Nelle scorse settimane il governo algerino ha ricevuto una visita istituzionale italiana ai massimi livelli, formata dall’amministratore delgato dell’Eni Claudio Descalzi e da Giorgia Meloni. A voi la scelta su quale dei due sia il vero premier, commentano con sagace ironia a Ecor, il prezioso network su conflitti, estrattivismo e resistenze, che ha tradotto il lungo articolo di Pascoe Sabido sull’accaparramento neocoloniale delle risorse che trovate qui sotto e gli obiettivi irrealistici che si è data l’Ue. La visita s’è conclusa con due accordi energetici fra Eni e Sonatrach, la compagnia nazionale algerina degli idrocarburi. Il primo riguarda la cattura e lo stoccaggio della CO2. L’altro si propone di riesumare il vecchio progetto del gasdotto Galsi, congelato nel 2013, che dovrebbe partire dall’Algeria, attraversare la Sardegna, passare accanto all’Elba e approdare a Piombino, come se la cittadina toscana non ne avesse già abbastanza del rigassificatore. La novità è che non si tratterebbe di un tradizionale metanodotto, ma sarebbe progettato anche per il trasporto dell’idrogeno, dell’ammoniaca e dell’elettricità. Come si vede, le politiche dell’Unione Europea per lo sviluppo dell’importazione di idrogeno dal Nord Africa si rivelano ancora come un viatico “green” per far rientrare dalla finestra i combustibili fossili

La sostituzione del gas fossile con idrogeno proveniente da fonti energetiche rinnovabili è una delle componenti essenziali di REPowerEU, il piano della Commissione europea per porre fine alla dipendenza dal gas russo dopo l’invasione dell’Ucraina. i
Oltre a sostituire i fornitori di gas della Russia di Putin con quelli di altri regimi autoritari come l’Algeria, l’Azerbaigian e l’Egitto, o lo Stato di apartheid coloniale d’Israele, e a costruire ulteriori porti e gasdotti per importare e trasportare il gas, REPowerEU dimostra che l’idrogeno – l’ultima soluzione miracolosa proposta dall’industria del gas – deve essere prodotto e importato in quantità del tutto irrealistiche.
Nel maggio 2022, il vicepresidente esecutivo della Commissione europea per gli affari climatici, Frans Timmermans, ha dichiarato al Parlamento europeo: «Credo fermamente nell’idrogeno verde come motore del nostro sistema energetico del futuro (…) [L’Europa] non potrà mai produrre abbastanza idrogeno da sola».ii
La Commissione europea ha quadruplicato i suoi obiettivi in materia di idrogeno, portandoli da cinque milioni di tonnellate nel 2030 a venti milioni di tonnellate, di cui la metà sarà importata. Un ruolo particolare è riservato al sud del Mediterraneo, che secondo indiscrezioni su progetti che il Corporate Europe Observatory (CEO) ha potuto consultare, dovrebbe coprire fino all’80% delle importazioni.iii
Ora, un nuovo studio commissionato dal Corporate Europe Observatory (CEO) e dal Transnational Institute (TNI) sui progetti dell’idrogeno rinnovabile in Nord Africa dimostra come questi obiettivi siano irrealistici dal punto di vista dei costi e dell’energia, e come conducano ad un maggiore sfruttamento dei combustibili fossili.iv
Se questi piani saranno attuati, costituiranno un nuovo tentativo di accaparramento neocoloniale delle risorse, in un momento in cui le risorse rinnovabili dovrebbero essere utilizzate per soddisfare le esigenze energetiche e gli obiettivi climatici locali piuttosto che per aiutare l’Unione Europea (UE) ad attuare la sua strategia climatica.
I progetti dell’UE in materia di idrogeno rinnovabile nel quadro della sua strategia REPowerEU non riguardano unicamente la riduzione delle emissioni; si inseriscono in un approccio più ampio volto a ripristinare l’UE e le sue imprese come attori globali in un’economia verde ad alta tecnologia.
Tuttavia, date le realtà tecniche e finanziarie della produzione e del trasporto dell’idrogeno, è improbabile che ciò si realizzi, e certamente non è a questo che dovrebbero essere destinati i fondi pubblici. L’UE deve rivedere immediatamente la sua strategia REPowerEU, abbandonare i suoi obiettivi chimerici di importazione e produzione di idrogeno e aumentare notevolmente gli investimenti nell’efficienza energetica e nelle energie rinnovabili per ridurre la dipendenza dal gas.

Importare idrogeno dal Nord Africa – un piano realistico?
