Re:Common sostiene lo sciopero per il clima promosso oggi a livello mondiale dai movimenti di giovani del Fridays for future partecipando alla manifestazione che si terrà nel pomeriggio a Santo Domingo, in Repubblica Dominicana. Migliaia di studenti scendono in piazza in varie città del paese caribico chiedendo che il governo dominicano cambi drasticamente rotta sullo sviluppo dell’estrazione ed il consumo di combustibili fossili.
Proprio i Caraibi sono tra le aree del pianeta che sono e saranno maggiormente impattate dai cambiamenti climatici, come dimostra il recente uragano Dorian, la cui violenza senza precedenti ha devastato in un giorno le Bahamas.
Re:Common è attiva da tempo nel paese in solidarietà con i movimenti sociali e le organizzazioni della società civile che si oppongono su diversi fronti all’economia fossile. Re:Common è denunciante presso la Procura di Milano sul caso di corruzione internazionale che sembra aver caratterizzato la realizzazione della centrale a carbone di Punta Catalina (a questo link l’inchiesta sul sito de L’Espresso), a 60 chilometri da Santo Domingo, da parte di un consorzio guidato dalla brasiliana Odebrecht e che include l’italiana Tecnimont.
Nel 2016, l’impresa brasiliana ha patteggiato una sanzione rilevante (3,5 miliardi di dollari) con le autorità brasiliane e statunitensi ed in parte con quelle dominicane. Punta Catalina rappresenta uno sperpero di denaro pubblico, visto che il conto finale potrebbe superare i 3 miliardi di dollari per soli 750 MW di potenza a carbone, il tutto segnato da con enormi ritardi e difficoltà. Ad oggi solo la prima unità dell’impianto è stata inaugurata e funziona a singhiozzo per problemi tecnici. Una centrale a carbone che mette al rischio con le sue emissioni altamente inquinanti le colture biologiche di mango del paese, il turismo e la salute delle comunità locali.
Banche europee, tra cui UniCredit, garantite dalla agenzia di credito all’esportazione italiana Sace, hanno smesso di finanziare l’opera con nuovi esborsi in seguito allo scandalo internazionale di corruzione e resta da vedere se ritireranno i prestiti già erogati. Se completata la centrale di Punta Catalina emetterà più di 6 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno pari al 20 per cento delle attuali emissioni di gas clima alteranti del paese.
Ma i piani di devastazione del paradiso caraibico dominicano e del clima da parte del governo locale e delle multinazionali fossili non si fermano a Punta Catalina. La scorsa estate l’esecutivo di Santo Domingo ha aperto una gara internazionale per l’aggiudicazione di licenze petrolifere per lo sfruttamento di risorse ad oggi intoccate in 10 blocchi onshore e 4 offshore, quest’ultimi proprio di fronte alla capitale. Ignorando il disastro ambientale causato dalla piattaforma Deepwater Horizon della BP nello stesso golfo del Messico alcuni anni fa, il governo dominicano vuole gettarsi nel business del petrolio e gas, dimenticando che ha preso un impegno con la comunità internazionale di ridurre le proprie emissioni di gas serra del 25 per cento entro il 2030 secondo il dettame dell’Accordo di Parigi. Una follia, a cui 29 società petrolifere internazionali, compresa l’italiana Eni[1], sembrano interessate vista la loro partecipazione alla pre-selezione nella gara internazionale.
I giovani di Santo Domingo nella loro lotta per la salvezza del clima si intrecciano al movimento popolare della Marcia Verde, che nacque nel paese proprio dopo lo scandalo Odebrecht a Punta Catalina ed in diverse occasioni hanno marciato con numeri imponenti chiedendo le dimissioni del Presidente Danilo Medina. Oggi la lotta si allarga e un movimento più forte ed incisivo potrebbe mettersi di traverso ai piani di rendere la Repubblica Dominica l’ennesimo inferno dell’economia fossile.
[1] https://www.diariolibre.com/economia/unas-26-empresas-mostraron-interes-en-bloques-gasiferos-y-petroleros-GC13337405
Lascia un commento