro vita.
Resist ha tuttavia di fronte alcuni pericoli. Un numero sempre maggiore di partecipanti sarà arrestato e incarcerato. Essere un militante è duro e dopo un po’ molti si stancano. E c’è bisogno di successi, piccoli o grandi, per mantenere alto il loro spirito. Nessuno può garantire che Resist non svanirà. Al Tea Party ci sono voluti decenni prima di arrivare dov’è oggi. A Resist può volerci altrettanto tempo.
Ciò che Resist, come movimento, deve tener presente è il fatto che siamo nel mezzo di una storica transizione strutturale dal sistema mondiale capitalista in cui abbiamo vissuto negli ultimi circa cinquecento anni a uno di due sistemi successivi: un sistema non capitalista che conservi tutte le caratteristiche peggiori del capitalismo (gerarchia, sfruttamento e polarizzazione) e il suo contrario: un sistema che sia relativamente democratico e ugualitario. Definisco questa la lotta tra lo spirito di Davos e lo spirito di Porto Alegre.
Stiamo vivendo nella caotica e disorientante situazione della transizione. Ciò ha due implicazioni per la nostra strategia collettiva. Nel breve termine (diciamo fino a tre anni) dobbiamo ricordare che viviamo tutti nel breve termine. Desideriamo tutti sopravvivere. Abbiamo tutti bisogno di cibo e di un tetto. Qualsiasi movimento che speri di prosperare deve aiutare le persone a sopravvivere appoggiando qualsiasi cosa minimizzi le pene di coloro che soffrono.
Ma nel medio termine (diciamo venti-quarant’anni) minimizzare la sofferenza non cambia nulla. Dobbiamo concentrare la nostra lotta contro quelli che rappresentano lo spirito di Davos. Non esistono compromessi. Non c’è una versione “riformata” del capitalismo che possa essere costruita.
Dunque il “come” di Resist è chiaro. Abbiamo collettivamente bisogno di maggior chiarezza riguardo a ciò che sta succedendo, di una scelta morale più decisiva, di strategie politiche più sagaci. Sono cose che non arrivano automaticamente. Dobbiamo costruire l’insieme. Sappiamo che un altro mondo è possibile, sì, ma dobbiamo anche essere consapevoli che non è inevitabile.
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