Il nuovo studio, redatto dall’esperto sui temi dell’energia Michael Barnard e commissionato da CEO e TNI, riguarda il Marocco, l’Algeria e l’Egitto.v
Ogni paese prevede di produrre ed esportare idrogeno (chiamato idrogeno «verde») a partire da elettricità rinnovabile, nonché prodotti a base di idrogeno. Tuttavia, l’Algeria e l’Egitto, paesi produttori di petrolio, stanno anche studiando la possibilità di produrre idrogeno dai gas fossili, utilizzando il controverso sistema di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) per ridurre le emissioni (idrogeno «blu»).
Mentre i piani nazionali sono a buon punto, lo studio rivela che i costi di produzione, per non parlare del trasporto, rendono i piani dell’UE estremamente irrealistici, mentre l’elettricità rinnovabile potrebbe essere utilizzata localmente.
Classificazione dei colori dell’idrogeno (per gentile concessione dell’Applied Economics Clinic.vi)
Affinché l’idrogeno sia «verde», è necessario costruire nuove fonti di energia rinnovabile.
Tuttavia, l’energia eolica e quella solare sono per definizione intermittenti e un impianto fotovoltaico fornisce in media solo il 20-25 % della sua capacità installata. Ciò significa che un elettrolizzatore che funziona direttamente da un parco solare produrrebbe idrogeno verde solo il 20-25% del tempo, il che aumenta notevolmente il suo costo.
L’ Eni, che prevede di costruire un impianto di idrogeno verde alimentato dall’energia solare di un gigawatt (GW) in Algeria, dovrà affrontare questo problema. Secondo le stime di Barnard, il costo per unità di energia è undici volte superiore a quello del gas fossile, che è attualmente la priorità dell’Algeria in materia di esportazione.
Se orienterà le sue esportazioni verso l’idrogeno, come suggerito dal suo governo e dall’UE, l’Algeria dovrà installare 500 GW di pannelli solari. È più di mille volte quello che esiste attualmente, e avrebbe importanti implicazioni per l’uso del suolo e dell’acqua, nonché per le risorse di materie prime.
Il collegamento dell’elettrolizzatore alla rete elettrica permetterebbe di risolvere il problema dell’intermittenza delle energie rinnovabili, ma se non verrà alimentato da energia rinnovabile supplementare, non soddisferà i criteri dell’UE in materia di idrogeno verde, poiché i tre paesi alimentano le loro reti principalmente con combustibili fossili.
I costi di produzione elevati sono accompagnati da costi di trasporto altrettanto proibitivi.
I tre paesi prevedono di esportare idrogeno verde via mare, tramite navi cisterna, ma per liquefarlo occorrerà tre volte più energia del gas naturale, e quindi lo stesso volume di navi cisterna potrà trasportare solo il 27% dell’energia.
Anche l’esportazione di idrogeno attraverso condutture è problematica, poiché il gas danneggia non solo le tubazioni (gasdotti) stesse, ma anche le apparecchiature elettroniche in esse contenute, con il conseguente costo aggiuntivo della loro sostituzione.
Inoltre, poiché l’idrogeno richiede tre volte più energia per essere spostato rispetto al gas fossile (a causa della sua minore densità), i costi energetici vengono triplicati. Per di più, cercare di miscelarlo con gas fossile, come propone l’industria, «presenta solo vantaggi limitati in termini di CO2 e comporta un forte aumento del costo dell’energia», secondo l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA).vii
In Egitto, il magnate danese del trasporto marittimo Maersk sta studiando carburanti verdi a base di idrogeno per sostituire i combustibili inquinanti per la stiva, ma secondo il dott. Barnard. i risultati sono deludenti.
Sia il metanolo verde che l’ammoniaca verde sono tossici per l’uomo e attualmente sono quattro o cinque volte più costosi degli attuali carburanti.
È preoccupante constatare che, se l’Unione europea, nel quadro del suo programma sull’idrogeno in Nord Africa, mira anzitutto a rispondere alle proprie esigenze, essa ha anche portato avanti l’idea di una «economia dell’idrogeno», incoraggiando altri paesi come il Marocco e l’Austria, che hanno già proposto l’utilizzo dell’idrogeno per alimentare le automobili o l’industria piuttosto che utilizzare l’energia rinnovabile per l’elettrificazione diretta.
L’Egitto dovrebbe presto pubblicare la propria strategia, con l’aiuto della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, che sostiene anche l’«economia dell’idrogeno» piuttosto che l’elettrificazione.viii Se utilizzato per produrre elettricità, l’idrogeno fornirebbe solo il 37% dell’energia verde inizialmente utilizzata per produrlo.
