di Daniela Novara*
“Curare con l’educazione” non è stato solo un convegno. Non è stato solo un grande evento scientifico e culturale (promosso a Milano, lo scorso 8 aprile, dal Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti). E neanche solo un momento straordinario di incontro fra persone che hanno dei sogni per i loro bambini e ragazzi e sono stufi di tenerli nel cassetto. Abbiamo vissuto un’esperienza che segna un nuovo inizio nel mondo dell’educazione.
Comunque vada, qualsiasi legge continui a tediare le nuove generazioni con diagnosi e screening invasivi, abbiamo rotto l’incantesimo che vuole i bambini di oggi sempre più malati e bisognosi di terapie nell’ambito emotivo e cognitivo. Il muro delle etichette, delle diagnosi oscure e minacciose, si è finalmente disgregato alla luce di voci di scienziati autorevoli come Michele Zappella e Alberto Oliverio, di pedagogisti come il sottoscritto, Susanna Mantovani e Milena Santerini. Ma specialmente grazie alle testimonianze raccontate da me, Marta Versiglia e Lorella Boccalini, che, nell’emozione collettiva suscitata, hanno rivelato come i bambini, aiutati bene, siano riusciti a tirarsi fuori dai guai, a liberarsi dai binari rigidi delle diagnosi a tutti i costi.
Sostenere i genitori per una buona educazione dei loro figli è stata fra le mosse più importanti.
Con estremo interesse ho ascoltato Michele Zappella, il decano dei neuropsichiatri infantili italiani, chiarire che
“la diagnosi di dislessia spesso cala come un’etichetta irreversibile su bambini che hanno invece solo delle difficoltà nel leggere. Questa epidemia di dislessia fa pensare a quello che successe decenni fa con le classi differenziali che finirono semplicemente col raccogliere i bambini con difficoltà sociali e culturali piuttosto che con vero ritardo mentale. Anche per l’autismo, in un modo non troppo diverso dalla dislessia, una realtà complessa con forme reversibili e casi d’altro genere, viene fatta passare per un disturbo irreversibile”.
Mi soffermo su Zappella per la fonte da cui provengono queste parole che le rendono particolarmente autorevoli. Dobbiamo costruire una nuova storia. Bambini, genitori e insegnanti si meritano ben altro che questa incredibile aggressività diagnostica dove l’immaturità evolutiva non viene più vista come tale ma come malattia vera e propria.
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I bambini e i ragazzi, il più delle volte, hanno semplicemente bisogno per crescere di tutto il tempo necessario e di disporre di una buona educazione.
Iniziamo allora a opporci agli screening indiscriminati e alle facili scorciatoie diagnostiche: i bambini vivaci sono normali e quelli distratti hanno tempi di attenzione diversi dalle pretese adulte! Non facciamo la guerra all’immaturità infantile e adolescenziale perché imparare a vivere è un’impresa bellissima che si nutre di fiducia, rispetto e apprendimento.
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* Direttore del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti, cppp.it (dove è stato pubblicato questo articolo, con il titolo originale completo Infranto il muro delle etichette psichiatriche ai bambini)

Grazie, bellissimo articolo e soprattutto vero in ogni parola.