La memoria rappresenta spesso il livello di civiltà dell’umanità di quelle persone e di quelle comunità che, ricordando il proprio passato, agiscono per migliorare il futuro. I libri servono, oltre al piacere della lettura di uno stile e di un ragionamento, a mantenere il contatto con sé e quanto già avvenuto: non a caso, il detto popolare ricorda che chi non conosce il proprio passato è costretto a ripetere gli stessi errori, fino a che non corregge e differenzia il presente, dando un indirizzo al futuro basato sul migliorarsi, sul proporre soluzioni che tengano presente quanto già successo e già sbagliato. In Italia non abbiamo né elaborato né sappiamo granché della nostra storia, complici un po’ tutti: la politica, che ha rimosso il fascismo confinandolo a una disfida tra squadre; la scienza, che ha avallato, qualcuno ne ha pure guadagnato, nel definire il passato con un’interpretazione buonista della nostra povertà e meschinità; la comunità e la società tutta, che ha preferito sentirsi migliore pensando ai propri antenati come brave persone, ingannati e rispettati in tutto il mondo in cui fummo costretti a migrare, oppure passati come civilizzatori con guerre fasciste verso territori poveri, più poveri di quello che eravamo noi. È necessario tornare su questi temi, il nostro presente ce lo impone.
Contro il fascismo (Garzanti) è un piccolo libro, peraltro molto economico, che riporta due discorsi parlamentari di Giacomo Matteotti, con una bella introduzione dello storico Sergio Luzzato: due interventi ufficiali in seno al parlamento italiano, dove Matteotti ha dato voce a se stesso e al partito socialista, che allora rappresentava una larga parte di contadini e operai impegnati a migliorare la società attraverso le lotte contro un capitalismo becero e schiavista che non salvava nessuno e nessuna, tranne che il proprio interesse.
LEGGI ANCHE
Nei cento anni dal suo assassinio per un vile manipolo fascista, che gli rubò la vita con le botte e le coltellate, forse quattro/cinque assassini contro uno, lasciandolo sepolto come un cane nella campagna romana, bisogna ricordare la limpida figura di intellettuale che Matteotti, militante e rappresentante del popolo (il partito socialista era il secondo partito di opposizione in parlamento dopo le fascistissime elezioni del 1924) coraggiosamente espresse nella sua vita e nella sua attività politica. Il ricordo attraverso due discorsi è il modo migliore per raccontare questa persona che tutto fece per frenare il fascismo, non cedendo mai all’interesse e alla codardia la sua alta statura morale. Matteotti fece tutto quello che poté per arginare la dittatura, venendo attaccato e minacciato più volte nella sua vita politica. Eppure, poteva anche lui fare finta di niente come fecero in molti, mantenendo il suo potere borghese nelle pieghe di un’economia che continuava a scegliere il capitale. Matteotti usò sempre le sue capacità, derivanti anche dalla sua posizione sociale di benestante, verso gli ultimi delle terre del Polesine, quando questa parte di Italia era espressione della povertà più estrema, e non come adesso simbolo di una ricchezza povera di tutto, tranne che di beni materiali. Fu un amministratore pubblico attento alla cosa pubblica, non accettando di guadagnare dal ruolo che rivestiva e impegnandosi nelle lotte dei poveri più poveri, all’epoca i contadini che da qualche decennio si erano costituiti in Lega per non continuare a morire di fame. E, si sa, quando le persone si uniscono fanno sempre molta paura.
Il primo discorso di Matteotti fu declamato in occasione della nuova legislatura del 1921, l’anno prima della marcia fascista su Roma, risolutrice per i potenti dei problemi italiani e delle lotte proletarie e contadine. Qui il deputato riporta sì la violenza squadrista, che lui stesso viveva e aveva vissuto come politico e segretario della Camera del Lavoro di Ferrara, ma non intendeva lamentarsi di una ferocia di cui lui stesso riconosceva le radici nella società nazionale; ciò su cui Matteotti puntò la sua massima attenzione era il servilismo della stampa borghese, che ometteva e interpretava ciò che stava accadendo a favore di una destra che usava gli assalti fisici e in armi verso chi, ed erano tante persone, contrastava la potenza e la violenza capitalistica. La colpa del fascismo è nello stato, disse Matteotti, che pone sullo stesso piano chi incendia e spara con chi si difende per non morire. Non tanto quindi la svolta autoritaria che si stava configurando agitava e motivava il deputato socialista, quanto la risposta che il capitale, quello dei grandi proprietari terrieri, della classe politica dell’epoca, metteva a disposizione di Mussolini e dei suoi accoliti: la sua forza, a partire dalla grande stampa di cui era padrona, per attaccare gli eversivi, quei poveri che si stavano contando dopo la tragedia della grande guerra per interrompere il destino della morte per inedia; le lotte contadine e operaie spaventavano i ricchi che prosperavano di questa miseria, lotte temute perché la storia andava verso un’altra guerra, quella contro il capitale assassino.