Sebbene l’industria del gas lo abbia ampiamente annunciato, il passaggio dal gas fossile all’idrogeno non è una soluzione climatica né per l’UE né per l’Africa del Nord.ix Il costo dell’idrogeno di origine nord-africana sarà undici volte superiore a quello del gas naturale e anche la sua distribuzione per nave o per gasdotto sarà costosa. L’Europa è disposta a pagare per l’idrogeno verde del Nord Africa? O sarà un modo per far rientrare dalla finestra i combustibili fossili?

Una backdoor per i combustibili fossili
Mentre all’UE piace parlare di idrogeno verde, meno dell’uno per cento dell’idrogeno prodotto in Europa oggi è verde, il 97 per cento è prodotto a partire da gas fossili (idrogeno «grigio»).x L’industria del gas prevede di poter ridurre le emissioni ricorrendo alla cattura e allo stoccaggio del carbonio, che sono costosi e poco affidabili, per produrre idrogeno «blu», che l’UE considera come un «combustibile di transizione» verso l’idrogeno verde.
Nei paesi produttori di petrolio e gas come l’Algeria e l’Egitto, i progetti di idrogeno blu sono studiati insieme a quelli dell’idrogeno verde. Il prezzo dell’idrogeno blu è sempre due volte superiore a quello dell’idrogeno grigio, e presenta il problema principale delle elevate emissioni di CO2 equivalente, nonostante l’impiego della tecnologia di captazione del carbonio.
Le emissioni di idrogeno blu sarebbero fino al 20% più elevate dell’uso del gas fossile per il riscaldamento e potenzialmente di più se la CO2 catturato fosse utilizzata per il recupero integrale del petrolio, come avviene in tutto il mondo.xi
Queste emissioni elevate sono dovute a perdite durante la perforazione e il trasporto del gas naturale, dato che il metano (il suo componente principale) è un gas a effetto serra oltre cento volte più dannoso per il clima rispetto alla CO2 in un periodo di dieci anni.xii
La promozione dell’idrogeno verde e dell’economia dell’idrogeno è sempre stata sostenuta dai grandi gruppi petroliferi e del gas europei, che lo vedono come un modo indiretto di produrre idrogeno a partire da gas fossilixiii: basta creare entusiasmo per l’idrogeno, stimolare una domanda di idrogeno nell’insieme dell’economia affinché, in caso di penuria di elettricità verde o di capacità di elettrolisi, l’idrogeno blu prenda il sopravvento. Questi gruppi sono già coinvolti in alcuni di questi progetti e li considerano componenti permanenti.xiv
Oggi l’UE fornisce un sostegno finanziario e regolamentare ai progetti di idrogeno blu sul suo territorio e il piano REPowerEU suggerisce che gli stessi meccanismi di sostegno possono essere utilizzati dai paesi vicini (cioè il Nord Africa), mentre altri paesi possono ottenere un sostegno per «progetti di interesse reciproco», in particolare per «il trasporto dell’idrogeno e le reti e lo stoccaggio del CO2», che sono alla base dell’idrogeno blu.xv
L’idrogeno blu non deve essere incoraggiato. È una catastrofe climatica costosa che spinge a perseguire l’estrattività dei combustibili fossili, con conseguenze ambientali e sociali disastrose.xvi
Non è una soluzione energetica pulita, ma un cavallo di Troia dell’industria del gas che rischia di diventare un «carburante di destinazione» piuttosto che un «carburante di transizione».
I Piani per l’Idrogeno per il Marocco, l’Algeria e l’Egitto
Marocco
• Il Marocco mira a sostituire le importazioni di ammoniaca grigia con una produzione locale verde per la sua industria nazionale dei fertilizzanti, che potrebbe essere una misura a breve termine prima della necessaria transizione verso l’agroecologia.
• Oltre all’eliminazione a breve termine delle elevate emissioni di ammoniaca, gli altri usi annunciati dell’idrogeno verde non resistono all’esame: miscelazione nella rete del gas, carburante per veicoli, elettricità, raffinazione del petrolio ed esportazione.
Algeria
• L’Algeria prevede di sostituire progressivamente le sue esportazioni europee di gas naturale con idrogeno verde e blu attraverso le sue condutture e i suoi terminali GNL, il che suscita l’interesse dei partner europei, ma i costi di transito e di spedizione previsti sono troppo elevati.
• Il grande gruppo petrolifero e del gas italiano Eni si interessa non solo all’idrogeno verde ma anche all’idrogeno blu, i cui costi previsti e le cui emissioni di metano sono molto elevate.
