La letteratura è donna e nera, anche quando l’autore è un giovane americano figlio di emigrati dal Ghana, scrittore candidato a prestigiosi premi letterari, oltre che professore universitario benché solo trentenne. Fa piacere vedere un giovane uomo, bellissimo e dai modi gentili, presentare il suo primo romanzo in una sala della cultura romana: Nana Kwame Adjei-Brenyah ha fatto un tour europeo, a fine 2023, per la presentazione di Catene di gloria, suggestivo suo primo romanzo, sulla vita carceraria della contro eroina Loretta Thurwar, in arte THURWAR, crudele gladiatrice ai vertici della Catena che presto le avrebbe dato la libertà.
La storia, che Adjei-Brenyah descrive con scorrevolezza e passione, narra la vita di una donna nera che uccide la sua donna per gelosia e possesso, potremmo forse dire perché anche lei aderisce al patriarcato che la renderà di nuova assassina, stavolta per arricchire uomini che hanno già tutto; condannata a vita, Loretta è imprigionata nei futuribili (ma non troppo futuri, forse) penitenziari statunitensi, che permettono a un mucchio di ricconi bianchi di spartirsi l’enorme torta del finanziamento pubblico nella tortura e nella crudeltà istituzionali. Corpi e corpi di persone, soprattutto di origine migrante, che vivono in cattività, a cui nessuna scoperta tecnologica di controllo e crudeltà viene risparmiata nell’espiazione di colpe che lo scrittore spiega bene: tra esse, una delle maggiori è essere poveri, prevalentemente neri o ispanici, imprigionati anche per errori giudiziari ingiusti. Lo scrittore aggiunge spesso note nel testo del romanzo, che danno i dati statistici delle prigioni e della popolazione carceraria negli Stati Uniti, dati terribili che si aggiungono alle spiegazioni dei sistemi di sottomissione (che speriamo vengano solo dalla fantasia dello scrittore) che condizionano tutto il romanzo: uno su tutti, le manette inserite sottopelle ed attivate elettronicamente che bloccano il movimento delle persone carcerate, pena fortissime torture, dispensate continuamente in tutto il racconto.
Sono proprio i supplizi istituzionalizzati che determinano l’adesione di Loretta, della sua compagna Hamara Staker detta HURRICANE STAXXX, e di molti altri ed altre, nello scegliere di combattere in un Colosseo televisivo, ad appannaggio di ditte sportive, alimentari, farmaceutiche, di arredi, di acqua, eccetera eccetera. Gladiatrici e gladiatori, all’inizio quasi a mani nude e via via con armi tutto sommato rimediate, come martelli o cose simili, che combattono omicidio per omicidio in un’arena a cui il popolo americano pagante assiste e partecipa, incitando all’assassinio ed alla crudeltà. Catene di Gloria è uno spettacolo, dal vivo e sui canali a pagamento, che muove molti, moltissimi soldi; chi combatte ha la possibilità, vincendo ogni scontro, di arrivare in cima alla scala della catena a cui appartiene (il gruppo composto da propri simili, a sua volta messo cinicamente sempre in contrasto attraverso favoritismi o privazioni), guadagnando la libertà, il fine pena che scontando “normalmente” il carcere non avrebbero mai avuto, essendo tutti e tutte condannati all’ergastolo.
Loretta Tuhrwar ha solo un incontro da vincere per essere libera, e il suo percorso umano e carcerario le fa nascere una ribellione che la porterà ad essere capa giusta del suo gruppo. Cambiata personalmente, cercherà di trarre dal suo orrore una lezione positiva, mentre le trame del reality coinvolgono anche gruppi di persone contrarie a questa pena di morte di stato. Manifestazioni di protesta, defezioni di personaggi pubblici e fuori onda sull’organizzazione repressiva conducono il racconto a fare alla civiltà occidentale delle precise domande su dove stiamo andando, cosa i mass media e la comunicazione tolgono aumentando la visione degli spettacoli più orribili e sanguinari, a fronte di uno show business che ha legami con tutto il potere, quello del sistema di pena, dei prodotti che compriamo, delle scelte che facciamo.
Loretta è una criminale, ma il suo crimine è usato per trarre profitto sulla sua pelle; da antieroina cerca un riscatto che la vedrà migliore, nonostante tutto. La storia d’amore che vive con la sua compagna di carcere e di catena, Hamara Staker, è positiva e permette a tutte e due di avere una vita diversa, nonostante i controlli a vista, le riprese continue anche della loro intimità, la paura e i rischi che corrono in ogni momento.
La società che guarda Catene di Gloria è disumana, assiste ad un panem et circenses con la bava alla bocca e bevendo la stessa bibita con cui si dissetano le eroine combattenti; incita, grida, ama le due donne perché sono fortissime e vincono sempre. La ribellione a questa ingiustizia è osteggiata, picchiata, travolta dalle forze dell’ordine che difendono l’interesse privato al guadagno e quello pubblico alla morte, alla fine si tratta pur sempre di delinquenti.
Una storia narrata nelle domande che pone direttamente ed indirettamente, nelle terribili risposte che dà come se la vita fosse un reality, un videogioco letterario, che ci fa venire voglia di combattere o di fuggire lontano dal mondo che produce cose simili, e già la storia raccontata diventa quasi il presente, una narrazione vera.
Comunque, viene voglia di guardarlo, questo spettacolo, per sapere come finirà. E la fine è infatti terribile e poetica, forse c’è qualche speranza di fuggire dal carcere collettivo di questa società neanche troppo ipotetica…
Sì, qualche speranza c’è, di uscire di prigione per essere migliori.
NANA KWAME ADJEI-BRENYAH, Catene di gloria, ed. SUR 2023 €20
Edizione in E-BOOK €12,99
Nane Kwame Adjei-Brenyah è un autore giovane, da poco tradotto in italiano; Catene di Gloria non si trova facilmente in prestito, per ora, ma il suo scritto precedente, BlackFriday, è presente in molte biblioteche.
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Questo articolo fa parte di Granai per la mente, uno spazio dedicato ai libri a cura di Cristina Formica (sociologa femminista, da sempre attenta ai temi dell’antifascismo e dell’antirazzismo, è autrice di È capitato anche a me. Diario delle molestie nella vita di una donna, edito da Red Star Press)
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