Cos’è un laboratorio in ambito pedagogico-didattico? Quali sono i suoi soggetti e i suoi oggetti? Cosa suggeriscono il pensiero e le esperienze di Maria Montessori ed Emma Castelnuovo? In questo articolo Renata Puleo parte da quelle domande per proteggere un barlume di pensiero critico nell’alluvione digitale che sta investendo l’apprendimento, allargando le strade del dominio del lavoro, con il Pnrr-Scuola 4.0
Cos’è un laboratorio? La domanda risulta legittima alla luce di due considerazioni. La prima concerne gli usi linguistici in ambito educativo e scolastico di molti vocaboli con statuto concettuale a equilibrio instabile, con accezioni attinenti a diversi contesti e retroterra culturali, storici, di ricerca. La seconda riguarda l’evasione di alcuni concetti verso una sorta di gergo digitale della scuola. Scuola che, da oltre vent’anni, subisce l’ispirazione valoriale-pedagogica e strumentale-didattica del modello socioeconomico neoliberista (in Italia sia di matrice angloamericana, sia ordoliberista). I due aspetti celano e svelano il cambiamento profondo, le derive istituzionali dell’impianto della scuola pubblica (istituzione atta ad assolvere le funzioni di organo costituzionale secondo gli artt, 33, 34 della Carta), che oggi percolano dal Piano del PNRR, Missione 4.01.
Laboratorio, dunque. “Locale attrezzato per scopi determinati”, recita in prima accezione il Vocabolario De Mauro. Risalendo all’etimologia troviamo il lavoro, il metabolismo uomo-natura funzionale alla sopravvivenza, gli strumenti del lavoro elaborati nei millenni del percorso di umanizzazione, fra tecniche/tecnologia/cultura del lavoro ed educazione come riproduzione sociale. Gli slittamenti semantico-funzionali, storici, in ambito pedagogico-didattico inducono a considerare altre sfumature, ad esempio i concetti di sfondo integratore, contesto, ambiente. Lo sfondo integratore ha, grosso modo, due dimensioni: una culturale riguardante l’inclusione nella comunità-classe di tutti gli stili e le differenze espressi dai suoi attori, un’altra relativa all’inter-trans-disciplinarità, al dialogo fra ambiti epistemologici differenti, la cui tenuta è garantita dalla Lingua (come recitano anche le dieci tesi del Gruppo Giscel)2. Fra le innumerevoli occorrenze di contesto è utile quella di campo di azione: luogo fisico e situazione in cui si muovono attori la cui specificità di scopo appare grazie a segnali di contesto (oggetti, regole che abitano quello spazio: in un’aula scolastica, banchi, lavagne, materiali didattici, e norme di comportamento implicite, esplicite) 3. Per la parola ambiente, oggi assai abusata dalla neolingua digitale, si può risalire alla definizione che ne diedero Arnold Gehlen, e lo zoologo ed etologo Jakob von Uexüll, in opposizione a mondo: l’homo sapiens si muove nel mondo, esonerato dagli istinti può superare la ristrettezza degli ambienti; pur abitandoli per convenzione sociale, può ricrearli, può giocare con campi d’azione fantastici, può cambiare regole, strumenti, relazioni interindividuali4.
Il laboratorio, nella declinazione della Missione 4.0 del PNRR, è l’ambiente di apprendimento che scardina la classe tradizionale (con i segnali di contesto classici di cui su) in “ecosistema di interazione, condivisione, cooperazione, capace di integrare l’utilizzo proattivo delle tecnologie […] in un continuum fra scuola e il mondo del lavoro”. Potrei dire che lo sfondo integratore è qui il Discorso del Capitalismo Cognitivo che lega “robotica e automazione, intelligenza artificiale, cloud computing […] internet delle cose” in un ibridismo volutamente oscuro. Nel testo, la connessione fra Laboratorio, Lavoro, Strumenti e Scuola impone l’addestramento come adattamento passivo delle creature piccole alle richieste performanti, verso la competenza futura, l’insieme delle abilità atte a “prototipare” (sic), di cui il Maestro Pioniere e la casta dei tecnici sono il modello.