Egitto
• L’idrogeno verde è considerato una via di sviluppo economico essenziale. L’Egitto ha già adottato misure di sostegno fiscale e una strategia sostenuta dalla BERS è prevista per il 2022.
• Equinor, Toyota, Siemens, Maersk, Eni e altre aziende europee partecipano a progetti di esportazione di idrogeno verde e blu intorno alla zona economica del canale di Suez.

Fondi pubblici europei per pagare il conto?
I costi elevati di produzione e di trasporto fanno dell’idrogeno e dei suoi prodotti un combustibile costoso.
Tuttavia, secondo REPowerEU, la Commissione sta creando un Fondo europeo per l’idrogeno.
Ci sono ancora pochi dettagli, ma secondo la fuga [di notizie] di un progetto precedente, il fondo dovrebbe coprire «il divario iniziale tra i costi di produzione e i prezzi di vendita» e dovrebbe essere operativo entro la fine del 2022.xvii
La Germania aveva già proposto un dispositivo simile a livello nazionale. I fondi destinati a questo dispositivo dovrebbero provenire dal Fondo per l’innovazione del sistema di scambio delle quote di emissione (ETS), ossia dalla messa all’asta dei crediti di carbonio dell’UE.xviii
Ma quanto sarà grande il montepremi, ed è questo il modo migliore per utilizzare i fondi pubblici quando il continente europeo è in piena crisi del costo della vita e le bollette dell’energia sono alle stelle?
Sarebbe molto più efficace destinare questo denaro a un programma un massiccio di isolamento delle abitazioni, lottando nel contempo contro la povertà energetica delle famiglie nell’UE.
Un accaparramento neocoloniale delle risorse?
Ma anche se l’UE coprisse interamente i costi per i propri consumatori (il che è improbabile visto l’importo che rappresenterebbe), è così che i paesi del Nord Africa dovrebbero utilizzare le loro limitate risorse rinnovabili?
Il Marocco, l’Algeria e l’Egitto hanno i loro obiettivi in materia di elettricità rinnovabile nel quadro dell’accordo di Parigi, mentre le loro reti sono alimentate da combustibili fossili.
Produrre idrogeno e carburanti a base di idrogeno ad un costo elevato e con una bassa efficienza energetica per esportarli in Europa, in modo che l’Europa possa perseguire i suoi obiettivi climatici mentre loro stessi non perseguono i propri, non ha senso e va contro gli interessi di questi paesi nordafricani.
Questo è l’obiettivo di molte imprese europee, dalla società olandese Vitol in Marocco alla società tedesca Siemens in Egitto, passando per la società italiana Eni in Algeria: esportare carburante verde.
Nel caso della società belga DEME, l’obiettivo è esplicitamente quello di contribuire alla realizzazione degli obiettivi climatici belgi ed europei.i
Il governo tedesco è anche coinvolto in ciascuno dei tre paesi (Algeria, Egitto, Marocco) per questo motivo.
Ciò spiega in parte perché l’UE e la Germania siano molto interessate a sovvenzionare la produzione: le imprese europee si posizioneranno e trarranno vantaggio da entrambi i lati della transazione.
Questa spinta a favore dell’idrogeno verde è l’ultimo esempio dell’accaparramento neocoloniale delle risorse in Nord Africa, mano nella mano con le élite locali, e formulato nello stesso linguaggio verde del gigantesco progetto di esportazione solare Desertec, che ha fallito.ii
Un mercato globale per l’idrogeno verde?
Adottare l’economia dell’idrogeno nel suo territorio ed esportare l’idea a livello globale fa parte di un piano geopolitico più vasto che va ben oltre il Nord Africa.
Secondo la sua strategia energetica all’estero, nel quadro di RePowerEU, l’UE vuole «promuovere uno sviluppo più giusto e sostenibile nel mondo», ma le sue vere motivazioni sono di creare un mercato mondiale dell’idrogeno verde per stimolare il proprio consumo.iii
L’U.E. ha intenzione di importare questo combustibile da paesi lontani come il Cile e il Sudafrica e utilizza anche l’idrogeno verde per giustificare nuovi accordi di libero scambio con questi due paesi. Gli accordi di libero scambio si sono dimostrati efficaci in materia di distruzione ambientale, sociale ed economica.iv
Ci si può quindi legittimamente chiedere che cosa significhi la spinta dell’UE verso l’idrogeno per lo sviluppo locale, per le imprese locali o per il fabbisogno energetico locale – che potrebbe essere soddisfatto attraverso le energie rinnovabili anziché essere dirottato verso l’idrogeno verde per l’Europa.
