Nell’immaginario smart della concentrazione sfrenata e anonima del sistema distributivo, quello che in 24 ore ti porta a casa perfino il profumo dell’Amazzonia, il mercato rionale sembra un po’ come quei vecchi mestieri in disuso: il ciabattino, la sarta, il vinaio… Un destino segnato dall’impossibilità di competere, il respiro sempre più corto e, magari, un po’ di sana malinconia. Eppure, i mercati rionali sono ancora molti e molto distribuiti nelle nostre città. Hanno una grande e forse per molti sorprendente capacità di resistere all’avanzata dei Mercati del Superlativo (Super, Iper, Ultra) e rappresentano il solo sbocco commerciale per quasi 151mila aziende locali. Ma, soprattutto, avrebbero straordinarie potenzialità di riuscire a opporsi all’estinzione cui qualcuno li ha condannati diventando elementi essenziali di un’economia altra e di una socialità con radici antiche e un futuro da reinventare
L’abitudine a utilizzare i mercati rionali e gli ambulanti itineranti come canale d’acquisto per molti generi, alimentari e non, ha origine lontane nel tempo e resta diffusa nei quartieri di molte città. Le informazioni disponibili su questa virtuosa scelta di consumo sono limitate ad alcuni Comuni, grazie ai dati raccolti per le elaborazioni dei piani del commercio, ma significative: per il settore della frutta e verdura, il mercato ha quote di acquisti intorno al 20-25%, con punte che in alcuni casi superano il 30%. Anche per il vestiario la quota di acquisti che si dirige ai “mercatini” risulta significativa: intorno al 10%, con valori superiori in alcune realtà, sopprattutto se si tiene conto della maglieria intima e dei tessuti. Sarà utile ricordare, comunque, che i mercati rionali, minacciati di estinzione dalla concorrenza sleale generata dalla capillarizzazione invasiva dei grandi Centri commerciali, rappresentano il solo mercato di sbocco per quasi 151mila aziende locali.
Occuparsi del tema della rigenerazione dei mercati rionali, soprattutto a Roma, significa affrontare una delle priorità urbanistiche su cui va centrata l’attenzione, ma occorrerà avere ben chiaro che le funzioni economiche e sociali di questi spazi vanno del tutto ripensate. Da tempo le realtà di economia sociale e solidale ragionano e discutono di questo. Non solo, naturalmente, della dimensione commerciale, ma delle potenzialità di trasformazione di relazioni capaci di ridefinire e trasformare il rapporto tradizionale tra domanda e offerta di beni e servizi. I mercati rionali, detti anche di prossimità, possono e devono essere dei luoghi in grado di rispondere in modo nuovo alle necessità che abbiamo ogni giorno. Non solo quelle legate all’acquisto di prodotti, dunque, ma quelle di aggregazione e rafforzamento dei legami culturali e sociali. Insomma, per dirla in modo inequivocabile, se vogliono continuare ad esistere, i mercati urbani devono diventare qualcosa di profondamente diverso.
Dal punto di vista economico e, in particolare, per quel che riguarda la produzione alimentare, è fondamentale che nei mercati si ricostruiscano le filiere corte con i produttori locali. Purtroppo, oramai, una buona parte dei venditori si rifornisce dalla grande distribuzione, rinunciando così a ogni relazione con il territorio e con le produzioni di prossimità. Tuttavia, è proprio il recente e straordinario recupero di popolarità da parte dei mercati contadini e di altre analoghe forme di vendita diretta dei prodotti agricoli, che desta sorpresa e merita qualche riflessione approfondita. Dobbiamo favorire il più possibile una relazione economica con i produttori locali piccoli, quelli che rispettano più e meglio i principi dell’agroecologia che vanno ben al di là dell’etichettatura biologica, e si propongono in modo esplicito obiettivi sociali e comunitari. Questo modello di riconnessione delle filiere produttive sarebbe utile a dare, in molti casi, una risposta concreta e forte al grande problema dello sfruttamento selvaggio nelle campagne. Potrebbe farlo, soprattutto perchè attiva forme di partecipazione che coinvolgono anche i consumatori. Per questo le nuove forme di rigenerazione dei mercati rionali devono ripartire da un nuovo patto di solidarietà, comunanza di visioni e ricostruzione delle filiere, tra produttori, consumatori e operatori dei mercati.