Considerata questa sommaria rassegna semantica sul Discorso della Missione 4.0, provo a riposizionare il concetto di laboratorio. Un luogo laboratoriale educativo (cantiere? bottega artigianale? biblioteca? aula?…) è abitato da soggetti e da oggetti mediatori, la cui mediazione è funzionale alla produzione di saperi di praxis (in un circuito fra teorie, ipotesi, esperimenti, prove-ed-errori, riformulazioni logico-discorsive, teorie). Mediare è mettere in relazione soggetti-oggetti-soggetti, in rapporto epistemico ed ermeneutico5.
I soggetti: in diverso ordine per esperienza (quel che si sa, come doxa e come episteme, nella consapevolezza della loro esposizione al rischio, all’errore) e per expertise, per saperi riconosciuti (che, nel gruppo, competono per funzione all’insegnante). Nella scuola ridisegnata dal Discorso della Missione 4.0, è sottesa la vulgata dell’apprendimento naturale, dell’attivismo, del sapere autogenerantesi, interpretazione volgare, poco attenta ai riferimenti teorici. Il paradosso è che la libertà del soggetto conoscente (l’alunno che si attiva e crea il suo sapere) dipende totalmente dalle disposizioni del dispositivo macchinistico, sotto lo sguardo di un adulto sorvegliante/funzionario, garante delle regole di funzionamento.
Gli oggetti: nella relazione, nel luogo della mediazione, troviamo, da quando esiste qualcosa che chiamiamo “insegnamento intenzionale”, una miriade di apparati, di artefatti, oggetti fatti ad arte per poter insegnare, perché possa imprimersi il segno che produce e rivela un cambiamento nella creatura piccola, giovane. Una traccia capace di ritornare sempre verso l’adulto, perché osservi, valuti la qualità trasformatrice di quella impressione e ne possa trarre motivi per correggere il proprio lavoro educativo.
La mediazione soggetto/oggetto operato da apparati e artefatti, è particolarmente forte in Maria Montessori ed Emma Castelnuovo. Le cito fra i tanti Maestri e Pedagogisti, alcuni oggi celebrati fuor di misura, perché furono studiose capaci di quel lavoro transculturale che fa dialogare i formalismi della matematica con tutto quello che è sapere umanistico e sapere pratico per la vita activa (nel suo significato politico del saper stare al mondo criticamente)6. Modelli ancora oggi capaci di orientare il lavoro di molti docenti.
In Maria Montessori l’oggetto, sia vero, sia simulato (una scarpa da allacciare e una piastra con tanti tipi di legamento su cui esercitare la manualità fine che serve allo scopo), ha il suo punto di convergenza fra gioco e funzionalità. Giocare con un oggetto d’uso, giocare a “fare quel che fanno i grandi” con le cose, è nutrire la potenzialità immaginativa ed è scoprire le caratteristiche fisiche della relazione mano-strumento, entrambe forme di emancipazione della mente, del gesto, della parola. È mettersi nell’ordine delle concatenazioni simboliche con cui si costruiscono i saperi, e li si mette a rischio (qualcosa si rompe, smette di funzionare, si ripara, si converte ad altro uso, danneggia-ferisce, fra conservazione ed entropia dei materiali e delle conoscenze). Fra i tanti oggetti che popolano un’aula montessoriana c’è anche il libro, oggetto di raffinata tecnologia che si impara a sfogliare con il cartonato, che si ascolta, si legge, con il quale si immaginano mondi7.
Se con Maria Montessori il lavoro si situa all’inizio dell’età evolutiva, e dunque parliamo dei proto-apprendimenti della scuola dell’infanzia e dell’avvio al disciplinare nella primaria, con Emma Castelnuovo entriamo nel vivo delle scienze come discipline. Un artefatto del suo vastissimo laboratorio serve a vedere una sezione aurea e a capirne la formula, a concepire il calcolo della superficie di una sfera, il significato del π, il p greco, come convenzione per l’area del cerchio, non solo come nozioni ma come materiale concettuale indispensabile per fare i conti con il Mondo che abitiamo.