Che cosa significa per le comunità che saranno delocalizzate e distrutte dall’estrazione, le cui acque saranno inquinate o le cui terre verranno occupate da megaprogetti destinati a produrre sufficiente idrogeno verde per l’Europa?
Gli accordi di libero scambio – e la creazione di un’economia mondiale dell’idrogeno – suggeriscono che la prosecuzione della corsa all’idrogeno verde riguardi tanto gli obiettivi climatici dell’UE quanto la sicurezza di nuovi mercati e nuove opportunità per le imprese europee all’estero.
Per l’industria dell’idrogeno (cioè l’industria del gas), attuare il REPowerEU significa stabilire partnership energetiche in tutto il mondo affinché le imprese europee possano vendere le loro tecnologie e avere accesso alle materie prime, compresa l’energia – o almeno è così che lo presenta Hydrogen Europe, il principale gruppo di pressione dell’industria a Bruxelles.v
L’idrogeno è già al centro del partenariato AfriqueUE per l’energiavi (e del recente vertice UE-Unione africana del 2022), e un partenariato mediterraneo per l’idrogeno verde è in corso di attuazione con i paesi del Mediterraneo meridionale. Entro il 2030 dovrebbe consentire lo scambio di 6-8 milioni di tonnellate di idrogeno verde.vii
In apparenza, il partenariato parla di produzione e di consumo locali, nonché di commercio nella regione, ma se si esamina la retorica, si constata che il commercio è nettamente unilaterale, dalla periferia verso il centro.
Il clamore mediatico sull’idrogeno promosso dal vicepresidente Timmermans e dall’industria europea mira a rafforzare la posizione dell’UE sulla scena mondiale e a giustificare le importazioni invece di offrire una via verso un reale sviluppo sostenibile. L’industria petrolifera e del gas ne ha approfittato per controllare l’ulteriore sviluppo dei combustibili fossili attraverso l’idrogeno blu, anche in Nord Africa.
Conclusioni
L’idrogeno – verde o blu – non sostituirà il gas russo, come prevede la strategia REPowerEU, e l’importazione della metà del fabbisogno dell’Europa non ha alcun senso, né dal punto di vista economico né da quello energetico.
Lo studio di Barnard sopra menzionato mostra che l’idrogeno verde è costoso da produrre in Marocco, Algeria ed Egitto; ancora più caro da trasportare e che, se fosse utilizzato come mezzo di stoccaggio dell’elettricità, fornirebbe soltanto il 37 % dell’energia rinnovabile iniziale utilizzata per il prodotto.viii
Esso rappresenta anche un enorme accaparramento da parte dell’UE di risorse energetiche pulite, mentre questa elettricità potrebbe soddisfare le esigenze di sviluppo e gli obiettivi climatici locali in Nord Africa.
L’UE propone inoltre di sovvenzionare il consumo europeo di idrogeno con fondi pubblici, in un momento in cui il continente è in piena crisi del costo della vita e le bollette dell’energia sono alle stelle. Sarebbe più opportuno destinare tali fondi a un massiccio programma di isolamento delle abitazioni, che sarebbe molto più efficace per ridurre le bollette e combattere la povertà energetica delle famiglie nell’UE.
È molto preoccupante constatare come la volontà dell’UE di promuovere l’idrogeno consenta già la realizzazione di nuovi progetti sui combustibili fossili in Nord Africa, che compromettono gli obiettivi climatici locali ed europei e impediscono una transizione equa verso l’abbandono dei combustibili fossili.
Invece di perpetuare il suo modello energetico neocoloniale basato sullo sfruttamento dei paesi del Sud, l’UE dovrebbe immediatamente rivedere la sua strategia REPowerEU, abbandonare gli obiettivi irrealistici in materia di importazione e produzione di idrogeno e aumentare notevolmente gli investimenti nell’efficienza energetica e nelle energie rinnovabili al fine di ridurre la dipendenza globale dal gas.
* Traduzione di Ecor.Network
Pascoe Sabido si occupa dell’influenza delle industrie sulle politiche della Commissione Europea. La sua particolare area d’interesse è il contrasto dell’influenza delle corporation nei gruppi consiliari (formalmente noti come “gruppi di esperti”) della Commissione. Sabido guida il gruppo di esperti che lavora all’Alleanza per la Trasparenza Lobbistica e la Regolazione Etica (ALTER-EU). Ha lavorato per Friends of the Earth in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord e per la New Economics Foundation di Londra, occupandosi di politiche sociali.
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