Un esempio interessante di quanto veniamo sostenendo potrebbe venire dalla sperimentazione di piattaforme di piccola distribuzione organizzata (PDO), dove si potrebbero coinvolgere gruppi d’acquisto solidale e reti di economia solidale locale attraverso l’autorganizzazione nella distribuzione dei prodotti locali biologici, anche sfusi, della fascia periurbana. Esperienze di questo tipo, oltre a ridurre sprechi e rifiuti e a creare occasioni di incontro e scambio, possono favorire l’occupazione attraverso la realizzazione di servizi di trasporto dal magazzino o di piccola trasformazione territoriale, i cui costi sono “internalizzati” nel prezzo finale e rimangono comunque a livelli molto bassi rispetto a quelli della grande distribuzione.
Oggi, salvo rarissime eccezioni, basta fare un giro nei mercati rionali per accorgersi che presentano ampi spazi vuoti, banchi chiusi e serrande abbassate. Una certa burocratizzazione delle licenze ha favorito la nascita di minimarket di prossimità pieni di prodotti della grande distribuzione. Gli spazi vuoti andrebbero invece subito riaperti favorendo esperienze di produzione alternativa, capaci di fornire anche servizi e di promuovere iniziative per migliorare la qualità dell’alimentazione e per conoscere in dettaglio l’origine e la qualità di ogni prodotto. C’è ancora, probabilmente, uno spazio ampio di consumo per un’alternativa qualificata agli acquisti di prodotti industriali e trasformati che sono venduti nei supermercati e sono quasi sempre causa di inquinamento da plastica o perfino pericolosi per la salute, specie quelli destinati all’infanzia.
Non è un sogno irrealizzabile, insomma, la speranza non solo di ricominciare a vedere con maggiore frequenza i mercati rionali ma di considerarli a pieno titolo dei luoghi di co-produzione e co-gestione, dove il produttore e il consumatore si incontrano e si scambiano non solo merci e servizi, ma anche informazioni e conoscenze legate alla sovranità alimentare, al piacere della convivialità e a quello che in América Latina chiamano il “buen vivir”.
Così, il mercato rionale può diventare il luogo ideale per conoscere esperienze di economia alternativa che, chi ama le rigide classificazioni, generalmente colloca magari in altri ambiti: il riuso e riciclo, gli sportelli di finanza etica e di turismo responsabile, le ciclofficine e i negozi di riparazioni, per fare solo qualche esempio. Dai vecchi mercati rionali che molti hanno immaginato condannati inesorabilmente a sparire sotto il peso di una concorrenza sleale quanto potente, può nascere insomma perfino una nuova narrazione del tessuto urbano. Quella di una città che resiste e rilancia, giorno dopo giorno, una sfida a lungo giudicata “impossibile” al sistema dominato dai colossali mercati finanziari, la sfida di chi afferma contro interessi e ragioni astratte la dignità dei luoghi, delle culture e delle persone.
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Articolo rielaborato da una prima stesura uscita nel libro “Il rilancio dei mercati – Spazio pubblico, servizi comunitari ed economia circolare” a cura dall’Associazione Eutropian
Maurizio De Mitri dice
Associazione Prendiamoci Cura, Rho (Milano)
Da 5 anni organizziamo nei nostri paesi una catena di mercati contadini proprio per portare la relazione gas-produttori in piazza a disposizione della città.
Disponiamo di un Disciplinare concordato con i Comitati Produttori.
I mercati sono a cadenza fissa il sabato mattina a rotazione settimanale su 6 paesi.
Roberto bellardini dice
buon giorno mi ppiacerebbe conoscere il vostro disciplinare. se possibile lo potete inviare a
GS dice
> avrebbero straordinarie potenzialità di riuscire a opporsi all’estinzione cui qualcuno li ha condannati
Lotta al contante permettendo.