Tutti questi apparati, artefatti, oggetti, strumenti, acquistano al loro potenza euristica se stanno dentro robusti saperi disciplinari di cui può disporre solo un insegnante sufficientemente bravo. Un insegnante che non si dedichi a fare il manovale/funzionario della macchina, che non si dedichi alla sola comunicazione funzionale, alla caccia di informazione nello schema semplice emittente-canale-ricevente, ma che pratichi e insegni la relazione fra viventi, umani e non, fra viventi e macchine, che sappia evitare l’incantamento, l’effetto alone della tecnicità, dell’esattamento che fa della macchina una estroflessione protesica. L’exaptation, l’adattamento di un organo a una funzione a cui inizialmente non era preposto, nel nostro caso si può applicare a un computer che diventa un organo integrato nel funzionamento cognitivo di un soggetto, del suo stesso corpo, protesi su cui, appunto, estroflettere gesto e significati8.
Per concludere. Nominare, curiosare, condividere, tradurre lingue e linguaggi. Tra i grandi gruppi e le piattaforme non-profit, fra l’ambiente cibernetico di cui farnetica la Mission 4.0, c’è un problema di scala e uno di strategia9. Come suggerisce la galassia dei gruppi hacker, la possibilità di contrastare la potenza dei colossi che sono a monte della digitalizzazione della scuola, sta nella capacità di fare traduzioni dal linguaggio-macchina a quello umano, nel luddismo riflessivo che sa disfare, disfarsi, ricomporre10. Rimane a me una domanda: per deterritorializzare il luogo fisico e simbolico occupato dal nuovo macchinismo basta l’approccio conviviale come proposto dai suddetti gruppi di attivisti?11 A quali rischi comunque espone fare convivio con le nuove tecnologie? La scuola forse va detto, è luogo sacro, luogo separato. Ad essa va posta l’attenzione che poniamo prendendoci cura delle creature piccole, dei fragili, la sollecitudine della messa a riparo delle loro caratteristiche dall’invasività dell’interesse adulto. Ma non so se è risposta resistente o se è ormai solo l’espressione di una tenue forma di resilienza.
Note
1 Consultabile su “FUTURA, la scuola per l’Italia di domani” portale del MIM, miur.gov.it
2 Sui mediatori, ovvero su tutto ciò che, strutturato o di bricolage, può essere adatto ai percorsi di apprendimento nella Scuola dell’Infanzia e nella Primaria, e sull’insegnante come mediatore di processi, si vedano i lavori di Andrea Canevaro, Università di Bologna e quelli dei Maestri del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE). Le dieci tesi sulla Lingua furono pubblicate nel 1975 dal Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica, di cui fu parte attiva Tullio De Mauro.
3 G. Bateson Verso un’ecologia della mente Adelphi MI, 1977/2000
4 A. Gehlen Antropologia filosofica e teoria dell’azione Guida editori NA, 1983; Jakob von Uexkül, citato in G. Agamben L’aperto. L’uomo e l’animale Bollati Boringhieri TO, 2002 Cap X
5 Ivan Illich Descolarizzare la società Mimesis MI, 1970
6 M. Montessori La mente del bambino Garzanti MI, 1970; E.Castelnuovo L’officina matematica. Ragionare con i materiali La Meridiana BA, 2008; su Castelnuovo e altre esperienze di matematica: Quaderni del GRIMeD, grimed.net. Molto interessanti i Quaderni di Lega Ambiente e quelli del già citato MCE (in rivista Cooperazione Educativa, Erikson)
7 A.Angelucci, R Puleo Cos’è un libro. Sull’oblio della lettura in era digitale Giovanni Fioriti Ed. RM, 2022
8 S. J. Gould Quando i cavalli avevano le dita. Misteri e stranezze della natura Feltrinelli, MI 1984, p. 172, infra; C. Milani Tecnologie conviviali elèuthera, MI 2022 pag 107
9 C. Milani Tecnologie conviviali, cit; Ippolita La rete è libera e democratica. Falso! Laterza RM-BA 2014; B. Stiegler La miseria simbolica I-II Meltemi MI, 2021
10 A. Alonso, I.Arzoz La Nueva Ciudad de Dios Siruela Madrid, 2002
11 Il temine deterritorializzare significa lasciare un territorio saturo di poteri consolidati lungo linee di fuga che consentano nuove espressioni di soggettività. G. Deleuze, F Guattari Mille piani Orthotes SA, 2017 p. 690, infra.
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