Mai Matteotti retrocesse di fronte alla paura, all’interesse da cui anche lui poteva trovare beneficio: da proprietario terriero, fece di tutto per rendere la spesa pubblica volta all’interesse collettivo, studiando e approfondendo proprio quei conti, comunali o nazionali che fossero, perché fossero utilizzati nel modo più limpido possibile. Il motivo per cui fu ucciso, tra gli altri, è che stava per denunciare lo scandalo dell’appoggio fascista e del re alla compagnia statunitense Sinclair, che avrebbe sfruttato il petrolio trovato in Emilia Romagna, lasciando un misero 25 per cento degli utili allo stato italiano. Un accordo che presupponeva un lauto guadagno anche per i fascisti al governo e che Matteotti stava per svelare in parlamento, conti e documenti alla mano: non lo fece perché gli chiusero la bocca con la morte, ci rimane perciò l’ultimo discorso in cui, senza remore, sottolinea come i risultati elettorali del 1924 furono determinati dalle violenze, dalle minacce e dalle uccisioni, di cui Mussolini si mise naturalmente a capo, assumendosi la responsabilità morale e materiale di tutte le violenze, compresa anche la morte di Matteotti.
Ciò che Matteotti disse, e fece, rimane cento anni dopo quasi un presente che non vuole cambiare: accordi sottobanco e violenze che hanno determinato troppe volte il destino nazionale, senza che ci fosse la giusta narrazione di quello che realmente è accaduto e per molti versi ancora oggi sta accadendo. La paura dei poveri, delle comunità, dei diversi e dei comunisti continua ad essere usata come un’arma, anche in questi giorni, da chi trae vantaggio economico dalla divisione del popolo italiano. Come se i comunisti, anche oggi, potessero essere un pericolo per il popolo tutto, costringendolo alla dittatura di stato che in altri paesi si è effettivamente realizzata. Rimane una stampa e una comunicazione mainstream che continua a dare ragione, e a omettere per dare ragione, a personaggi pubblici impresentabili, che continuano a giocare sulle nostre teste le loro carte di servi del moderno capitale, dei Musk di turno, che utilizzano la loro influenza economica per trarre ancora più vantaggio per sé, mai domi e mai al servizio della collettività. Purtroppo, un nuovo Matteotti non c’è più stato, la politica continua ad avere veramente difficoltà ad essere dalla parte del popolo; il popolo stesso, ha smesso di avere una parte pubblica e collettiva, raccolto nella propria piccola esistenza, nella propria piccola ricchezza, nella propria triste quotidianità.
Giacomo Matteotti, Contro il fascismo (Garzanti, Milano 2019 € 5)
I discorsi di Giacomo Matteotti sono leggibili, e scaricabili, sul sito storico della Camera dei Deputati
Questo articolo fa parte di Granai per la mente, uno spazio dedicato ai libri a cura di Cristina Formica (sociologa femminista, da sempre attenta ai temi dell’antifascismo e dell’antirazzismo, è autrice di È capitato anche a me. Diario delle molestie nella vita di una donna, edito da Red Star Press).
Cristina Formica ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura.
Fiorella Palomba dice
“In Italia non abbiamo né elaborato né sappiamo granché della nostra storia” questo scritto nell’articolo NON mi trova affatto d’accordo.
I racconti della guerra di mio nonno hanno lasciato una traccia indelebile; non credo di essere la sola!
Matteotti era un mito per la sua determinazione.
Ci poi altre parole signifitive della storia di allora: il Polesine. Vivevo a Milano in una famiglia benestante e avevamo una donna che si occupava di noi bambine, Maria. La ricordo benissimo era una vittima dell’alluvione e, a casa nostra, trovò una sponda. 🌸